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La mafia, l’industriale, la regione: tutti d’accordo sulla cava di Agira

La mafia, l’industriale, la regione: tutti d’accordo sulla cava di Agira

La società trevigiana Fassa Bortolo ha ottenuto di poter estrarre calcare all’interno di un’area archeologica tutelata ad Agira (En). I terreni sono stati acquistati da un capo mafia per quasi 2 milioni. Il ricorso di SiciliAntica, l’associazione che si sta battendo per bloccare il progetto nel sito dove si trova anche un santuario antico

GIOVANNI TIZIAN

28 aprile 2021

  • A poca distanza dal santuario di epoca bizantina la cava della discordia, nonostante le anomalie denunciate, i guadagni degli uomini di mafia e i rigidi vincoli ambientali, sta prendendo forma. Siamo nella provincia di Enna, entroterra siciliano.
  • I terreni sulla quale nascerà la società veneta li ha comprati dal boss locale della mafia. L’azienda contattata ha risposto sostenendo che non sapesse dei trascorsi giudiziari. 
  • La battaglia legale prosegue, portata avanti dall’associazione SiciliAntica, che ha già vinto due ricorsi. Ma la regione ha cambiato le carte in tavola. Ecco come.

A poca distanza dal santuario di epoca bizantina la cava della discordia, nonostante le anomalie denunciate, i guadagni degli uomini di mafia e i rigidi vincoli ambientali, sta prendendo forma. Siamo nella provincia di Enna, entroterra siciliano. In un paese che si chiama Agira, terra antichissima dove si trovano tracce di epoche remote: dal paleolitico alla Magna Grecia. In questo anfiteatro naturale di civiltà del passato si sta consumando un conflitto molto moderno, tra chi difende ambiente, paesaggi e siti archeologici, e industrie del nord che per investire sul territorio hanno arricchito un pezzo grosso della mafia locale. Battaglia ambientale, trasformatasi presto in guerra legale con al centro interessi contrapposti e controverse decisioni della regione siciliana.

La storia inizia con la decisione del colosso dell’edilizia Fassa Bortolo di investire sul territorio di Agira aprendo una cava per l’estrazione di calcare sul versante occidentale del monte Scalpello che ricade in un contesto territoriale sensibile sotto il profilo storico e ambientale, sottoposto a vincolo idrogeologico e paesaggistico, nonché area di interesse archeologico. Insomma, l’autorizzazione non era scontata, nonostante nel 2013, su richiesta del comune di Agira, l’area fosse stata inserita nel Piano cave della regione. Non era facile anche perché nel 2007 un’operazione dei carabinieri e della Guardia forestale aveva bloccato una cava in quella zona per violazioni della legge sui beni paesaggistici. Gli esperti incaricati da Fassa Bortolo hanno individuato comunque quella zona e hanno richiesto all’assessorato regionale l’avvio del procedimento relativo alla verifica di compatibilità del progetto. Con decreto del 10 marzo 2017 l’assessorato Territorio e ambiente ha dichiarato concluso con esito positivo il procedimento. Prima vittoria per la società di Treviso. L’assessore era Maurizio Croce, voluto dal presidente dell’epoca Rosario Crocetta, ora indagato in un filone dell’inchiesta su Antonello Montante, l’ex numero due di Confindustria.

Non è stato l’unico assessore a concederla. Anche il successore, Alberto Pierobon, trevigiano come l’azienda Fassa Bortolo, ha dato il suo via libera. Oggi Pierobon non è più nella squadra di governo di Nello Musumeci, messo da parte per fare spazio in giunta a una donna. A combattere contro il progetto fin dall’inizio l’associazione SiciliAntica, che denuncia: «Appariva quantomeno anomalo che la ditta avesse potuto ottenere un parere positivo in fase di rilascio di valutazione ambientale per la stessa area per la quale nel 2013 era stato rigettato dall’assessorato regionale all’Energia un analogo progetto, quello della vicina cava denominata “monte Scalpello” a seguito di parere negativo da parte della soprintendenza in quanto ricadente in area di “notevole interesse pubblico”».

IL TERRENO DEL BOSS

Fassa Bortolo è una società leader nel settore dell’edilizia, con un fatturato di circa 40 milioni di euro e sedi in tutto il mondo, nota soprattutto per la squadra di ciclismo sponsorizzata all’inizio degli anni 2000. La sua sede principale è a Spresiano, in provincia di Treviso. Il titolare, Paolo Fassa, è stato di recente al centro della cronaca giudiziaria per il sequestro di uno yacht da 30 milioni di euro da parte della procura di Milano.

Ma come è arrivato ad Agira? «Nel 2014 abbiamo deciso di espandere il nostro mercato siciliano abbattendo i costi di trasporto che nei nostri materiali incidono molto», è la versione dell’azienda. «Si tratta di un consistente investimento che complessivamente consentirà la creazione di oltre 60 posti di lavoro stabili e altrettanti indiretti quando si sarà a regime, e oltre 200 tra operai e tecnici (oltre l’indotto) nelle fasi di costruzione, ad Agira nella provincia più povera della Sicilia dove il lavoro è ormai un miraggio e l’emigrazione un obbligo».

Il progetto però è stato bloccato da una decisione della soprintendenza di Enna che ha confermato il valore archeologico e ambientale dell’area e, il 19 febbraio 2018, si è espressa in senso contrario a quanto deciso dalla regione. Così è iniziata un’altra storia, più torbida. Dieci giorni dopo il parere della soprintendenza l’amministrazione comunale di Agira ha chiesto all’assessorato regionale per i Beni culturali la revoca della delibera di salvaguardia. Una strategia che ha comunque avuto il suo effetto. Qualche mese dopo, 15 giugno 2018, l’assessorato all’Energia e alla pubblica utilità (assessore il trevigiano Pierobon), tramite il distretto minerario di Caltanissetta, ha autorizzato la cava di Fassa all’estrazione di oltre 4 milioni di metri cubi di materiale calcareo.

L’associazione SiciliAntica ha presentato ricorso sulle violazioni e i danni irreversibili al patrimonio storico-archeologico e ambientale di Monte Scalpello oltreché sulla proprietà dei terreni. Fassa, secondo l’associazione, aveva chiesto l’autorizzazione prima di diventare proprietaria dell’area. Il rogito notarile sarebbe stato stipulato solo nel maggio 2018 a fronte di un iter autorizzativo avviato già da parecchi anni e nel corso del quale i terreni erano rimasti nelle mani dei vecchi proprietari, «ossia la famiglia del capomafia Giuseppe Pecorino, con palese violazione del protocollo di legalità emanato dallo medesimo assessorato all’Energia nel 2011».

Giuseppe Pecorino, classe 1941, è stato condannato nel 2015 con sentenza definitiva della Cassazione per mafia. «Dirigente dell’organizzazione», è una figura centrale nel contesto mafioso dell’ennese e collegato a Cosa nostra di Catania. «Al punto 20 del contratto preliminare di compravendita stipulato tra le parti – si legge nel ricorso di SiciliAntica – viene convenuto un accordo societario che prevede la cessione da parte dell’azienda trevigiana del materiale non utilizzato alla famiglia Pecorino e i suoi eredi».

Sulla concessione e sul fatto che Pecorino fosse ancora il proprietario dell’area quando Fassa ha avviato l’iter burocratico la società si difende: «Fassa srl si è impegnata ad acquistare il giacimento opzionato solo in caso di realizzazione delle condizioni tutte per il rilascio. Nessuno della Fassa era a conoscenza dei trascorsi giudiziari di Pecorino né tantomeno di chi fosse, poiché i rapporti per la parte venditrice furono portati avanti da Biagio Pecorino, professore ordinario dell’Università di Catania». Fassa aggiunge che i terreni non erano tutti del condannato per mafia, ma anche di altri. Gli atti notarili rivelano però che gli altri proprietari erano comunque legati a Pecorino.

LA MAFIA RINGRAZIA

Quanto ha fruttato ai Pecorino la vendita dei terreni «incolti e sterili»? Quasi 2 milioni di euro, si legge nel ricorso presentato al consiglio di Stato, a fronte di un «valore precedente di 150mila euro». Un guadagno al quale andava sommata la cessione prevista dal contratto del materiale non usato. Questa clausola verrà cancellata davanti al notaio dopo che l’Ente minerario di Caltanissetta ha verificato la presenza del condannato per mafia all’interno dello schema di compravendita. Presenza che ha comportato temporaneamente la decadenza dell’autorizzazione per Fassa.

I ricorsi alla giustizia amministrativa, al Tar e poi al Consiglio della giustizia amministrativa siciliana (il Consiglio di stato della regione a statuto autonomo ndr) hanno dato ragione all’associazione SiciliAntica. Ma non è stato sufficiente a bloccare il progetto. Il 28 agosto 2020 il dirigente dell’assessorato regionale all’Energia, l’ingegnere Salvatore D’Urso, ha annullato la determina dell’Ente minerario di Caltanissetta con cui aveva sospeso l’autorizzazione per Fassa. E nel farlo D’Urso ha chiesto la revisione del contratto nella parte in cui si prevedeva la cessione a Pecorino del materiale di cava inutilizzato. Su queste basi Fassa e il condannato per mafia Giuseppe Pecorino hanno firmato una scrittura privata con la quale l’uomo della cosca rinunciava alla fornitura di misto di cava prevista dai primi accordi societari. «La rinuncia costituisce una implicita ammissione dell’esistenza degli anzidetti accordi societari nonché della cointeressenza del Pecorino nell’attività di cava che, di fatto, ha viziato ab origine tutto l’iter autorizzativo», si legge nei documenti agli atti del ricorso.

Ma tanto è bastato per sbloccare l’iter. Fassa ha ottenuto il via libera, il 4 febbraio è stata depositata la denuncia di esercizio. L’ultimo ostacolo riguarda l’uso dell’esplosivo, la soprintendenza di Enna lo ha vietato. Secondo Fassa però «l’utilizzo o meno delle cariche esplosive ha una valenza importante ma non vincolante rispetto alle attività estrattive, ora stiamo attivando l’operatività per la recinzione dell’area di cava, così come previsto e imposto dalla vigente normativa di settore. Stiamo provvedendo inoltre ad effettuare gli studi preliminari non invasivi, come prescritti dalla Soprintendenza di Enna, finalizzati ad individuare eventuali emergenze archeologiche su tutta l’area». Il progetto è avviato, con l’assenso della regione Sicilia, che ha tollerato la presenza ingombrante dell’uomo di mafia lungo tutto l’iter di questa cava della discordia, ospitata ai piedi di un santuario bizantino.

Fonte:https://www.editorialedomani.it/