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La “cordata” in divisa

La “cordata” in divisa

Dal contenuto delle intercettazioni sopra riportate, relative alle conversazioni intercorse tra DE ANGELIS e GRACEFFA e tra DE ANGELIS e DI SIMONE, emergerebbero, ad avviso del P.M., significative spie circa la sussistenza di una stabile struttura associativa che legava DE ANGELIS a DI SIMONE e a MONTANTE.

A tal fine occorre considerare:

~ il riferimento, contenuto in una conversazione telefonica (progr. n. 244 del 2 maggio 2016) intercorsa tra DI SIMONE e GRACEFFA, alla loro comune appartenenza ad una medesima “cordata”;

~ l’ulteriore elemento, tratto dalla intercettazione di un’altra conversazione (progr. n. 9252 del 19 luglio 2016), in cui DI SIMONE, a proposito dei veleni scatenati dalla divulgazione, da parte di CICERO e VENTURI, di link contenenti articoli contrari a MONTANTE, intendeva elidere ogni dubbio sulla fedeltà a quest’ultimo da parte della moglie di DE ANGELIS, divenuta segretaria

particolare di CICERO grazie ai buoni uffici proprio di MONTANTE, e, conseguentemente, dimostrare la lealtà dei “suoi”, così alludendo all’esistenza di un gruppo stabile di persone, riconducibili allo stesso DI SIMONE, su cui l’imprenditore doveva nutrire fiducia indiscussa;

~ il numero degli accessi abusivi allo S.D.I. e la loro collocazione temporale.

E’ utile, in proposito, ripercorre la argomentazioni accusatorie, confluite nell’ordinanza cautelare (da p. 751), per poi verificarne la tenuta rispetto al complesso degli elementi di prova ricavabili dagli atti:

Si dirà di qui a poco degli elementi di carattere oggettivo che giustificano la conclusione secondo cui gli elementi acquisiti nel corso delle indagini esperite dimostrano l’esistenza di un contesto di soggetti stabilmente dedito al procacciamento di notizie in favore del MONTANTE attraverso accessi abusivi alle banche dati in uso alle forze di polizia.

In premessa, va tuttavia richiamato il contenuto di due telefonate intercettate nell’ambito del procedimento in quanto fortemente dimostrative dell’esistenza, per ciò che qui rileva, di una cerchia di soggetti, rappresentata dagli odierni indagati, legata da rapporti strettamente fiduciari al MONTANTE ed alla propaggine di questi rappresentata da Diego DI SIMONE al fine di commettere le illecite condotte di cui si è sin qui dato conto.

In tal senso, viene in rilievo, in primis un passaggio della telefonata intercorsa, il 2 maggio 2016, tra il DE ANGELIS ed il GRACEFFA (già poc’anzi richiamata sia in relazione all’accertamento SDI che il DE ANGELIS aveva richiesto, quel giorno, al GRACEFFA, sia nella parte in cui i due avevano discusso delle aspettative del DE ANGELIS in relazione al suo trasferimento alla D.I.A. di Palermo).

Sempre in quella occasione, infatti, (conversazione nr. 244), il DE ANGELIS stimolava il suo interlocutore ad un commento sul nuovo capo della Polizia chiedendogli se fosse “contento” della recente nomina del Prefetto Franco GABRIELLI ed il GRACEFFA mostrava, al riguardo, la propria totale indifferenza (“a me proprio non mi cambia niente.. ”) subito aggiungendo, però, una considerazione estremamente significativa ai fini del procedimento.

Il GRACEFFA, infatti, testualmente evidenziava che “l’unico problema nostro è se cambia la cordata… capito? la…la potrebbe interessarci la cosa”, venendo, però, immediatamente interrotto dal DE ANGELIS (“no basta, si, si, si, non ti faccio sbilanciare”), che evidentemente non riteneva prudente approfondire simili discorsi al telefono.

Ebbene, può dirsi innanzitutto certo come il GRACEFFA, nel parlare della “cordata”, non avesse affatto inteso riferirsi all’ambiente della Polizia di Stato, avendo poco prima mostrato un”assoluta noncuranza rispetto all’avvicendamento al vertice, che riteneva totalmente ininfluente per la propria personale posizione.

Il GRACEFFA, poi, usava eloquentemente il plurale (“l’unica problema nostro”) allorché passava a rappresentare al DE ANGELIS l”unica situazione, in astratto, in grado di incidere, a suo parere, sulla vita di entrambi e cioè il possibile cambiamento della “cordata Ebbene, non si può che sottolineare come l’unica situazione che dal contenuto delle intercettazioni disposte nell’ambito del procedimento può dirsi accomunare tanto il DE ANGELIS che il GRACEFFA è quella relativa alle interrogazioni in banca dati SDI che il primo continuamente sollecita al secondo per conto del DI SIMONE e, quindi, del MONTANTE.

Sicché, pare ovvio concludere che la “cordata” cui si riferiva il GRACEFFA fosse proprio quella che lega il loro ex collega DI SIMONE al MONTANTE, così peraltro dimostrando la perfetta consapevolezza della destinazione e finalità ultime delle notizie abusivamente carpite attraverso gli strumenti a disposizione, per ragioni di servizio, all’interno della Polizia di Stato.

A tal proposito, non pare superfluo rammentare che, nel periodo in cui veniva captata la telefonata di cui si tratta, non era ancora stato nominato il Presidente di Confindustria nazionale (Vincenzo BOCCIA, infatti – pur essendo stato designato a Presidente, alla fine di marzo del 2016, dal Consiglio generale degli industriali – veniva eletto dall’assemblea generale solo in data 25 maggio 2016) e, quindi, agli occhi di soggetti estranei a quell’ambiente non era ancora chiaro se le vicende giudiziarie che avevano coinvolto il MONTANTE avrebbero potuto comportare, come diretta conseguenza, una perdita del potere che quest’ultimo aveva acquisito nel corso degli anni.

Di qui l’ovvio timore che l’imprenditore di Serradifalco potesse essere messo di lato e che, quindi, potesse venire a mancare un prezioso punto di riferimento utile per indirizzare, all’occorrenza, richieste che il MONTANTE ha dimostrato di sapere sapientemente soddisfare attraverso i canali creati proprio in ragione della visibilità e del credito acquisito grazie anche alla progressiva scalata di posizioni all’interno dell’associazione nazionale degli industriali.

 

[…] DE ANGELIS, nel corso del proprio esame (cfr. verbale dell’udienza del 18 dicembre 2018, da p. 29), ha provato a giustificare l’utilizzo del termine “cordata” riferendolo a correnti interne alla questura, […].

In verità tale spiegazione appare soltanto un modo artificioso di giustificare ciò che non può essere giustificato.

Infatti, non si riesce a cogliere, innanzitutto, la ragione per la quale DE ANGELIS, di fronte a quella che avrebbe dovuto costituirebbe – secondo l’esegesi da lui proposta – una presunta lagnanza di GRACEFFA verso il Dott. RUPERTI, avesse immediatamente indotto l’interlocutore a cambiare argomento (“…no basta…si si si… non ti faccio sbilanciare… invece di…”).

In fondo, non si comprende quali conseguenze sarebbero potute discendere dalla captazione intercettiva di una critica verso un superiore gerarchico.

In secondo luogo, il concetto di “cordata”, riferito al dirigente della squadra mobile e al questore, è privo di riscontro concreto, posto che l’insediamento di un questore in una provincia non ha mai determinato l’automatica caducazione del dirigente della squadra Mobile in carica, in quanto il trasferimento dei questori non risulta legato assolutamente al trasferimento dei dirigenti dei

singoli uffici. L’affermazione contraria di DE ANGELIS, per cui il rapporto tra questore e dirigente dell’ufficio investigativo sarebbe informato al principio simul stabunt simul cadent, è soltanto parzialmente vera, nel senso che il questore potrebbe decidere una rotazione dei dirigenti in servizio negli uffici di P.S. della provincia, senza che ciò determini la formazione o la individuazione di

una “cordata”.

In terzo luogo, accogliendo l’interpretazione che DE ANGELIS vorrebbe accreditare come “autentica”, si assiste ad una distonia tra il linguaggio oggettivamente utilizzato dai loquenti e il significato che si vorrebbe attribuire alla conversazione.

Infatti, l’impiego dell’aggettivo possessivo “nostro” (“…l’unico problema nostro…l’unico problema nostro è se…”) fa evidente riferimento ad una situazione che accomuna GRACEFFA e DE ANGELIS, mentre il “problema” della presunta “cordata” non avrebbe mai potuto tangere DE ANGELIS, che il Dott. RUPERTI non lo aveva neppure conosciuto (“…Io non l’ho mai avuto e non l’ho mai conosciuto e non ho mai fatto servizio sotto la sua Direzione …”, esame cit., p. 29 e s.) e non aveva neanche la prospettiva di conoscerlo, posto che alla data della conversazione – 2 maggio 2016 – DE ANGELIS era in attesa del trasferimento alla D.I.A. di Palermo (in realtà, mai avvenuto), che costituisce un ufficio interforze privo di qualsivoglia rapporto di subordinazione con l’ufficio

della squadra mobile.

Questo, comunque, non è l’unico elemento che sorregge l’accusa associativa.

L’ordinanza cautelare, infatti, ha messo in luce un ulteriore dato che esprimerebbe una rilevante significatività nella direzione dell’esistenza di una stabile organizzazione tra gli imputati, nella specie identificati, oltre che in MONTANTE, in DI SIMONE e DE ANGELIS.

Esso può essere colto dalla lettura diretta dei passaggi argomentativi del provvedimento (da p. 754) ed è relativo, come anticipato, alle fibrillazioni che seguirono alla circolazione, per iniziativa di CICERO e VENTURI, di alcuni link di articoli improntati ad una forte critica nei riguardi di MONTANTE, link che erano finiti anche nelle mani della moglie di DE ANGELIS e dello stesso MONTANTE.

Ciò, in particolare, aveva fatto insinuare il dubbio, nel foro (non troppo) interno di MONTANTE, che Rosaria SANFILIPPO avesse potuto concorrere nell’attacco alla sua persona, tradendo il vincolo fiduciario:

Un’ulteriore conversazione telefonica estremamente rilevante ai fini che qui interessano è quella che veniva intercettata il 19 luglio 2016 (della quale, anche in tal caso, si è dato conto in precedenza) ed intervenuta, questa volta, tra il DE ANGELIS ed il DI SIMONE.

In tale occasione, infatti il DI SIMONE evidenziava al DE ANGELIS che: alcuni giorni prima “Lilli” gli aveva segnalato due articoli – che si erano poi rivelati i primi di una lunga serie – mettendolo sull’avviso che dietro agli stessi vi fosse la regia dei “due che sappiamo noi ” e che il DI SIMONE indicava come “quello suo e l’altro, il pentito ” (individuabili, come si dirà, in Alfonso CICERO e Marco VENTURI). Costoro, a dire sempre del DI SIMONE, avevano dapprima fornito il materiale utile alla loro pubblicazione e, successivamente, avevano diffuso i link relativi al loro contenuto via e-mail o via whatsapp ad una “pletora di gente ” tra i quali anche qualcuno che erroneamente avevano reputato dalla loro parte, ma che, in realtà, aveva poi informato dell’opera di diffusione che stavano facendo “il destinatario ” degli articoli medesimi e cioè il MONTANTE;

il “destinatario”, a quel punto, si era chiesto “ma com’è che è arrivata questa cosa…minchia guarda che stanno facendo tutto sto bordello di qua e di la… ” e, sempre dal tenore complessivo delle parole pronunciate dal DI SIMONE, si riusciva anche a comprendere che, in relazione a quella vicenda, “il destinatario” (id est sempre il MONTANTE) aveva pure per qualche momento dubitato dell’affidabilità della stessa “Lilli” e, dunque, di riflesso del DE ANGELIS, posto che, come si dirà, “Lilli” altri non è che SANFILIPPO Rosaria, moglie del DE ANGELIS medesimo.

Ci si permette di osservare che le circostanze rappresentate dal DI SIMONE al proprio interlocutore corrispondono in maniera esatta all’usuale schema comportamentale del MONTANTE, laddove si tenga in considerazione che, come evidenziato in precedenza, la SANFILIPPO, proprio su input dell’imprenditore nisseno, era stata chiamata da Alfonso CICERO a collaborare con la sua persona allorché si era insediato come Commissario straordinario dell’IRSAP. Sicché, può dirsi perfettamente coerente alla logica di pensiero del MONTANTE (impregnata, come già ampiamente illustrato in precedenza, di un diffuso sospetto verso chi lo circonda e dalla continua pretesa di una netta presa di posizione in suo favore contro i suoi “nemici”, da parte di coloro che reputa più vicini) il fatto che questi abbia potuto dubitare della SANFILIPPO in virtù dello stretto rapporto che in passato aveva avuto con chi, in quel momento, giudicava di certo come un proprio avversario e cioè Alfonso CICERO; ebbene, proprio la situazione che si era venuta a creare costituiva, a dire del DI SIMONE, il motivo per il quale questi aveva contattato il DE ANGELIS, cui infatti chiedeva di interessare “Lilli” per verificare se avesse “una mail dalla quale risulta l’origine che viene dal suo…perché dell’altro non lo può avere…ma del suo…che (inc) che la mano è sua”.

In altre parole, il DI SIMONE chiedeva al DE ANGELIS di poter avere da “Lilli” la mail che le era giunta – nella quale erano contenuti i link degli articoli che gli aveva poi lei stessa segnalato per prima – al fine di poter avere la prova tangibile che a diffonderne il contenuto erano stati il CICERO ed il VENTURI, circostanza che il DI SIMONE reputava peraltro pacifica, poiché confermatagli da numerose persone che lo avevano contattato per rappresentargli la situazione.

Il DI SIMONE evidenziava anche che si trattava di un accertamento da fare “in maniera ovviamente del tutto riservata e tutelata ” sottolineando al DE ANGELIS – che chiedeva se necessitasse un “verbale di sommarie informazioni ” (pare di comprendere che si trattasse di una vera e propria attività d’indagine) – che occorrevano delle dichiarazioni “…spontanee e secretate…”.

Il DI SIMONE chiariva anche al DE ANGELIS – e si tratta della parte della conversazione maggiormente rilevante ai fini che qui interessano – che l”inoltro di quella mail da parte di “Lilli” gli serviva in particolare per “smentire… a me personalmente questa cosa mi fa gioco per smentire quello che tu sai…quello che abbiamo parlato._.ti ricordi? Perché laddove ci fosse l’un per cento del dubbio sulla affidabilità o sul fatto che faccia parte della squadra…questo dubbio io lo…Lo fuggo, bravo…lo fugo…lo fugo e c’u ‘mpiccicu nta facci e ci dicu “I miei non sono i suoi! I miei su mia! E iu sugnu sicuru ca a mia un mi tradi’sciunu… “….lasciamelo dire… ”.

Le parole del DI SIMONE venivano, poi, confermate anche dal DE ANGELIS, il quale – ad ulteriore riprova dell’atteggiamento di assoluta “fedeltà” al DI SIMONE ed al MONTANTE – si chiedeva come potessero essere stati il CICERO ed il VENTURI tanto sprovveduti da inviare una mail contenente il link degli articoli riguardanti il MONTANTE anche alla moglie Rosaria, pur conoscendo il rapporto estremamente stretto che li lega allo stesso DI SIMONE ed essendo, perciò, di certo prevedibile, che costui venisse immediatamente informato di quanto stesse avvenedo.

 

[…] Per mera completezza, va osservato che “Lilli” si identifica con certezza nella predetta Rosaria SANFILIPPO, laddove si consideri che:

il DI SIMONE, nella telefonata appena riportata, evidenziava al DE ANGELIS che non si sarebbe permesso di chiedere alcunché alla donna prima di averne parlato con lui, a dimostrazione dello stretto legame che di certo doveva esistere tra i due;

la SANFILIPPO è, allo stato, ancora dipendente dell’IRSAP e nel sito di detto ente è ricavabile la mail dalla stessa utilizzata (++++++@+++++++) che dimostra come la donna sia comunemente chiamata con il soprannome di “Lilla”, del tutto assimilabile, cioè, al diminutivo utilizzato dal DI SIMONE nella telefonata che qui viene in rilievo;

infine, l’individuazione di “Lilli” nella SANFILIPPO rende anche coerente e perfettamente comprensibile il passaggio della conversazione in cui il DI SIMONE indicava una delle due persone sospettate di aver diffuso gli articoli sul conto del MONTANTE come “quello suo “, alludendo, cioè, al già descritto rapporto di collaborazione tra la stessa SANFILIPPO ed il CICERO allorché questi divenne Commissario straordinario dell`IRSAP_ Facile concludere come l’altro soggetto – “il pentito ” cioè – dovesse identificarsi, secondo le parole utilizzate dal DI SIMONE, in Marco VENTURI.

Va altresì rilevato che gli articoli di stampa cui faceva riferimento il DI SIMONE possono individuarsi, con ragionevole certezza, in quelli pubblicati sul giornale on-line “Sicilia Cronaca” in data 8.7.2016 ed in data 14.7.2016 intitolati rispettivamente “Il presunto mafioso Antonello Montante chiama, l’assessora regionale Mariella Lo Bello risponde ed il 5 luglio si precipita a Caltanissetta” e “Cavalier Montante, mafioso o no, ma mizzica, la Vancheri, sua ex donna tuttofare, mentre era assessora regionale, quante vacanze “intelligenti ” si è fatta, a spese di noi cretini?” (cfr. all. nr. 159 – n.2 articoli di giornale).

Trova, inoltre, conferma l”ulteriore circostanza indicata dal DI SIMONE al DE ANGELIS secondo cui, in relazione agli articoli in questione, si stesse “procedendo legalmente ”, come desumibile dalla conversazione telefonica intercorsa, il giorno precedente, tra lo stesso DI SIMONE ed il MONTANTE (si tratta della conversazione in precedenza riportata allorché si è trattato degli accertamenti chiesti dall’imprenditore di Serradifalco sul numero “Wind” poi effettuati dal PERNICIARO) con la quale lo stesso MONTANTE si doleva della lentezza con la quale si stesse affrontando la questione relativa alla denuncia che egli intendeva sporgere.

Orbene, prescindendo dal merito della questione, in verità un po’ stucchevole, trattata dal DI SIMONE nella telefonata in questione, ciò che più interessa in questa sede è la perfetta consapevolezza che traspare dalle parole da questi pronunciate di poter disporre di “una squadra composta da soggetti di sua completa fiducia e che aveva poi introdotto nella sfera orbitante attorno al MONTANTE sapendo che costoro non avrebbero mai “tradito” (“I miei non sono i’ suoi/ I miei su mia! E iu sugnu sicuru ca a mia un mi tradísciunu…”…”).

In altre parole, è lo stesso DI SIMONE a fornire una inoppugnabile conferma dell’esistenza di un contesto stabilmente legato, attraverso la sua persona, al MONTANTE sin dal momento in cui egli era transitato in Confindustria nazionale e del quale fanno certamente parte, per ciò che si è potuto accertare dalle indagini sin qui svolte, il DE ANGELIS ed il GRACEFFA con il preciso compito di attingere, abusando delle possibilità offerte dall’appartenenza alla Polizia di Stato, informazioni di natura riservata da riversare poi all’imprenditore di Serradifalco.

 

[…] In realtà, negli articoli individuati dagli inquirenti, pubblicati nel giornale on-line Sicilia Cronaca, in data 8.7.2016 ed in data 14.7.2016 intitolati rispettivamente “Il presunto mafioso Antonello Montante chiama, l’assessora regionale Mariella Lo Bello risponde ed il 5 luglio si precipita a Caltanissetta” e “Cavalier Montante, mafioso o no, ma mizzica, la Vancheri, sua ex donna tuttofare, mentre era assessora regionale, quante vacanze “intelligenti ” si è fatta, a spese di noi cretini?”, non pare potersi ravvisare alcuna offesa diretta contro Confindustria.

D’altra parte, deve ritenersi che gli inquirenti abbiano correttamente individuato gli articoli in questione, atteso che CICERO, nel corso del suo esame, ha confermato che si trattava di articoli imperniati intorno al baricentro comune della critica a MONTANTE, escludendo, al contempo, che essi potessero riguardare Confindustria in quanto tale (“No, riguardavano Montante in modo preciso, alle sue vicende giudiziarie, i sospetti che venivano evidenziati su diversi affari, che riguardava Catanzaro, quindi, i rifiuti, che riguardava la Vancheri, che… cioè, c’era una serie di articoli che riguardavano proprio vicende giudiziarie, sospetti, il potere presso l’assessorato regionale delle attività produttive, l’incidenza presso le aree industriali della Sicilia.”; cfr.

esame del 16 marzo 2019, p. 41).

Volendo, del resto, accreditare la tesi contraria, secondo cui gli articoli circolati riguardavano Confindustria, apparirebbe priva di qualsiasi logica proporzionale l’accensione emotiva di DE ANGELIS a fronte di una ipotetica critica rivolta ad una organizzazione, per la quale, a ben vedere, DI SIMONE neppure lavorava direttamente (egli, infatti, come più volte ricordato, era dipendente della società AEDIFICATIO, che eroga il servizio della sicurezza per Confindustria).

E’ dunque evidente come DE ANGELIS non fosse affatto un corpo estraneo al meccanismo reticolare che ruotava intorno a MONTANTE, diversamente non potendosi spiegare la sua reazione alla circolazione di articoli critici verso quest’ultimo e al fatto che la propria moglie, assurta a segretaria di CICERO grazie all’intercessione dello stesso MONTANTE, potesse essere sospettata

ingiustamente, proprio da quest’ultimo, di intelligenza con il nemico (ossia VENTURI e CICERO).

Altro punto della conversazione sopra riportata, oggetto di dibattito nel corso del giudizio, ha riguardato il significato da attribuire all’utilizzo, ad opera di DI SIMDNE e con l’approvazione di DE ANGELIS, delle espressioni “miei” e “suoi” riferite a gruppi di persone facenti parte di una “squadra”: […].

Per l’accusa il registro espressivo dei loquenti dimostrerebbe la comune appartenenza di DE ANGELIS e DI SIMONE all’associazione a delinquere diretta da MONTANTE, mentre per la difesa proverebbe l’esatto contrario: nella contrapposizione tra i “miei” e i “suoi” si anniderebbe la mancanza di una organizzazione e di uno spirito associativo comune.

In realtà, una lettura integrale della conversazione e l’analisi del riferimento alla comune appartenenza ad una “squadra” lasciano intendere la presenza, all’interno di un’unica aggregazione di persone, di gruppi diversi, in quanto diverso ne è il canale di reclutamento: DE ANGELIS, per esempio, è un adepto accreditato da DI SIMONE, e non “selezionato” direttamente da MONTANTE.

Tuttavia, non è possibile escludere, nella specie, una lettura “laica” del termine “squadra” impiegato da DI SIMONE, atteso che esso, effettivamente, può essere inteso quale declinazione sinonimica di gruppo o sistema di potere, anche di tipo lobbistico, ma non necessariamente orientato alla commissione di reati.

Prova ne sia che, seguendo il vettore logico del discorso fatto dagli interlocutori, i traditori dovrebbero identificarsi in CICERO e VENTURI, le cui fortune di carriera erano certamente legate a MONTANTE e che, con un inaspettato revirement, lo avevano aspramente criticato, esponendo le sue malefatte alla magistratura. Ma a loro né DE ANGELIS né DI SIMONE sembrano attribuire

alcuna condotta associativa, ma al più una pregressa militanza nella “squadra”, poi abbandonata.

Tale argomentazione, dunque, legittimerebbe l’attribuzione, alla parola “squadra”, di un significato sfrondato da connotazioni criminologiche. Tuttavia, occorre domandarsi cosa ci facesse DE ANGELIS in quella “squaclra”: a differenza di VENTURI, egli non aveva presieduto camere di commercio e non era stato assessore regionale; a differenza di CICERO, egli non aveva neppure presieduto consorzi ASI ed I.R.S.A.P. Aveva, però, effettuato numerosissimi accessi abusivi allo S.D.I. e, per quella via, era entrato a fare parte della “squadra”, ossia di un gruppo di potere che perseguiva la scalata economica e sociale con metodi illeciti.

Del resto, l’elevato numero di accessi abusivi allo S.D.I. (quelli compiutamente disaminati dal P.M., come confermato da DE ANGELIS nel corso del proprio esame, costituiscono soltanto dei “campioni” tratti da una più ampia collezione di dati coltivata da MONTANTE) non pare potere giustificare la sussunzione delle condotte illecite nel più semplice prototipo del concorso di persone nel reato.

Infatti, appaiono sintomi rivelatori dell’esistenza di uno stabile apparato organizzativo il compimento di un numero elevato di accessi abusivi alla banca dati della polizia, la elongazione temporale del periodo esecutivo (dal mese di novembre 2009-2016), ma soprattutto la mancata predeterminazione quantitativa degli accessi da espletare: essi venivano compiuti tutte le volte in cui MONTANTE, per svariate ragioni che maturavano via via nel corso del tempo (contrasti all’interno di Confindustria, critica giornalistica o altro), avvertisse l’esigenza di spiare taluno.

Inoltre, il sodalizio non si scioglieva dopo l’esecuzione di un numero determinato di reati programmati (es. accesso sugli avversari in Confindustria), ma rimaneva silente, in attesa che sorgesse la necessità di compiere altri accessi abusivi.

 

18 Novembre 2019

fonte:http://mafie.blogautore.repubblica.it/