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LA FINTA ANTIMAFIA,.L’antimafia dei pennacchi e delle bandierine

LA FINTA ANTIMAFIA,.L’antimafia dei pennacchi e delle bandierine

Nella società dello spettacolo anche la lotta alla mafia ha assunto sempre più aspetti spettacolari. Da qui alla speculazione affaristica il salto è breve. E così oggi in molti, più che lottare, ci campano. Tre libri denunciano questa degenerazione.

Attilio Bolzoni

Che fine ha fatto l’Antimafia
Svergognata da approfittatori e mercenari, sorvegliata speciale da commissioni parlamentari, diventata nei casi più indecenti oggetto d’indagine giudiziaria, l’Antimafia dei pennacchi e delle bandiere si sta suicidando. Mancanze e silenzi l’hanno trascinata nelle sabbie mobili, convenienze e scandali l’hanno mandata sotto processo. Soffocata dalla retorica, in questo 2016 è precipitata nelle pagine dei libri. Sarà l’anno delle pubblicazioni contro coloro che dicono di stare
dall’altra parte, fondazioni, federazioni, associazioni, comitati e circoli — nei registri di Comuni e Regioni se ne registrano pressappoco duemila — una giungla di sigle e di acronimi dietro le quali spesso si nasconde solo la voglia di agguantare il finanziamento più ricco. Convegni, conferenze, progetti, carovane, girotondi. In tempi di scialo c’è chi ha lanciato sul mercato della legalità anche la «sciata antimafia».


La realtà riversa la sua materia nelle cronache e nei saggi, le ipocrisie e le doppiezze di un mondo che ha smarrito il suo spirito originario vengono riportate in tre testi — e sono solo quelli annunciati, nel frattempo un paio di case editrici hanno preso contatto con altri autori — che usciranno uno dopo l’altro in libreria.


Il primo è già in distribuzione per il 15 febbraio, Contro l’Antimafia (il Saggiatore), firmato dal giornalista Giacomo Di Girolamo. Seguirà Antimafia Spa (Chiarelettere), scritto dal redattore dell’Espresso Giovanni Tizian e dal suo collega del Fatto Quotidiano Nello Trocchia. Poi arriverà Le trappole dell’Antimafia (Laterza) di Enrico del Mercato ed Emanuele Lauria, tutti e due di Repubblica. Molto è già rivelato nei titoli, il resto è denuncia e inchiesta intorno a un movimento che è sprofondato.

Nata ufficialmente una trentina di anni fa subito dopo l’uccisione del generale Carlo Alberto dalla Chiesa e riconosciuta come «forza» dopo le stragi Falcone e Borsellino del ’92, l’antimafia moderna — era antimafia anche quella dell’occupazione dei feudi ma non sapeva ancora di chiamarsi così — oggi in Italia sembra non rappresentare più un’altra voce. È compromessa, ammaestrata, consociativa, dipendente da generose e incontrollate elargizioni che le hanno messo il bavaglio. Fa sola la mossa. Urla nei cortei ma tace nei Palazzi. Tratta e sta zitta. Che fine ha fatto l’Antimafia guardiano del potere che, qui in Italia, con le mafie ha sempre stretto patti?


Negli ultimi mesi ha gettato la maschera. Le oscenità dei giudici siciliani che gestivano i beni confiscati come in un suq, l’arresto per tangenti del presidente della camera di commercio di Palermo Roberto Helg, la condanna per truffa all’icona delle «Donne di San Luca» Rosy Canale che con i contributi europei comprava abiti firmati e auto di lusso, il direttore del «Museo della ‘Ndrangheta » Claudio La Camera indagato per appropriazione indebita, l’ex senatore Lorenzo Diana della commissione parlamentare antimafia accusato di associazione camorristica, il catanese Domenico Costanzo — che si accreditava come il più illuminato e incorruttibile degli imprenditori — inghiottito negli appalti Anas. E poi Antonello Montante, il vice- presidente nazionale di Confindustria con delega alla legalità, sospettato di avere avuto un «rapporto continuativo» con Cosa Nostra da un quarto di secolo.


Un grande raggiro che oltrepassa la profezia di Leonardo Sciascia su I Professionisti dell’Antimafia, pubblicata sul Corriere nel gennaio 1987. Riflessione sincera con esempi sbagliati (il sindaco di Palermo Luca Orlando e il giudice Paolo Borsellino) e infelice nei tempi. Le parole dello scrittore furono il pretesto, nei mesi cruciali del maxi processo, per scatenare anche favoreggiatori e complici.
Ma cosa renderanno noto questi libri dedicati ai «paladini» di mestiere a gettone di presenza, ai protettori unici ed esclusivi della memoria di eroi caduti in terre di mafia? Di soldi, tanti. Quelli provenienti dai fondi del ministero dell’Interno e da quelli spartiti senza bando dall’Istruzione, denaro che esce dalle casse di amministrazioni pubbliche per saziare relatori, consulenti, esperti, consiglieri. Un assalto a incarichi — in fondazioni bancarie e regioni — con in prima linea anche i dirigenti delle associazioni più rappresentative.


Attrazioni fatali con i colossi delle cooperative, intimità fra antimafia di piazza e antimafia da salotto, relazioni morbose coltivate intorno ai soliti «protocolli di legalità», commistioni con cerchie ambientaliste sempre più spregiudicate. E poi la carica delle parti civili. Non c’è gruppo o gruppetto che non provi a costituirsi come «soggetto danneggiato » in un grande processo — da Mafia Capitale a quello sulla trattativa Stato-Mafia — aprendo sedi improvvisate nella città dove si celebra il dibattimento. È un baraccone itinerante, un circo. A volte, anche un trampolino per la politica. Nominati per virtù antimafiose. Scrive Di Girolamo: «L’Antimafia ha perso perché si è creato un circuito in cui tutti ci guadagnano..».


Ferma, in posa perenne, incapace di intercettare le nuove forme di criminalità, prigioniera di gesti e simboli ormai prosciugati di ogni significato, è sotto accusa dal basso e dall’alto. Il presidente del Senato Pietro Grasso l’ha richiamata «a guardarsi dentro e ad abbandonare ogni pretesa di primazìa». Il procuratore capo di Palermo ha puntato il dito contro «quella di facciata che serve solo per far carriera». Il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini ha manifestato il suo «sconcerto» per la vicenda dei patrimoni sequestrati convertiti in commercio familiare. Il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha annunciato preoccupato la convocazione degli «Stati generali dell’Antimafia».


La prima però a intuire che c’erano delle storture — già un anno fa — è stata Rosy Bindi, presidente della Commissione parlamentare antimafia. Ha aperto un’istruttoria, in molti hanno subito ironizzato sul paradosso: «l’antimafia che indaga sull’antimafia ». I fatti le hanno dato ragione. Qual è l’obiettivo della Bindi? Scoprire zone d’ombra e collusioni nel movimento, proteggere quel che di buono c’è — e non è poco — per «rilegittimarlo smascherando ambiguità che obiettivamente esistono». Ce la farà? Più piovono critiche e rimproveri e più alcune associazioni si blindano intorno alla loro (ormai molto presunta) purezza, titolari di verità assolute come nelle sette, ostili a ogni dialogo e astiose a ogni dissenso.


Questi tre libri accenderanno ancora di più una «discussione» che già unisce e divide. E non solo sulle esitazioni, i tornaconti di un’antimafia sociale che ha mutato il suo Dna. Ma anche sui travestimenti. «La mafia fa schifo» è uno slogan che ormai piace pure ai mafiosi. La mafia ha scoperto che l’antimafia è diventato un valore, un «capitale» per se stessa. È il luogo giusto per nascondersi. La mafia non è più quella che spara.


Che cos’è oggi la mafia? «Io non so più come raccontarla», dice Letizia Battaglia, la grande fotografa di Palermo. Fra gli anni ’80 e ’90 la ritraeva con i morti a terra o con i boss dietro le sbarre, oggi Letizia si aggira per la sua città senza trovarla più. È uno specchio. Con un’antimafia allo sbando che non riconosce più il proprio nemico. Cos’è oggi la mafia?

 

La Repubblica – 12 febbraio 2016, in posa perenne, incapace di intercettare le nuove forme di criminalità, prigioniera di gesti e simboli ormai prosciugati di ogni significato, è sotto accusa dal basso e dall’alto. Il presidente del Senato Pietro Grasso l’ha richiamata «a guardarsi dentro e ad abbandonare ogni pretesa di primazìa». Il procuratore capo di Palermo ha puntato il dito contro «quella di facciata che serve solo per far carriera». Il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini ha manifestato il suo «sconcerto» per la vicenda dei patrimoni sequestrati convertiti in commercio familiare. Il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha annunciato preoccupato la convocazione degli «Stati generali dell’Antimafia».


La prima però a intuire che c’erano delle storture — già un anno fa — è stata Rosy Bindi, presidente della Commissione parlamentare antimafia. Ha aperto un’istruttoria, in molti hanno subito ironizzato sul paradosso: «l’antimafia che indaga sull’antimafia ». I fatti le hanno dato ragione. Qual è l’obiettivo della Bindi? Scoprire zone d’ombra e collusioni nel movimento, proteggere quel che di buono c’è — e non è poco — per «rilegittimarlo smascherando ambiguità che obiettivamente esistono». Ce la farà? Più piovono critiche e rimproveri e più alcune associazioni si blindano intorno alla loro (ormai molto presunta) purezza, titolari di verità assolute come nelle sette, ostili a ogni dialogo e astiose a ogni dissenso.


Questi tre libri accenderanno ancora di più una «discussione» che già unisce e divide. E non solo sulle esitazioni, i tornaconti di un’antimafia sociale che ha mutato il suo Dna. Ma anche sui travestimenti. «La mafia fa schifo» è uno slogan che ormai piace pure ai mafiosi. La mafia ha scoperto che l’antimafia è diventato un valore, un «capitale» per se stessa. È il luogo giusto per nascondersi. La mafia non è più quella che spara.


Che cos’è oggi la mafia? «Io non so più come raccontarla», dice Letizia Battaglia, la grande fotografa di Palermo. Fra gli anni ’80 e ’90 la ritraeva con i morti a terra o con i boss dietro le sbarre, oggi Letizia si aggira per la sua città senza trovarla più. È uno specchio. Con un’antimafia allo sbando che non riconosce più il proprio nemico. Cos’è oggi la mafia?

 

La Repubblica – 12 febbraio 2016