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Intercettazioni: attacco alla Giustizia

Intercettazioni, c’è un fronte anti-governo

Giornalisti, editori, magistrati, più il Partito democratico, l’Italia dei valori e, sebbene con più disponibilità al dialogo, l’Udc. A chiedere la radicale modifica del provvedimento è un vasto fronte politico – professionale. Sotto accusa il requisito dei “gravi indizi di colpevolezza” che stroncherebbe lo strumento investigativo, e l’oscuramento, per vie traverse, della cronaca giudiziaria. Sul secondo punto ci sono anche le perplessità della Bongiorno

Polemico e sopra le righe, ma efficace più del solito. La posizione della maggioranza sul disegno di legge sulle intercettazioni telefoniche, appena licenziato dalla Commissione giustizia e “in coda” alla Camera, l’ha riassunta il capogruppo al Senato del Popolo della libertà, Maurizio Gasparri: “Questa situazione di eccessi è inaccettabile. Non può continuare questo festival, questo carnevale di pubblicare di tutto e di più”.

E’ la linea di battaglia di Pdl e Lega nord: la cura di cavallo è necessaria a stroncare gli abusi. Ma il problema, non da poco, è che la terapia rischia di rivelarsi, più o meno consapevolmente non è dato sapere, più dannosa della malattia. Per stroncare gli abusi, insomma, si finisce con il rendere inutilizzabile dai magistrati lo strumento delle intercettazioni telefoniche.

Questo accadrà, se al pm viene imposto – come vuole il ddl – il requisito dei “gravi indizi di colpevolezza” per potere avvalersi delle intercettazioni. Con la normativa attuale, è utile richiamarla per evidenziare lo sproposito, basta che sia evidente il reato, non il colpevole. Del resto, intercettare chi si è quasi certi sia colpevole (e per di più per un tempo – limite di trenta giorni), serve a poco. L’intercettazione telefonica, da mezzo per raccogliere prove, diventa orpello investigativo da utilizzare a prove acquisite. Quando si riesce ad acquisirle, queste prove: perché, ad applicare la normativa partorita dalla maggioranza, tanti reati e tanti colpevoli sfuggirebbero dalle maglie della giustizia. Basta pensare a quante inchieste sono state condotte con successo proprio grazie alle intercettazioni telefoniche? Si pensi a Parmalat, o all’omicidio di Massimo D’Antona.

A tutto questo, si aggiunge l’attacco all’informazione. Su due fronti. Il primo: il provvedimento governativo impedisce di pubblicare tutti gli atti (compreso il riassunto di questi, e comprese le intercettazioni) fino alla fine delle indagini preliminari. Praticamente la fine della cronaca giudiziaria. In più, il giornalista che pubblica intercettazioni che dovevano andare distrutte rischia fino a un mese di carcere. Un deterrente da brividi.

Tanto basta, tra requisiti per l’autorizzazione e nuove norme sulla diffusione, a determinare la composizione di un fronte composito ma compatto contro la nuova disciplina messa a punto della maggioranza. Ad opporsi sono Partito democratico e Italia dei valori dal versante politico, giornalisti editori (insolitamente a braccetto) e magistrati da quello professionale.

Gasparri ha parlato a margine di un convegno, organizzato proprio dalla Federazione nazionale della stampa e a cui hanno aderito gli editori, in cui si sono ascoltate parole critiche, di stroncatura. Come quelle del presidente della Fnsi, Roberto Natale: ha definito il testo “pericoloso”, è convinto che distruggerebbe “la possibilità di conoscenza da parte di milioni di cittadini italiani”. Natale ha avvertito: “Non accettiamo mediazioni perché ne va della qualità della democrazia”. Il presidente della Federazone degli editori, Carlo Malinconico, ha messo l’accento sulla necessità di “preservare un valore fondamentale come la libertà di stampa”. A proposito dela norma prevista nel ddl, quella che farebbe calare il sipario sulle notizie prima dell’udienza preliminare, ha rilevato: “Sembra essere andata al di là delle intenzioni, è sproporzionata rispetto all’obiettivo. Il diritto di cronaca è componente essenziale della libertà di stampa”. Il segretario dell’Associazione nazionale dei magistrati, Giuseppe Cascini, ha denunciato “la sostanziale demolizione dello strumento di indagine delle intercettazioni” e sui divieti di pubblicazione osservato che “la nostra indipendenza deve trovare una rispondenza nel controllo dell’opinione pubblica”.

La capogruppo democratica in Commissione giustizia, Donatella Ferranti, non ha esitato a definire il ddl “un regalo alla criminalità”. L’Italia dei valori, a distanza, ha annunciato la preparazione del referendum abrogativo. Secondo il leader Antonio Di Pietro il provvedimento governativo è “un attentato alla Costituzione” perché faà arrivare i procedimenti “a prescrizione sicura”, “impedisce alla stampa di informare” e “mette a rischio la sicurezza dei cittadini impedendo ai magistrati di fare intercettazioni”. Sui gravi indizi di colpevolezza come presupposto alle intercettazioni e sul carcere per i giornalisti, pure l’Udc – con Michele Vietti – ha ribadito il proprio dissenso: “Sono “inaccettabili”, annunciando il voto contrario al testo se il governo e la maggioranza non cambieranno queste norme.

Qualche rinsavimento potrebbe giungere dalla maggioranza, che non è compatta come vorrebbe far credere. Il sottosegretario Paolo Bonaiuti ha detto di “sperare in un ripensamento” sulle norme che prevedono il carcere per i giornalisti. Anche la presidente della Commissione, Giulia Bongiorno, non è del tutto convinta, specialmente in relazione all’oscuramento della cronaca giudiziaria. In serata ha  scritto al presidente dell’Ordine dei giornalisti, Lorenzo Del Boca, una lettera che suona come un impegno ad ammorbidire i divieti di pubblicazione. Si legge, tra le altre cose, nella missiva: “Un divieto totale di pubblicazione di atti giudiziari fino alla conclusione delle indagini o fino al termine dell’udienza preliminare, azzererebbe qualsiasi forma di conoscenza nelle prime fasi dell’attività giudiziaria relativa a delitti di grave allarme sociale”. Ha manifestato perplessità anche Gaetano Pecorella, ex avvocato del premier già a un passo dall’elezione alla Corte costituzionale. Pecorella ha espesso dei dubbi sul rispetto – da parte del ddl – del “valore costituzionale della corretta e buona amministrazione della giustizia”. Si è detto “favorevole” al primo testo del governo, in cui per autorizzare le intercettazioni si prevedevano “gravi indizi di reato” per i delitti meno gravi e “sufficienti indizi” per quelli piu’ gravi come mafia e terrorismo. Pecorella poi trova giusto introdurre un termine per l’uso degli ascolti, ma “bisogna prevedere – ha osservato – che in casi eccezionali l’intercettazione possa proseguire”, e ha definito “eccessiva” la misura del carcere ai giornalisti.

Insomma, all’interno della maggioranza qualche fibrillazione c’è. Ne è la conferma l’uscita di Umberto Bossi. Alla Camera, incrociando i cronisti, il leader leghista ha detto sibillinamente: “Sulle intercettazioni è tutto risolto”.

Andrea Scarchilli

(tratto da www.aprileonline.info)