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La diplomazia del boss. Il ruolo di Gennaro De Angelis secondo i pentiti

Referente dei casalesi ma anche figura cerniera tra clan di diversa provenienza e matrice criminale. Dalle 93 pagine del decreto di sequestro, emerge la figura di un boss capace di dialogare con tutti. Da Formia a Cassino, da Caserta a Napoli, dalla Germania all’Europa dell’Est. Di Gennaro De Angelis, destinatario insieme ad altri due complici degli oltre 100 milioni di euro di sequestri che martedì la Dia di Napoli ha eseguito tra il sud pontino e la bassa Ciociaria, parlano diversi pentiti. Come i casalesi Carmine Schiavone, Dario De Simone, Franco Vona, Luigi Diana, Domenico Bidognetti. C’è il ras di Mondragone, Augusto La Torre ed il boss di Forcella Salvatore Giuliano. «Pentiti attendibili» – per il Tribunale di Frosinone. Oltre a rivelare il traffico illecito di armi americane che De Angelis avrebbe intrattenuto negli anni ’80 con militari in servizio alla Us Navy di Gaeta, il pentito Carmine Schiavone ricostruisce nel dettaglio le attività di De Angelis e il ruolo svolto nel clan. Era lui, spiega, ad investire i soldi sporchi in Ungheria, Germania e Romania. Sempre lui ad indicare i cantieri del sud pontino da sottoporre al “pizzo” di Michele Zagaria, Augusto La Torre, Mario Esposito detto «’o muzzone» e Alberto Beneduce. De Angelis aveva il compito di fare da paciere. Si accordava sulla cifra, prendeva i soldi e li portava ai capi dei gruppi armati che gli versavano una quota. Secondo il pentito La Torre subì il pizzo anche l’impresa che a fine anni ’80 si occupava della raccolta dei rifiuti di Gaeta. Affari e alleanze. Il pentito Luigi Diana indica De Angelis come colui che aprì la porta del sud pontino ai clan di Afragola. «Fu proprio Antonio Bardellino a presentargli Enzo Moccia, che era latitante. Gli diede aiuto per nascondersi nella zona di Formia-Cassino». Si occupava anche di usura. «Prestava a tassi mensili del 4-5% – spiega Diana – oppure entrava in società con l’imprenditore in difficoltà. Se poi questi non onorava il debito veniva estromesso». De Angelis si incontrava spesso anche col boss Salvatore Giuliano, interessato alle truffe milionarie sull’import-export di auto provenienti dalla Germania. Violenza come negazione della libertà. Una volta, spiega La Torre, «chiesi a De Angelis di minacciare il proprietario di un terreno di Gaeta». Era dirimpettaio di un amico del boss e non voleva saperne di cedere l’appezzamento. Il clan trovò il modo di convincerlo.
Simone Pangia

(Tratto da La Provincia)