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LA FACCIA NASCOSTA DI GOMORRA

LA FACCIA NASCOSTA DI GOMORRA

03/11/2013

Perché le dichiarazioni di Carmine Schiavone rimasero segrete? Fece le rivelazioni e consegnò i documenti alla Commissioni rifiuti nel 1997, ma tutto rimase nel cassetto. Se fossero state rese note si sarebbe potuta fermare l’attività di diversi trafficanti di rifiuti. I quali, invece…

Andrea Palladino

Se pensate al luogo simbolo dei traffici dei rifiuti, scordatevi Casal di Principe. Con la mente andate molto più a Nord, nel cuore della Toscana, nella zona della Lunigiana. Tra la bella Viareggio e il porto di Marina di Carrara. Passando per Pietrasanta. Qui batte il cuore del business criminale dei veleni.

Prima della desecretazione delle carte allegate all’audizione del 1997 di Carmine Schiavone, già era ben conosciuto il ruolo strategico di questo pezzo d’Italia del Centro-nord. Due le inchieste che l’hanno colpita in pieno, Re Mida e Cassiopea. Due sconfitte per la giustizia italiana, finite con prescrizioni arrivate al termine di iter giudiziari tortuosi e perdenti.

Il 7 ottobre del 1997 Carmine Schiavone si presenta davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta sui rifiuti presieduta da Massimo Scalia. Parla a lungo, probabilmente per ore (la trascrizione stenografica occupa 42 pagine). Con sè ha alcuni documenti, pezzi chiave per supportare il suo racconto.

Il primo è su carta intestata della presidenza della Provincia di Massa Carrara, all’epoca retta dal socialista Ermanno Di Casale. Autorizza la società Masan srl di Massa ad inviare i rifiuti speciali prodotti dalle tante industrie toscane – incluse le concerie – verso la Campania. L’allegato di tre pagine è il lungo elenco di targhe e di nomi di trasportatori, quasi un centinaio: Caserta, Latina e Roma sono le tre provincie più presenti. «Tra quei camion c’è anche uno dei miei automezzi», rivela oggi Carmine Schiavone.

«È l’inizio del grande traffico di rifiuti dal Nord verso il Sud, veleni che finiranno in buona parte in discariche messe su alla buona, senza protezioni ambientali o in cave svuotate per estrarre la sabbia destinata alle grandi opere del Sud. «Noi appena tocchiamo la monnezza la facciamo diventare oro», diceva il Re Mida dei rifiuti Luigi Cardiello in una telefonata intercettata dal Reparto ambientale dei carabinieri.

Un nome da annotare, questo. Originario di Salerno, vive da decenni nella Versilia, operando con alcune società con sede legale a Pietrasanta. Cardiello è amico – e coimputato in un’inchiesta nata nel 2004 a Rieti – di un altro imprenditore molto noto in Toscana, Massimo Dami. È lui il titolare della Masan, la società citata nei documenti allegati all’audizione desecretata di Carmine Schiavone. Legato all’ambiente politico dei socialisti (è finito recentemente in una inchiesta giudiziaria sul suo ruolo di vertice nella fondazione Turati di Pistoia), oggi cinquantatreenne, ha proseguito senza grandi problemi la sua attività nei “servizi ambientali”.

L’unico vero intoppo è arrivato quando la Masan, una decina di anni fa, si è presentata a Rieti per gestire un’attività di compostaggio. Lo ha potuto fare senza creare allarme, visto che nulla appariva negli archivi. Racconta il presidente della Provincia di Rieti Mario Perilli, davanti alla commissione rifiuti il 21 luglio 2004: «Per quanto riguarda la questione dei requisiti, ho con me una nota della Polizia provinciale dell’11 febbraio 2004, in cui il responsabile attesta di aver controllato il casellario giudiziario del tribunale e di non aver riscontrato elementi ostativi nei confronti del signor Dami Massimo rispetto ai requisiti per poter svolgere questo tipo di attività».

Sarebbe bastato che quella stessa Commissione attiva nel 2004 estraesse dagli archivi il racconto di Carmine Schiavone del 1997. C’era un segreto che i parlamentari avrebbero potuto togliere, bloccando i traffici di quella società che negli anni Ottanta lavorava con i Casalesi.

A Rieti – dove il titolare della Masan Dami è stato alla fine condannato in primo grado a quattro anni di reclusione, pena poi decaduta per prescrizione durante l’appello – l’attività di quella società avrebbe provocato, secondo la Procura, un «danno ambientale rilevante». Ha spiegato il Pm Cristina Cambi, durante la requisitoria: «I rifiuti che venivano introdotti da autotrasportatori compiacenti all’interno della Masan, non venivano lavorati e, invece di restare tre mesi per essere sottoposti al trattamento, riuscivano quasi subito, mischiati a quelli prodotti dall’azienda e destinati a realizzare il fertilizzante».

E oggi gli affari dei soci della Masan sono tornati al Sud, nella zona di Venafro. Tutto regolare, ovviamente. Business as usual. I processi andati a buon fine contro i produttori e i broker dei rifiuti del Nord si contano sulle dita di una sola mano. Mancando il reato di partecipazione a una associazione mafiosa, i crimini ambientali hanno tempi di prescrizione brevissimi.

Gran parte dei trasportatori indicati da Carmine Schiavone non hanno subito nessuna conseguenza e alcuni di loro hanno proseguito senza grandi problemi la loro attività. È difficile ricordare anche solo un nome di una delle tante aziende chimiche italiane che hanno sversato le scorie pericolose finita poi in una sentenza di condanna. La faccia ancora nascosta di Gomorra.

Fonte:www.famigliacristiana.it