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l comandante dei carabinieri arrestato per mafia, il parroco che aiutava i killer. 27 ‘ndrine e 10 logge massoniche. Benvenuti nella città più mafiosa d’Italia

Vibo, 180.000 abitanti, cinquanta comuni, 27 ‘ndrine della ’Ndrangheta censite, 10 logge massoniche distribuite in provincia, due comuni sciolti per mafia e oggi commissariati, tre commissioni d’accesso in altrettanti comuni. Un presidente della Provincia nei guai, imputato di corruzione elettorale con l’aggravante di mafia. Provincia e comune di Vibo in dissesto finanziario. E ancora: un comandante di una stazione dei carabinieri (del comune di Sant’Onofrio) arrestato per mafia. Un parroco che passava ai killer informazioni sugli obiettivi da eliminare. E la questura di Vibo decapitata per sospetti e collusioni con la mafia. E poi avvocati e magistrati finiti nei guai

di Guido Ruotolo, editorialista e giornalista d’inchiesta

Per favore accendete i riflettori su Vibo Valentia, una città a una decina di chilometri da Lamezia Terme, nel centro della Calabria. Una perla la sua Capo Vaticano, con il mare mozzafiato. E poi Pizzo e Tropea, le spiagge, i fondali, le cipolle e i “fruttini”. E l’amaro del Capo e il tonno dei Callipo.

Dimenticate tutto questo. Non capireste nulla di Vibo, della Ndrangheta e della terra dei senza speranza. Quello che da fuori appare sotto una certa luce in realtà è un’altra cosa. È contaminata, collusa. A qualcuno, questa terra ricorda la Palermo degli anni Ottanta. Può essere. A me il vibonese sembra terra di nessuno, anzi una Repubblica indipendente della Ndrangheta.

Sapete che nella storia della Calabria e della Ndrangheta vi è stata nel dopoguerra una Repubblica indipendente della Ndrangheta a Caulonia, nella Locride, durata pochi giorni, con il sindaco comunista e ndranghetista?. E dunque siate forti e non stupitevi (semmai indignatevi) per quello che succede in questa terra. Non meravigliatevi se all’inizio del nuovo millennio, con la scoperta della Ndrangheta che si è infiltrata persino nella corona dei comuni che circondano la grande Milano, torniamo nella terra dove è nata e vive la Ndrangheta.

Per la verità fino agli anni Ottanta era consolidata l’idea che la Ndrangheta fosse radicata solo nella provincia di Reggio, nella Locride, nella Piana di Gioia Tauro e a Reggio città. Fu solo dopo che si è scoperto che la Ndrangheta c’era sempre stata anche nella Calabria del Nord, Crotone, Vibo, Lamezia, persino Cosenza.

Ebbene qui a Vibo è accaduto qualcosa che se fosse successo a Palermo anche nel 1990 sarebbe caduto il governo. Ci sarebbe stata la sollevazione popolare. Del resto non fu il procuratore di Milano Borrelli a gridare “resistere, resistere, resistere”, all’apertura dell’anno giudiziario si tempi di Mani Pulite? Questo per dire che il protagonismo di una società civile forte si sarebbe mobilitata, non avrebbe permesso che il pool di Mani pulite fosse neutralizzato.

Oggi, quella magistratura che ha fatto la storia nel bene e nel male è solo un ricordo del passato. Ed è un bene che chi teorizzava un ruolo salvifico dei magistrati impegnati a farsi carico del rispetto della legalità e della eticità della nazione, oggi sia stato sconfitto. Però dal fare politica dei magistrati al nulla ce ne passa.

Solo alcuni numeri per avere elementi su cui ragionare. Vibo, 180.000 abitanti, cinquanta comuni, 27 ‘ndrine della ’Ndrangheta censite, 10 logge massoniche distribuite in provincia, due comuni sciolti per mafia e oggi commissariati, tre commissioni d’accesso in altrettanti comuni. Un presidente della Provincia nei guai, imputato di corruzione elettorale con l’aggravante di mafia. Provincia e comune di Vibo in dissesto finanziario.

E ancora: un comandante di una stazione dei carabinieri (del comune di Sant’Onofrio) arrestato per mafia. Un parroco che passava ai killer informazioni sugli obiettivi da eliminare. E la questura di Vibo decapitata per sospetti e collusioni con la mafia. E poi avvocati e magistrati finiti nei guai.

Come se non bastasse, la Ndrangheta dal 2015 gestiva centri di accoglienza per 650 richiedenti asilo fino a quando non è arrivato un prefetto, un eccellente ex “sbirro”, Guido Longo, che ha deciso che non è possibile che nella provincia di Vibo Valentia lo Stato italiano sia un ospite. Insomma, ha deciso di ripristinare il funzionamento delle istituzioni italiane.
Mettiamo dunque il caso che a Palermo un tribunale decida di assolvere Totò Riina imputato di associazione mafiosa. Secondo voi quali saranno le conseguenze? Un terremoto politico e un moto di indignazione?

Addirittura il governo potrebbe essere costretto alle dimissioni? L’ondata di stupore si potrebbe propagare anche all’estero? Domande legittime, e se questo pericolo paventato in realtà è accaduto a Vibo Valentia? Qualcuno se ne è accorto? I giornali e i canali televisivi ne hanno parlato? Nessuno. Nessuno si è indignato perché Giovanni, Antonio, Pantalone e Giuseppe Mancuso sono stati assolti dall’accusa di associazione mafiosa. Ora che i Mancuso siano mafiosi, che la ’ndrina di Limbadi sia tra le più potenti della Ndrangheta è cosa notissima. Davvero è come parlare di Lo Piccolo o Riina per Cosa Nostra.

Eppure questa assoluzione è passata vergognosamente sotto silenzio. Il collegio giudicante era composto da tre giovanissime magistrate arrivate a Vibo nel 2014, prima sede assegnata. E il processo «Black money» era atteso, importante. Ma il presidente del Tribunale, Filardo, ha deciso di affidare il giudizio alle tre giovani magistrate e tenersi invece per sé una costola dello stesso processo che vedeva imputati per concorso esterno alla Ndrangheta due funzionari della questura di Vibo, tra cui l’ex capo della Mobile, e un avvocato.

Perché fosse vissuto dai vibonesi come un “non processo”, il presidente del Tribunale ha deciso di far svolgere le udienze nell’aula bunker (e l’esame di uno degli imputati si è tenuto inspiegabilmente a porte chiuse) provocando non pochi problemi nella gestione dei calendari delle udienze dei processi.

Ora il Csm è stato costretto ad accendere i riflettori sul funzionamento del Tribunale di Vibo Valentia. Era ora.

31 dicembre 2017