La mafia catanese sempre più “arrabbiata” per gli articoli su “I Siciliani”
A CURA DELL’ASSOCIAZIONE COSA VOSTRA
30 dicembre 2021 • 19:00
Alla Amato, Santapaola confidava tante cose, tanto da costringerla ad andare a letto tardi la notte; la donna provvedeva ad acquistare i giornali a Santapaola, il quale “voleva specificatamente acquistato il giornale “I Siciliani” ed era “molto arrabbiato” con Fava
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata all’omicidio del giornalista Giuseppe Fava, direttore de “I Siciliani”, ucciso con cinque colpi di pistola il 5 gennaio del 1984 a Catania. Nel 2003 la Cassazione condanna il boss Nitto Santapaola all’ergastolo perché ritenuto il mandante dell’omicidio. Mentre Aldo Ercolano e Maurizio Avola (reo confesso) sono stati condannati come i killer dell’omicidio.
La chiamata in correità da Avola è stata pienamente confermata da Amato Italia, la quale (per come è stato pienamente confermato da Antonino Calderone) fu a lungo legata sentimentalmente con Francesco Mangion (personaggio rilevantissimo della famiglia catanese di cosa nostra), con il quale avrebbe procreato il figlio Pattarino Francesco, mai legittimato dal Mangion; sulla base di quanto riferito dalla Amato in seno alla dichiarazione resa al pm il 9/12/1993 ed in dibattimento all’udienza del 30/1/1997 si deduce che la donna (proprio su richiesta del Mangion) ebbe ad ospitare Santapaola nella propria casa di Siracusa sita in via Monteforte 66, mentre questi era latitante dopo l’omicidio del generale Dalla Chiesa per circa sette mesi da settembre del 1982 ad aprile del 1983 ed in tale periodo Santapaola riceveva la visita di numerosi esponenti della famiglia catanese di cosa nostra (Giuseppe ed Aldo Ercolano, Nello Nardo, Vincenzo Santapaola, Marcello D’Agata, Tuccio Salvatore ed altri ancora); la Amato era amica della famiglia di Benedetto Santapaola ed in particolare con la moglie di quest’ultimo Carmela Minniti, con la quale era in visita e, durante il periodo in cui Santapaola venne ospitato a Siracusa, “aumentò il rapporto fiduciario che Nitto aveva” con la Amato, alla quale Santapaola confidava tante cose, tanto da costringerla ad andare a letto tardi la notte; la donna provvedeva ad acquistare i giornali a Santapaola, il quale “voleva specificatamente acquistato il giornale “I Siciliani” ed era “molto arrabbiato” con Fava per quello che questi scriveva su detta rivista contro la mafia, contro Santapaola e contro i cavalieri del lavoro legati a Santapaola, il quale di tutto ciò si era molto lamentato con le persone che venivano a trovarlo ed, in particolare, rivolgendosi al nipote Aldo Ercolano, gli diceva: «questo qua ci sta rompendo, questo si sta comportando male….ma voi non li leggete i giornali di quello che c’è scritto»; un articolo in particolare aveva determinato in Santapaola una reazione violenta e lo aveva fatto esplodere (esattamente quello sui cavalieri del lavoro, definiti come i cavalieri “dell’apocalisse”, uscito il 22 dicembre 1982); in epoca successiva a queste lamentele avvenne che proprio tra la fine del 1982 e l’inizio del 1983 (in coincidenza con le feste natalizie) venne a trovare Santapaola il nipote Aldo Ercolano, che era in compagnia di Antonino Cortese (mentre i due giovani che li accompagnavano non salirono in casa, ma suonarono il citofono per dire che non avevano trovato il parcheggio) ed in tale occasione i due parlarono di Fava con Benedetto Santapaola e la Amato fu molto attratta dalla discussione, poiché spesso Santapaola le aveva parlato male del Fava: in tale contesto, avvenuto pure in presenza di Pattarino Francesco, figlio della Amato, Santapaola si manifestò siccome “seccatissimo” ed Aldo Ercolano disse a Benedetto Santapaola che gli avrebbe fatto un regalo, eliminandogli il giornalista Pippo Fava che stava diventando eccessivamente pericoloso per le sue prese di posizione pubbliche nei confronti della mafia, dello stesso Santapaola e dei cavalieri del lavoro, aggiungendo che Nino Cortese gli avrebbe fatto questo piacere, nel senso che si sarebbe dato carico di provvedere alla eliminazione di Giuseppe Fava (“zio non ti preoccupare che questa cortesia te la fa Nino; ta fa Ninuzzo”); Ercolano diceva al Santapaola pure che Fava era di Palazzolo Acreide e che sarebbe stato opportuno fare degli appostamenti nella casa ove Fava si recava a Palazzolo Acreide.
Amato Italia ha aggiunto che una volta, dopo circa venti giorni dall’incontro con Ercolano, il Santapaola ebbe a dirle: «lo sai che il giornalista è paesano tuo?», con ciò alludendo al fatto che la Amato e Fava erano originari della stessa provincia di Siracusa e che era intenzione del Santapaola uccidere Fava a Palazzolo Acreide per fare credere che l’omicidio avese avuto una matrice siracusana, ragion per cui vennero fatti degli appostamenti in detta località.
Altra visita Santapaola ricevette nella casa della Amato due mesi prima di andare via nell’aprile del 1983 da parte di Aldo Ercolano, Cortese, Nardo ed Enzo Santapaola.
La Amato ha poi riferito che, dopo l’omicidio del Fava, nella primavera del 1984 ebbe a recarsi una volta presso l’ufficio di Ercolano Aldo, sito al Corso Sicilia di Catania, per incontrare Francesco Mangion ed in quella occasione, in presenza di quest’ultimo, essa ebbe ad accennare ad Ercolano della morte di Fava nel senso che questi aveva fatto un brutta fine (“ammazzanu macari a questo?); Ercolano con aria soddisfatta ebbe a rispondere che «Pippo Fava si era meritata quella fine per tutto quello che aveva detto contro di loro….chi sbaglia paga, si meritava così perché ha parlato troppo», al che la Amato ebbe a soggiungere: «allora loro l’hanno fatto», senza che Ercolano avesse a sua volta detto nulla in risposta.
Con riferimento alla posizione di Antonio Cortese, la Amato in sede di dichiarazione resa al pm il 9/12/1993 aveva indicato quest’ultimo come uno degli autori dell’omicidio del Fava, ma in dibattimento ha precisato che in realtà trattavasi di una sua deduzione fondata sulla considerazione che in sua presenza nella casa di Siracusa Cortese era stato indicato da Ercolano come colui che avrebbe fatto al Santapaola la cortesia di uccidere Fava e che a ciò aveva fatto poi seguito la conferma e la assicurazione ricevuta da Ercolano nella primavera del 1984 negli uffici del Corso Sicilia; in sostanza la Amato ha detto di avere “abbinato” i due segmenti e di avere dedotto che Cortese avesse ucciso il Fava.
LE DICHIARAZIONI DI PATTARINO
Pattarino Francesco il 13/12/1993 ha così espressamente riferito al pm che lo interrogava: «posso affermare che nel nostro ambiente il movente di tale delitto era noto. Aggiungo che di Fava si era pure parlato a casa mia a Siracusa, qualche tempo prima dell’omicidio, ed esattamente quando a casa mia si nascondeva Nitto Santapaola, tra il settembre 1982 e l’aprile 1983. Spesso Nitto Santapaola manifestava dei motivi di risentimento nei confronti del giornalista proprio per gli articoli che lo stesso scriveva contro di lui, contro la mafia catanese e contro gli imprenditori catanesi collusi con il gruppo Santapaola. Ricordo che zio Nitto leggendo i giornali controllava sempre le firme degli articoli contro la mafia per verificare se essi fossero stati scritti da Giuseppe Fava. In particolare Santapaola non tollerava gli articoli di stampa che denunciavano pubblicamente le collusioni tra i cavalieri del lavoro di Catania e la sua organizzazione criminale. Santapaola in realtà aveva cominciato a meditare la uccisione di Giuseppe Fava sin dalla pubblicazione dei primi numeri del giornale “I Siciliani”. Tanto è vero che, assieme ad Aldo Ercolano, Santapaola aveva cominciato a progettare un piano concreto di esecuzione del delitto. Lo studio e la realizzazione del piano suddetto dovevano essere curati da Aldo Ercolano, il quale aveva il compito di osservare gli spostamenti del giornalista, i suoi orari ed in particolare i luoghi ove Fava normalmente si recava. Fu in tal modo che Aldo Ercolano apprese che Pippo Fava era originario di Palazzolo Acreide.
A queste discussioni ho assistito io personalmente perché esse sono avvenute a casa mia quando, come ho già detto, vi era nascosto Nitto Santapaola. In quel periodo Aldo Ercolano veniva a casa mia frequentemente e spesso parlava con Nitto Santapaola dei fatti che riguardavano l’organizzazione. Ricordo che di Fava i due parlavano spesso perché i suoi articoli mandavano zio Nitto su tutte le furie. Santapaola arrivava al punto di mettere un segnale nei fogli di giornale che riportavano gli articoli di Fava, per poterli poi mostrare ad Ercolano quando questi veniva a trovarlo. Per tale ragione ho detto pocanzi che nel nostro ambiente era noto il movente dell’omicidio di Giuseppe Fava.
Santapola non aveva nessuna difficoltà a parlare di questi fatti in mia presenza, sia perché si fidava di me e di mia madre, sia perché la “famiglia” aveva per me dei progetti, sia perché egli mi ha cresciuto sin da bambino. Per tutto il periodo in cui Santapaola rimase nascosto a casa mia a Siracusa egli dormì nella mia stanza a assieme a me, che all’epoca avevo circa sedici anni».
Il Pattarino, esaminato all’udienza dibattimentale del 28/1/1997, ha confermato sostanzialmente lo stesso racconto.
Va poi accennato ad un segmento della propalazione di Pattarino, nel quale il collaborante ha riferito de relato, a differenza di quanto egli ha dichiarato con riferimento a quanto invece era avvenuto in casa della madre.
Il Pattarino ha detto che, mentre era detenuto a Brucoli, fece il suo ingresso in detta Casa Circondariale nel 1989 o 1990 Cortese Antonino ed egli aveva saputo da Aldo Ercolano che era persona avvicinata alla famiglia; nel corso di detta codetenzione il Cortese gli aveva confidato di essere riuscito a farsi scagionare dalla accusa mossagli da Pellegriti di avere ucciso il Fava, per il fatto che lo stesso Pellegriti lo aveva accusato di avere commesso un duplice omicidio ad Adrano, che sarebbe stato consumato nello stesso contesto temporale alla distanza di venti minuti.
In dibattimento all’udienza del 28/1/1997 il Pattarino ha poi chiarito che nella occasione suddetta il Cortese non aveva ammesso esplicitamente di essere stato l’autore dell’omicidio di Fava (per come aveva dichiarato in seno alla dichiarazione resa al pm il 13/12/1993), quanto piuttosto “gli aveva fatto capire” di essere stato l’autore dell’omicidio di Fava («il modo di come mi spiegò e con quale fierezza mi spiegava questo fatto era come se fosse stato lui l’autore di questo omicidio») e “si vantava del fatto” di essere scampato all’ergastolo per l’omicidio Fava, grazie alla rabbia di Pellegriti che lo aveva accusato di due fatti criminosi commessi nello stesso tempo.
CONFIDENZE IN CARCERE
In sostanza, per come chiarito nel corso del dibattimento (e comunque già con la dichiarazione resa al pm il 10/5/1994), la originaria versione della confidenza ricevuta dal Cortese era stata fortemente ridimensionata, avendo il Pattarino detto: «non posso sapere se Cortese si sia vantato con me di un fatto che non aveva commesso: posso dire che egli sottolineava in maniera particolare la circostanza che era stato scagionato per l’omicidio Fava solo per le ragioni temporali di cui ho detto…».
Sulla base di tutto ciò può ritenersi che il Cortese abbia effettivamente inteso rappresentare al Pattarino solo il grave rischio corso di subire una condanna all’ergastolo sulla base di una chiamata in reità fattagli da Pellegriti con riferimento a due episodi omicidiari commessi nello stesso contesto temporale in due luoghi diversi, rischio coniugato con il vanto di essere scampato alla duplice chiamata del Pellegriti, ex capo di un clan avverso sul territorio di Adrano.
Pattarino ha confermato anche in dibattimento che Cortese gli aveva detto che Aldo Ercolano, in una riunione, gli aveva chiesto la cortesia relativa alla uccisione di Fava in cambio della autorizzazione datagli di potere fare la guerra sul territorio di Adrano contro il clan di Pellegriti, ma poi ha soggiunto: “però in verità non posso dire se poi in effetti l’ha commissionato lui, l’ha commesso lui l’omicidio o è stata una vanteria”.
In definitiva reputa la Corte che l’autoaccusa del Cortese in relazione all’omicidio Fava, riferita da Pattarino, appare scarsamente attendibile, perché trattasi di indicazione già di per se stessa equivoca (in cui sono frammiste una rappresentazione di dati oggettivi, una espressione di dati valutativi ed una deduzione personale), incostante nel tempo, assolutamente priva di particolari ricostruttivi del fatto e peraltro isolata nel processo.
Ed, invero, a parte la considerazione che la suindicata autoaccusa del Cortese si pone in contrasto con la dichiarazione di Avola relativa alla fase esecutiva del delitto, devesi rilevare che anche Grazioso Giuseppe ha detto, in ordine alla incriminazione di Cortese (arrestato e poi prosciolto), che all’interno della organizzazione si commentava il fatto nel senso che trattavasi di persona innocente.
Va comunque osservato che nessuna refluenza può avere il giudizio siffatto di inattendibilità in ordine alla riferita autoaccusa di Cortese con riferimento alla valutazione della attendibilità della restante parte della dichiarazione del Pattarino, contrariamente a quanto è stato sostenuto dalla difesa di Ercolano.
Ed, invero, non c’è dubbio alcuno che trattasi di caso scolastico in cui viene in rilievo il principio della valutazione frazionata delle dichiarazioni dei collaboranti.
Il giudizio di inattendibilità investe un segmento della dichiarazione di Pattarino (la confidenza di Cortese) che è autonomo fattualmente e logicamente rispetto all’altro relativo all’incontro tra Santapaola, Ercolano e Cortese in casa della Amato a Siracusa, poiché non c’è dubbio che, anche a volere ritenere che (a seguito della cortesia promessa da Ercolano e Cortese a Santapaola) il Cortese sia stato incaricato di eseguire l’omicidio di Fava (magari a Palazzolo Acreide), nessuna certezza può comunque inferirsi in ordine alla avvenuta esecuzione dell’omicidio da parte dello stesso Cortese.
E poi devesi rilevare che Pattarino si è limitato a riferire de relato circostanze apprese da Cortese Antonino (il quale, peraltro, al pari del padre, si è rifiutato di sottoporsi ad esame nella qualità di imputato in procedimento connesso) ed è fin troppo evidente che, anche sotto questo profilo, la inattendibilità di quanto confidato dalla fonte primaria nessun rilievo può avere in ordine alla valutazione sulla attendibilità delle circostanze, peraltro autonome, riferite dal collaborante per scienza diretta siccome cadute sotto la sua diretta osservazione.
La indicazione accusatoria riveniente dalla propalazione di Amato Italia e di Pattarino Francesco a carico di Benedetto Santapaola e di Aldo Ercolano è, a parere della Corte, rilevantissima.