Cerca

Intercettazioni. Monta la protesta in tutto il Paese

Contro il ddl che la maggioranza punta a far approvare al Senato nel giro di un paio di settimane ormai si è formato uno schieramento compatto: oltre alle forze parlamentari d’opposizione è dura la protesta del sindacato dei giornalisti (anche quelli di Mediaset), degli editori, della Cgil. Il segretario democratico Bersani ipotizza l’ostruzionismo, il relatore non esclude la fiducia

Protestano gli editori, protestano i giornalisti, protesta la Cgil, protesta l’opposizione. Contro la legge sulle intercettazioni in esame al Senato in una versione che è persino peggiore di quella approvata ormai due anni fa dalla Camera dei deputati, è in atto ormai una vera e propria battaglia civile.

Pienamente giustificata: se passasse così com’è all’esame della Commissione Giustizia, la legge avrebbe un effetto devastante sia sui poteri investigativi della magistratura e delle forze dell’ordine sia sul diritto degli organi di stampa a informare e, di conseguenza, dei cittadini a essere informati. In un colpo solo, in pratica, il potere si costruirebbe un muro di potenziale intoccabilità da due anticorpi democratici come la giustizia e la libera stampa. E questo proprio nel momento in cui un’indagine della magistratura sta svelando i perversi intrecci tra politica e malaffare, e in cui un risvolto di questa indagine documentata dai quotidiani ha portato alle dimissioni di uno dei principali ministri del berlusconismo, Claudio Scajola. E un altro fedelissimo del Cavaliere come Denis Verdini rischia ogni giorno di più.

Il ddl sulle intercettazioni (è la denominazione sintetica, ma non riguarda solo quest’aspetto, ha più risvolti) avrebbe innanzitutto l’effetto devastante di oscurare la cronaca giudiziaria: non si potrebbe dar notizia, nemmeno per riassunto, degli atti processuali fino alla conclusione delle indagini preliminari, una fase che può durare anche anni e anni. Proprio da oggi il quotidiano “la Repubblica”, assieme alla “Stampa”, segnala per protesta le indagini di cui i cittadini, nel caso in cui la legge fosse stata già in vigore, non avrebbero potuto sapere niente. Dalle molteplici mosse spregiudicate della cricca fino alle indagini sulla mafia, dal crac Parmalat fino allo scandalo dei furbetti dei quartierino che portò alle dimissioni del governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio fino a Calciopoli, solo per citare qualcuno dei casi più eclatanti degli ultimi anni.

Fosse solo questo, sarebbe gravissimo. Ma c’è anche il fatto che le intercettazioni di cui spesso la magistratura si serve per accertare i reati sarebbero accorciate fino alla compressione estrema (potranno durare al massimo una manciata di settimane) e sottoposte a un rigidissimo regime di autorizzazione: non basterà il via libera “agevole” del gip, ma si passerà al controllo di tribunali “a tre” da cui si rischierà di ricevere più intralci vista la distanza; inoltre, non basterà più – come prevede il regime attuale – l’indizio di reato per mettere sotto controllo i telefoni. Occorrerà questo sommato a una serie di requisiti di “contorno” che dovrebbero determinare la già grave indiziabilità di un sospetto. Tutto questo perché, si dice, si vuole tutelare la privacy: ma è evidente lo squilibrio tra diritti danneggiati – la libertà di stampa e l’azione penale – e la supposta esigenza da tutelare.

Oggi c’è stato il sit – in di protesta davanti a Montecitorio. Il segretario della Federazione nazionale della stampa (il sindacato dei giornalisti) Roberto Natale ha minacciato lo sciopero e il ricorso alla Corte europea in caso di approvazione della legge. Per lunedì prossimo la Fnsi ha chiamato in campo nella protesta le “prime firme” del giornalismo. Alle 15 nella sede della Fnsi a Roma, e in collegamento con il Circolo della stampa di Milano, si confronteranno, tra gli altri, su questo tema: Ferruccio De Bortoli, Vittorio Feltri, Mario Calabresi e Gianni Riotta da Milano; Ezio Mauro, Concita De Gregorio e Norma Rangeri, da Roma. “La notizia prima di tutto, fermiamo la legge bavaglio”, è lo slogan dell’iniziativa riassunto nello striscione che darà il titolo al confronto. Contro la legge anche i cdr delle testate giornalistiche Mediaset, che hanno aderito – tutti tranne quello del Tg4 – alla protesta sul territorio indetta dalla Fnsi.

Il segretario confederale della Cgil Fulvio Fammoni ha stroncato così il provvedimento: “Si coniugano due elementi insopportabili: il primo riguarda il diritto all’informazione, il diritto alla cronaca, anche a quella giudiziaria. Il secondo riguarda gli interventi sulla sicurezza. Si getta sabbia nel meccanismo delle indagini, si rallentano i processi investigativi, si abbassa la durata delle intercettazioni, si diminuisce la disponibilità delle risorse”. Il presidente della Federazione degli editori, Carlo Malinconico, continua a sottolineare i rischi insiti nelle sanzioni agli editori, che potrebbero essere costretti a pagare, in caso di pubblicazioni “vietate” a 465 mila euro di multa: “La verità è che le sanzioni agli editori, a prescindere dal loro ammontare, sono in contrasto col divieto di intromissione dell’editore nella confezione degli articoli di giornale”. Agli editori anche la solidarietà, nella battaglia, di Luca Cordero di Montezemolo.

Roberto Centaro, relatore del provvedimento nella commissione Giustizia del Senato, è stato ricevuto dal premier per “fare il punto”. Al termine dell’incontro ha detto: il testo del ddl sulle intercettazioni “credo debba restare com’蔑 ed è “nella facoltà del governo ipotizzare voti di fiducia sia al Senato sia alla Camera”. Il Pdl – fatto passare il “contentino” dell’affievolimento delle sanzioni per i giornalisti – potrebbe chiudere al Senato nel giro di un paio di settimane per poi passare alla terza lettura di Montecitorio. Il segretario del Partito democratico Pierluigi Bersani ha annunciato l’ostruzionismo definendolo “doveroso” e sintetizzato così il significato dell’assalto della maggioranza: “La giusta esigenza di eliminare l’abuso delle intercettazioni e la loro conseguente diffusione, si sta ribaltando in norme che danneggiano gravemente le indagini e mettono un bavaglio all’informazione sconosciuto a ogni Paese democratico”. Sulla stessa linea l’Italia dei Valori con Massimo Donadi: “Il ddl è uno scandalo e va stoppato immediatamente”.

Si registra anche una preoccupazione dall’esecutivo statunitense: “Non vorremmo mai che succedesse qualcosa che impedisse ai magistrati italiani di fare l’ottimo lavoro svolto finora: le intercettazioni sono uno strumento essenziale per le indagini”. Sono le parole di Lanny A.
Brauer, sottosegretario al Dipartimento di Giustizia degli Usa con delega alla criminalità organizzata.
Andrea Scarchilli

(Tratto da Aprile online)