Elio Collovà 21 Dicembre 2023
L’analisi
La legge Rognoni-La Torre (in ultima analisi, dopo molte modifiche e integrazioni, trasformata nel decreto legislativo 159/2011) è la legge 646 che entra in vigore il 13 settembre 1982 e introduce, per la prima volta, nel codice penale, il reato di associazione a delinquere di tipo mafioso nonché la previsione di misure patrimoniali applicabili all’accumulazione illecita di capitali e al loro utilizzo per finalità di carattere sociale.
Purtroppo, la legge non riesce di facile comprensione a tutti, essendo molto complessa, e interviene direttamente sul diritto di libertà dell’uomo ma, al contempo, con lo scopo di tutelare i diritti dell’uomo aggredito dalle consorterie mafiose.
La legge di cui parliamo costituisce il caposaldo delle misure di prevenzione. Ma c’è stato bisogno di molte modifiche e integrazioni per arrivare all’attuale codice antimafia (che invero, di codice ha molto poco). E dobbiamo dare merito a Pio La Torre se, con la sua tenacia, dopo l’eccidio del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, è riuscito a creare questo raro strumento legislativo di prevenzione, che ha consentito, pur con le sue innumerevoli lacune, di rifondare quel metodo di indagine concepito da Giovanni Falcone, il cui principio si rivelava nella famosa locuzione: “Follow the money” (segui il denaro).
Seguire il denaro voleva significare analizzare tutti i flussi monetari e cartolari, in entrata e uscita. Qualunque movimento di denaro lascia inevitabilmente le proprie tracce che consentiranno poi, nel loro insieme, di delineare quel percorso vizioso compiuto dai flussi, dal punto di partenza al punto di arrivo. Ricordiamo tutti i tempi andati nei quali era consentita la trasferibilità degli assegni bancari di conto corrente? E chi potrà dimenticare il numero delle girate apposte sul retro? Cinque, dieci, quindici girate senza possibilità alcuna di potere decifrare i soggetti trattari a causa delle numerose firme illeggibili. Ebbene quegli assegni, il più delle volte con scadenza ritardata, venivano utilizzati per effettuare pagamenti di cui però non si saprà mai nulla. In effetti, ogni firma di girata stava a rappresentare un pagamento – comunque un movimento di denaro – e quindi il compimento di un’operazioni commerciale, probabilmente anche “in nero”. Queste operazioni magari avranno contribuito a creare quel tesoretto di liquidità, tanto caro alle famiglie mafiose. Quel tesoretto che, insieme ad altri beni, mobili, immobili, valori mobiliari, formano quei patrimoni illeciti che la legge Rognoni-La Torre ci consente di aggredire sottraendoli alla disponibilità dei boss della mafia.
Norma eccezionale ma efficace
Questo è il sistema per arrivare al traguardo, cioè al patrimonio del mafioso. Dunque Pio La Torre, lavorando su questo originario concetto, concepì le misure di prevenzione. Una legge speciale – che per questo è prevalente su qualsivoglia codice – che metteva a disposizione della magistratura e della polizia investigativa; uno strumento straordinario ed eccezionale che consentiva di individuare i tesori dei boss mafiosi e di metterli sotto sequestro con l’obiettivo della confisca finale, se gli indizi raccolti dalla prima indagine fossero divenuti certi a seguito della celebrazione di un procedimento.
Il deputato di Forza Italia Pietro Pittalis sostiene che la norma debba essere cambiata ed eventualmente riportata fra le garanzie costituzionali. Sul punto si deve osservare, in primo luogo, che modificare la normativa che regola l’intero sistema delle misure di prevenzione non è un’avventura facile perché la legge, nella sua ultima estensione, sintetizza organicamente tutta una serie di leggi precedenti, sorte sempre a seguito dei periodi stragisti e pertanto influenzate da stati d’animo di vero e proprio turbamento.
D’altro canto mi pare che si debba fare di tutto per sradicare dalla nostra terra il cancro della mafia che tiene il Paese in perenne emergenza; e, in effetti lo strumento è già nelle mani delle Procure della Repubblica e dei giudici. È uno strumento centrale, capace di colpire il cuore delle famiglie mafiose: sono denari, titoli, altri valori cartolari, immobili, aziende. Insomma tutto quello che simbolicamente rappresenta la loro ricchezza tanto da poterla ostentare innanzi alle famiglie contrapposte.
Sull’argomento sono intervenuti molti studiosi ed esperti della materia che si contendono gli esiti della discussione senza arrivare mai a una soluzione di sintesi che offra la possibilità di apportare alla legge quei correttivi necessari per una più corretta gestione dei beni sottratti alle famiglie mafiose. Ma per apportare eventuali correttivi alla legge bisognerebbe intervenire con un’operazione di chirurgia specializzata ad alto rischio; specialmente nell’attuale momento politico nel quale il governo – che ha imboccato una deriva decisamente destrorsa radicale – preferisce dedicarsi a depenalizzare reati importantissimi per l’esercizio dell’azione penale; preferisce ridurre i poteri delle istituzioni di controllo; addirittura sembra che stia progettando di limitare i poteri di controllo contabile della Corte dei Conti. E non dimentichiamo l’avvicendamento dei direttori degli enti pubblici e della pubblica amministrazione.
Dunque, mettere mano alla legge sulle misure di prevenzione, in questo momento e con queste condizioni, vorrebbe dire cancellarle totalmente o renderle inefficienti.
È intervenuto più volte anche don Luigi Ciotti per denunciare segnali di cambiamento del paradigma che mette in discussione le conquiste ottenute con la legge Rognoni-La Torre che, pur con tutti i difetti e carenze legislative, è riuscita a mettere a segno numerose operazioni in danno delle varie famiglie del sodalizio mafioso. La politica racconta – attraverso i media – i sequestri e le confische di prevenzione, fornendone un quadro deleterio, spesso incomprensibile, senza alcuna obiettività, senza che venga mai offerta al cittadino vittima della mafia, costretto a vivere in una città ammorbata dal puzzo della criminalità organizzata, un’àncora di salvezza.
I detrattori delle misure di prevenzione
Certo, abbiamo osservato più volte che la materia è molto complessa da interpretare, soprattutto in termini giuridici. Ma non sfuggirà ad alcuno la circostanza che l’attuale codice antimafia (unico supporto in mano ai giudici per combattere la criminalità organizzata) sia derivato dalle ceneri delle vecchie leggi speciali, fino ad arrivare alla Rognoni-La Torre; leggi che il più delle volte, in occasione di stragi e attentati sono sorte con spirito fortemente demagogico da parte dell’esecutivo.
Sembra peraltro, come già affermato, che il governo non sia molto interessato a intervenire, se è vero, come sembra, che l’unico intervento sulla legge di bilancio sia la cancellazione di 300 milioni di euro previsti dal Pnrr per la rifunzionalizzazione e la valorizzazione dei beni confiscati.
La discussione non finisce qui. In effetti, analizzando approfonditamente i vari interventi antagonisti, non possiamo non rilevare come l’argomento della riutilizzazione dei beni confiscati venga investito da una pericolosa deriva privatistica; è come se ci fosse un interesse particolare a privatizzare la gestione dei beni, per non dire delle spinte a fare prevalere il sistema delle vendite (all’asta?) dei beni stessi.
Poi ci sono i detrattori delle misure di prevenzione. Quelli che, pur dichiarandosi favorevoli all’uso di tale strumento giuridico, lo criticano, a volte anche con banali argomentazioni, confondendo il più delle volte le misure di prevenzione con i reati penali. È questo il punto oggetto di discussione dalla cui impasse non si vuole uscire.
Per comprendere la legge in discussione occorre affrontare il tema con un approccio giuridico; perché le leggi, le norme, i codici, non sono un’unica cosa. Si differenziano sostanzialmente.
I sequestri e le confische rispondono al principio della prevenzione e sono assolutamente indipendenti rispetto alla commissione di altri reati precedenti, ma non lo sono rispetto alla pericolosità sociale del soggetto.
C’è un aspetto che viene costantemente proposto dai soggetti divergenti: è quello della paventata incostituzionalità della legge in quanto opererebbe comunque notevoli restrizioni, non solo sulla libertà della persona colpita dal provvedimento cautelare, ma anche su altri diritti.
A questo punto ci viene in soccorso la Corte Costituzionale con la pronuncia n. 68/1964, nella quale ha affermato la legittimità costituzionale delle misure di prevenzione, poiché esse trovano il loro primo fondamento nell’art. 2 della Costituzione che tratta dei diritti inviolabili.
Per concludere, secondo quanto affermato dalla Corte e dalla copiosa dottrina, le misure di prevenzione sono irrinunciabili, tenuto conto che nella nostra società non esiste un’alternativa che assicuri la tutela dei diritti fondamentali dell’uomo.
Ovviamente, tutto quanto abbiamo detto presuppone un uso rigoroso delle misure di prevenzione, sia da parte dei magistrati requirenti che dei giudicanti; e non possiamo trascurare gli amministratori giudiziari che, agendo come munus publicum, nell’espletamento del loro mandato devono adottare criteri trasparenti ed essere come la moglie di Cesare: al di sopra di ogni sospetto.
(14 Dicembre 2023)