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La mafia e il Pnrr di Draghi: il silenzio dei clan che non crea allarme sociale

La mafia e il Pnrr di Draghi: il silenzio dei clan che non crea allarme sociale

LaPresse

ATTILIO BOLZONI

03 gennaio 2022 • 19:35

  • L’assalto non è ancora partito ma loro sono già lì in agguato, pronte a tuffarsi in quel fiume di denaro che arriverà con il Piano nazionale di ripresa e resilienza.
  • Il crimine è tornato statistica. Dal Viminale informano che dal gennaio al novembre del 2021 sono stati arrestati 1343 latitanti ma non fanno ceno al numero uno: Matteo Messina Denaro ricercato da 29 anni
  • Il “sistema antimafia” dello stato italiano si sta dotando di leggi e strumenti adeguati per fronteggiare le grandi holding del malaffare, nei settori strategici della finanza, dell’energia e dell’interscambio di beni e servizi? O continuerà a dare la caccia soltanto alle facce sconce, agli impresentabili del crimine?

In fin dei conti non danno troppo fastidio. Perché non ci sono morti per le strade, non c’è allarme sociale, non ci sono problemi di ordine pubblico. Il punto è proprio questo: le mafie come problema di ordine pubblico. Così le ha sempre considerate lo stato italiano.

Oggi quel problema non c’è e di conseguenza non ci sono neanche le mafie. Nulla di inedito, un secolo e passa di storia del nostro paese racconta che sono cattive e pericolose solo quando sparano, quando si manifestano all’esterno con la violenza delle armi. E siccome è calato il silenzio, l’Italia può continuare a convivere senza vergogna con il suo male più nascosto.

Anche in tempi di emergenza, soprattutto in tempi di emergenza come questi sconvolti dalla pandemia che tanta altra ricchezza porterà alle organizzazioni criminali. L’assalto non è ancora partito ma loro sono già lì in agguato, pronte a tuffarsi in quel fiume di denaro che arriverà con il Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Tutti ne parlano – ministri dell’Interno e della Giustizia, procuratori nazionali antimafia, i capi dei reparti investigativi di eccellenza – tutti avvertono del rischio dell’aggressione ma devono misurarsi con mafie coperte (come lo sono sempre state dalla loro origine, a parte i sanguinosi anni dei Corleonesi) e quasi invisibili.

L’ALTA MAFIA

Perché c’è un dato che si dimentica sempre: le mafie se non le cerchi non le trovi. Ed è da un po’ che nessuno le cerca per davvero. Governo dopo governo va di moda fare la mossa, il gesto, letteralmente iniziare il movimento senza portarlo a termine. Si preferisce e conviene colpire il crimine più brutale, che disturba, che fa rumore.

Quella che una volta veniva definita “alta mafia” per i suoi rapporti con la politica e il mondo degli affari è al riparo, più il ricordo delle stragi si fa lontano al di là della retorica e più l’”alta mafia” è impalpabile, sfuggente. Protetta dalla stanchezza o dall’indifferenza dell’opinione pubblica , da un’antimafia sociale sgonfia o imbrattata, da una riforma della giustizia che non è al passo con le sfide che richiedono le mafie contemporanee.

La ”lotta alla mafia” è sempre più di frequente un proclama, una scatola vuota, è quella fotografia che ritrae insieme sorridenti Falcone e Borsellino e che viene agitata come un santino. Il crimine è tornato statistica. Negli ultimi giorni dell’anno che ci siamo lasciati alle spalle, il Dipartimento della Pubblica Sicurezza del ministero dell’Interno ci ha informato sul bilancio del 2021.

Da gennaio a fine novembre sono stati catturati 1343 latitanti, di cui 705 ricercati da autorità giudiziarie italiane in ben 51 paesi. Il 16,2 per cento dei soggetti è stato arrestato in Romania, il 13,9 per cento in Spagna, il 12,3 per cento in Germania, il 10,5 per cento in Francia. Numeri sicuramente importanti ma freddi, che dicono tutto e niente.

Comunque nella lista del Viminale, dopo ventinove anni, manca ancora il nome che più di altri doveva essere presente nel lungo elenco: Matteo Messina Denaro, il padrino che custodisce i segreti delle bombe che hanno ucciso i giudici Falcone e Borsellino. Il boss è fuori dagli indici e dai grafici, su di lui si possono fare solo fantasiose stime sul tempo che ci vorrà per prenderlo. Un giorno? Una settimana? Altri ventinove anni?

IL PNRR E L’ODORE DEI SOLDI

Sono cifre che spiegano e non spiegano. Nonostante la grave crisi sanitaria ed economica generata dal Covid, il numero di imprese registrate alle Camere di Commercio lombarde negli ultimi dodici mesi è sensibilmente aumentato. Miracoli o forse qualcos’altro? Le calamità naturali, i terremoti, le grandi opere, i disastri provocati dall’incuria o dall’ingordigia sono occasioni che le mafie non si sono mai lasciate sfuggire. Quando sentono l’odore dei soldi si avventano.

Esattamente vent’anni fa, durante il secondo governo Berlusconi, sembrava che da un momento all’altro la Sicilia non sarebbe stata più un’isola e il famoso Ponte avrebbe finalmente unito le due regioni e pure le due mafie, Cosa Nostra e ‘Ndrangheta. Ed ecco che alla Camera di Commercio di Messina si sono all’improvviso registrate centinaia di società, per lo più teste di ponte provenienti dalla provincia di Agrigento o da Palermo e dalla Locride o dalla Piana di Gioia Tauro, tutte accorse sulle due rive dello Stretto per sedersi intorno alla tavola.

Imprese di movimento terra, di bitumi e calcestruzzi, di autotrasporti. Andrà a finire così anche con il Pnrr. Ma non ce ne accorgeremo subito, le mafie non si scopriranno fino a quando i riflettori saranno accesi, fino a quando ci sarà un po’ di attenzione sui fondi europei che inonderanno l’Italia.

È la sintesi questa di un’interessante analisi elaborata dalla Direzione Investigativa Antimafia (la Dia) che spiega un “doppio scenario” su mafie e Covid. Il primo è sull’emergenza degli ultimi due anni.

IL DOPPIO SCENARIO

Mafie coinvolte nel ”ciclo della sanità” (nella produzione di dispositivi medici come mascherine e respiratori), nello smaltimento di rifiuti speciali e nella sanificazione ambientale, nei servizi funebri e cimiteriali. E poi nell’aiuto offerto agli operatori del turismo e della ristorazione messi in ginocchio dalla pandemia, usura, il tentativo di impossessarsi delle attività, sfruttare le aziende in crisi per il riciclaggio.

Con un’Italia divisa in due anche per le mafie. Nelle regioni del Nord l’obbiettivo sarebbero le imprese in difficoltà per il reimpiego dei capitali illeciti, in quelle del Sud l’attacco ai primi finanziamenti pubblici. Ma è lo scenario a medio e a lungo periodo – gli esperti della Dia ipotizzano un’evoluzione temporale dai cinque ai dieci anni – che segnerà la partita decisiva con le mafie.

L’assalto vero scatterà quando le cassaforti si apriranno e magari, allora, ci saremo tutti dimenticati degli allarmi lanciati in piena pandemia. Il “sistema antimafia” dello stato italiano sarà davvero in grado di respingere quell’assalto, si sta dotando di leggi e strumenti adeguati per fronteggiare le grandi holding del malaffare, nei settori strategici della finanza, dell’energia e dell’interscambio di beni e servizi? O continuerà a dare la caccia soltanto alle facce sconce, agli impresentabili del crimine?

Fonte:https://www.editorialedomani.it/fatti/pnrr-covid-draghi-governo-mafia-cwj7vboo