Cerca

La catastrofe della Giustizia

Una sentenza della Cassazione, che indica la competenza della Corte di Assise e non del tribunale a giudicare per associazione mafiosa i capimafia, rischia di avere effetti catastrofici sui processi in corso. Il pm Ingroia: “Questo  è il risultato dell’approssimazione con cui si fanno le leggi in tema di mafia. Sono gli effetti di una legislazione che va avanti a strappi, in modo schizofrenico e disorganico”

Una sentenza della Cassazione rivoluziona la competenza nella trattazione dei processi di mafia: secondo i supremi giudici, in presenza di alcune aggravanti, la pena può lievitare anche fino a 30 anni di reclusione e dunque il dibattimento deve essere tenuto davanti alla Corte d’assise (competenze per i reati puniti con l’ergastolo o la reclusione non inferiore ai 24 anni). Possibile conseguenza della decisione è l’azzeramento di tutti i processi di mafia, anche quelli già chiusi con sentenze che non siano ancora definitive.

La sentenza, emessa dalla prima sezione penale della Suprema Corte il 21 gennaio scorso, riguarda un processo celebrato a Catania (contro Attilio Amante e altri otto imputati), in cui si erano dichiarati incompetenti sia il Tribunale, con un’ordinanza del 7 maggio 2009, che la Corte d’assise, con un’altra ordinanza, datata 12 ottobre. Due settimane fa la Suprema Corte ha stabilito che competente a giudicare è la Corte d’assise.
La sentenza (finora è noto solo il dispositivo), passata sotto silenzio, sta suscitando dubbi e perplessità negli uffici giudiziari, con importanti processi per mafia che rischiano di ricominciare da zero. E’ successo nei giorni scorsi a Palermo, dove la questione era stata sollevata d’ufficio dalla quarta sezione del Tribunale (la stessa davanti alla quale sta deponendo, in questi giorni, Massimo Ciancimino); oggi è stato rinviato un altro dibattimento, su richiesta congiunta del pm Caterina Malagoli e dei difensori, anche a Termini Imerese. La questione, sollevata da numerosi Pm, sarà affrontata lunedì 15 febbraio dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo, presieduta da Francesco Messineo.

Paradossalmente, a scatenare l’emergenza è stata una norma antimafia, contenuta nel pacchetto sicurezza, divenuto legge nel luglio 2008: se agli imputati di associazione mafiosa vengono infatti contestate talune aggravanti – ad esempio essere stati ‘capi e promotori’, di avere agito con un’associazione armata e di avere reimpiegato in iniziative economiche i proventi di attività criminali – la pena lievita anche fino a 30 anni e dunque scatta la competenza della Corte d’assise. Questo vuol dire che, anche con effetto retroattivo, i giudizi già celebrati in Tribunale o in Corte d’appello sono potenzialmente nulli.

Proprio la settimana scorsa i boss Salvatore e Sandro Lo Piccolo hanno avuto 30 anni in uno dei dibattimenti del filone ‘Addiopizzo’. E due settimane fa la stessa sorte, in appello, era toccata ai boss Nino Rotolo (condannato a 29 anni) e Franco Bonura (23 anni).
Nel processo rinviato dal tribunale di Palermo sono imputati i fratelli Nino, Aldo, Salvo e Giuseppe Madonia. A Termini, in una tranche del ‘Perseo’, Giusto Arnone, Alessandro Capizzi, Giuseppe Ciancimino, Giuseppe La Rosa. Con l’operazione Perseo i carabinieri di Palermo avevano bloccato il tentativo di ricostituire la commissione di Cosa Nostra.
Un ddl diretto ad assegnare la competenza dei reati di associazione mafiosa era stato ritirato, nel 2009, per la protesta dei pm antimafia. Ora il rischio di far saltare tutti i processi e di vedere i boss tornare liberi per decorrenza dei termini è altissimo. E in futuro, l’eventuale assegnazione alla Corte d’assise presenta il rischio di ingolfamento ulteriore per una giustizia già lenta. Oltre al fatto di far giudicare reati come quelli di mafia da una maggioranza di giudici popolari, che non sono tecnici e che, soprattutto, in realtà come quelle meridionali, potrebbero essere condizionati e intimiditi.

“Una catastrofe, dai potenziali effetti devastanti. E per rimediare occorrerà un immediato intervento del legislatore”. Non usa mezze misure, commentando i possibili effetti della sentenza della Cassazione sulla competenza della Corte d’assise nei reati di mafia, il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia.
“Non ne conosciamo ancora la motivazione – dice Ingroia – ma il dispositivo è già abbastanza chiaro. Noi abbiamo studiato le posizioni del Tribunale e della Corte d’assise di Catania, che si erano entrambi dichiarati incompetenti, e propendiamo per la tesi che confermerebbe la competenza a giudicare in capo ai Tribunali”. Il vice di Francesco Messineo (che ha convocato una riunione ad hoc della Dda per lunedì 15 febbraio) sostiene che con il passaggio dei processi di mafia in assise si creerebbe un sovraccarico per le Corti e “si tradirebbe – aggiunge – lo spirito della legge, che vuole che i giudici popolari si occupino solo dei fatti di sangue e non di quelli associativi”.
“Se dovesse prevalere la tesi della competenza delle Corti d’assise – continua il pm palermitano – sarebbe una vera e propria catastrofe, perché la questione si potrebbe porre in ogni stato e grado del procedimento. Con effetti che vanno dal regresso del processo in primo grado alla cancellazione di sentenze nei dibattimenti quasi conclusi. E qui si tratta dei capi dell’associazione mafiosa. Altro che processo breve. Sarebbe molto peggio, e gli effetti si ripercuoterebbero nelle vicende di mafia”.
“Questo – conclude Ingroia – è il risultato dell’approssimazione con cui si fanno le leggi in tema di mafia. Sono gli effetti di una legislazione che va avanti a strappi, in modo schizofrenico e disorganico. Ci auguriamo che veda presto la luce, anche a causa di questa nuova situazione, il testo unico antimafia, di cui ha nuovamente parlato il presidente del Consiglio nel vertice tenuto nei giorni scorsi a Reggio Calabria”.

(Tratto da AprileOnline)