La guerra fredda di mafia e Stato
IL MURO È CADUTO, GLI EQUILIBRI PURE.
CON LA FINE DEL BIPOLARISMO INTERNAZIONALE SI SCIOGLIE IL COLLANTE CHE AVEVA TENUTO INSIEME IL SISTEMA DI POTERE DELLA PRIMA REPUBBLICA
di Roberto Scarpinato
Viviamo in uno dei Paesi più violenti
d’Europa, in cui quello che Giovanni Falcone definiva il “gioco grande” – il
gioco del potere – è stato condotto per anni con stragi, con omicidi politici
che si sono susseguiti ininterrottamente.
La strage dell’Olimpico del 23 gennaio
1994 doveva suggellare la fine della storia della Prima Repubblica, tenuta a
battesimo da un’altra strage, quella di Portella della Ginestra del 1° maggio
1947. Una strage politico-mafiosa che ha uno scopo politico: pochi mesi prima
l’unione delle sinistre aveva vinto le elezioni regionali, e si voleva
dissuadere da una replica di questo successo nelle elezioni nazionali che si
dovevano tenere l’anno successivo. Una strage dissuasiva, che inizia la
strategia della tensione. Da Portella della Ginestra, la strategia della
tensione si snoda per tutti i decenni della storia repubblicana, con una
sequenza di stragi che non ha uguali in nessun Paese europeo. Peteano, Milano,
Brescia, Bologna, il rapido 904: stragi con un comune denominatore, i
depistaggi. (…) E perché si depista una strage? Per nascondere una verità
inconfessabile. Per nascondere la mano dei mandanti
eccellenti.
(…) Tutte stragi, quelle che ho
elencato, che erano stragi politiche, con delle menti politiche che usavano di
volta in volta come braccio armato la mafia, esponenti della destra eversiva,
esponenti della criminalità comune, restando sempre dietro le quinte. E che
avevano un unico filo conduttore. La strategia delle tensione voleva orientare
il processo politico evitando un evento che veniva considerato catastrofico: il
possibile avvento delle sinistre al potere. Ogni volta che si manifestava questo
pericolo, il “linguaggio delle bombe” tendeva a stabilizzare lo status quo
attraverso una destabilizzazione. Questo pericolo, che ha caratterizzato tutta
la storia repubblicana – il sorpasso a sinistra, che non poteva verificarsi sia
per gli equilibri nazionali, sia per quelli internazionali – è un evento che
rischia di verificarsi nuovamente alla fine della storia della prima Repubblica.
Infatti io definisco le stragi del ‘92 e del ‘93 come le stragi degli orfani
della Guerra fredda. Con la caduta del muro di Berlino, la fine del bipolarismo
internazionale, si scioglie il collante che aveva tenuto insieme il sistema di
potere della Prima Repubblica. Il montanelliano “votiamo turandoci il naso”:
votiamo un sistema di potere che sappiamo patologicamente corrotto, perché
altrimenti le sinistre vanno al potere. Ecco: una volta che finisce il pericolo
comunista a livello internazionale, si scongelano i serbatoi del voto
ideologico, quel sistema di potere rischia di crollare – sta crollando – sotto i
colpi di Tangentopoli e di un voto di opinione che va in libertà. A quel punto
si crea una situazione drammatica per tutte le organizzazione criminali italiane
che nel sistema di potere della Prima Repubblica avevano goduto di protezioni,
d’impunità e avevano fatto affari d’oro. (…) E lì sarebbe stata la fine non
soltanto per i capi della mafia, ma sarebbe stata la fine di tanti soggetti che
durante la Prima Repubblica avevano collaborato a stragi e omicidi. E si
verifica quindi una convergenza di interessi tra queste lobby criminali che
viene subito evidenziata, in un’informativa della Direzione investigativa
antimafia dell’agosto 1993 che dice attenzione, queste stragi non sono soltanto
stragi di mafia. (…)
E tutto questo ce lo confermano tanti
collaboratori di giustizia, i quali ci raccontano che alla fine del 1991 un
gruppo ristretto di capi della mafia si riunisce nelle campagne di Enna per
discutere di un progetto politico che è stato suggerito da entità esterne,
estremamente complesso, che deve restare segreto, che prevede appunto l’inizio
di una serie di azioni destabilizzanti dell’ordine politico esistente, con
stragi e con omicidi, per farlo crollare – perché questo sistema non garantiva
più le protezioni del passato – e per creare spazio alla creazione di un nuovo
soggetto politico. Questo piano segreto è conosciuto soltanto da alcuni capi
della mafia, quella che Riina chiama la “super-cosa”, di cui facevano parte
Riina, Graviano, Matteo Messina Denaro, ma viene taciuto agli altri capi della
mafia, viene taciuto agli esecutori materiali, ai quali viene invece data una
spiegazione tutta interna a Cosa Nostra: si fanno queste stragi perché dobbiamo
vendicarci di Falcone, di Borsellino, dobbiamo punire i politici che ci avevano
promesso protezione e non ce l’hanno più garantita. Esistono quindi due livelli
di conoscenza (…).
Chi aveva ordito questo piano aveva
previsto una strategia di destabilizzazione che sarà portata avanti con grande
lucidità, e che vedrà la sua massima espansione quando per la prima volta, col
governo Ciampi, a cui Padellaro dedica una parte del libro, si crea un
laboratorio politico che anticipa quello che si temeva sarebbe avvenuto,
l’avvento delle sinistre al potere, perché è il primo governo della storia
repubblicana dove ci sono tre ministri che appartengono all’ex Partito
comunista. Il governo Ciampi ottiene la fiducia, due giorni dopo c’è l’attentato
a Costanzo (14 maggio), il 27 maggio c’è la strage di Firenze, il 2 giugno viene
fatta trovare in via dei Sabini una macchina piena di esplosivo – e
quest’attentato, attenzione, nessun collaboratore ci ha detto che fu preparato
dalla mafia – in una strada in cui doveva passare il presidente Ciampi, il 27
luglio c’è la strage di Milano e l’esplosione delle chiese a Roma, e nel giugno
del 1993 iniziano i preparativi per la strage all’Olimpico che doveva essere
attuata nel ‘94. Si fanno i primi sopralluoghi. Una sequenza di stragi che mette
in fortissima crisi il governo Ciampi: Ciampi dice di rendersi conto che si
vuole creare un colpo di Stato, e prende un’iniziativa significativa: azzera i
vertici dei servizi segreti, li sostituisce e mette in campo una riforma degli
stessi servizi segreti. (…) Nel frattempo (…) si sta creando una nuova forza
politica che vedrà la luce qualche mese dopo e che vincerà le elezioni del 1994,
e in quel gennaio del 1994 – come dirà Graviano, uno degli strateghi e dei
conoscitori della strategia che c’è dietro le stragi del 1992-1993 – bisognava
dare “un colpo di grazia definitivo”. (…) Quella strage – una strage con circa
200 morti – avrebbe veramente messo in ginocchio l’Italia, determinato la caduta
del governo, creato una situazione di panico collettivo, aperto la strada a
qualunque nuova forza politica si fosse presentata, in quel momento, come forza
in grado di riprendere in mano le redini di un paese stremato e in ginocchio.
(…)
È motivo di riflessione il fatto che nel
processo ‘ndrangheta stragista Graviano rappresenta se stesso come uno che è
stato tradito. “Io sono stato tradito. Volete sapere chi sono i veri mandanti
delle stragi? Andate a cercare quelli che mi hanno fatto arrestare”. (…) Quando
Graviano dice questa cosa, in qualche modo indica un sistema criminale che in
qualche modo, insieme alla mafia, era composto da pezzi di potere deviato,
servizi segreti e altre entità. Quindi tu, Antonio Padellaro, sei un
sopravvissuto, e potevi essere l’ennesima vittima del gioco grande del potere
(…) un gioco del potere condotto da persone di estrema crudeltà, che hanno
sempre considerato gli altri come moneta di scambio per mantenere un sistema che
si fondava su poteri marci.
2020 Editoriale il Fatto