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Inchiesta Meloni, “affissioni e voti estorti”: così i clan nomadi a Latina facevano affari con la politica

La Repubblica

Inchiesta Meloni, “affissioni e voti estorti”: così i clan nomadi a Latina facevano affari con la politica

di Clemente Pistilli

Il pentito che ha raccontato di aver ricevuto 35mila euro da Meloni per la campagna elettorale di Maietta, eletto poi nelle fila di FdI, ha descritto nel dettaglio la genesi di quei rapporti tra criminalità e pezzi di politica. Compresi gli affari fatti con altri candidati del centrodestra

08 MARZO 2021

Voti comprati, in qualche caso estorti, affissione di manifesti durante le campagne elettorali e scorta ai politici durante alcune manifestazioni. A Latina, per oltre dieci anni, vi sarebbe stato un vero e proprio sistema, che sarebbe diventato uno dei business portati avanti dai clan di origine nomade trasformatisi in associazioni per delinquere di stampo mafioso. Ne è convinta la Dda di Roma e ne è stato convinto lo stesso Tribunale in alcune sentenze, confermate anche dalla Corte d’Appello di Roma.

Negli ultimi verbali del pentito Agostino Riccardo, sinora ritenuto attendibile dai magistrati ed emersi in occasione dei recenti arresti nell’ambito dell’inchiesta antimafia sul clan Travali denominata “Reset”, oltre a sostenere di aver ricevuto 35mila euro da Giorgia Meloni per la campagna elettorale che portò all’elezione alla Camera dei deputati del commercialista pontino Pasquale Maietta, il collaboratore di giustizia ha descritto nel dettaglio la genesi di quei rapporti tra criminalità e pezzi di politica e le dinamiche con cui venivano acquistati i voti per quelli che erano o sono diventati esponenti di Fratelli d’Italia, aggiungendo poi anche gli affari fatti con altri candidati del centrodestra.

“Cha Cha e Tuma – ha dichiarato il pentito ai magistrati antimafia – chiamarono a Campo Boario me, Viola, Palletta, i fratelli Morelli e Zof, e ci dissero che oltre alla droga e alle estorsioni dovevamo fare affari anche con la politica. Nell’occasione ci dissero che Maietta voleva candidarsi alle elezioni comunali di Latina con Zaccheo”. Era all’incirca il 2007.

Cha Cha è Costantino Di Silvio, boss condannato in via definitiva nel processo Don’t touch, relativo a un’organizzazione criminale impegnata in particolare nelle estorsioni e nell’usura, e mandante di un attentato al giudice Nicola Iansiti; un esponente del clan nomade amico di Maietta, che quando divenne presidente del Latina calcio e il club militava in serie B lo arruolò nella squadra.

Tuma è invece Gianluca Tuma, anche lui amico di Cha Cha, diventato poi imprenditore e condannato sempre in Don’t touch. Gli altri sono sempre criminali di Latina: Francesco Viola, Angelo Travali, i fratelli Morelli e Alessandro Zof, quest’ultimo imputato anche per un duplice tentativo di omicidio sul lungomare di San Felice Circeo, coinvolti nella stessa inchiesta Reset.

In quel momento la politica sarebbe diventata una delle entrate considerevoli per il clan. “Maietta – ha aggiunto il collaboratore di giustizia – fu votato da tutta la malavita di Latina, prese mille voti, tutti voti comprati”. Ancora: “Da via Helsinky ai cosiddetti palazzi arancioni, la zona del cimitero, uscirono per Maietta 150 voti e me ne occupai io. Viola che stava con i fratelli Morelli si è occupato della zona di via Pierluigi Nervi. Zof si è occupato di Villaggio Trieste, Cha Cha di Campo Boario”.

Tutte zone popolari di Latina.

“Maietta – ha sostenuto Riccardo – ci diede una lista con le circoscrizioni”. Un sistema: “I voti venivano comprati in questo modo. Noi facevamo le buste con generi alimentari arrivati con furgoni e mettendo una somma da 50 a 100 euro a nucleo familiare. Il giorno del voto ricordo che facevamo la spola per portare gli elettori al voto e Maietta aveva preso dei furgoni per farci trasportare gli elettori presso i seggi in modo che votassero. Lo hanno aiutato anche altri nelle elezioni: Pierluigi Sperduti, Giovanni Fanciulli e Roberto Noce. Anche loro hanno comprato voti per Maietta”.

Si tratta di uomini legati a quello che è poi diventato deputato e tesoriere alla Camera di Fratelli d’Italia, indagato in “Don’t touch”, imputato in “Olimpia”, un processo su organizzazioni criminali che sarebbero state costituite attorno al Comune di Latina e dedite a fare affari sporchi con gli appalti, il calcio e l’urbanistica, e imputato in “Arpalo”, processo relativo a un sistema di riciclaggio di denaro sporco in Svizzera.

Il pentito parla anche delle somme ottenute dalla politica, partendo proprio da Maietta, che all’epoca era in An, per poi passare al Pdl e infine a Fratelli d’Italia. “Il giorno dopo la vittoria alle elezioni – sottolinea il collaboratore di giustizia – Maietta portò a Costantino Di Silvio centomila euro in contanti, ma Cha Cha non prese i soldi. Se vuoi dalli ai ragazzi, disse, ma tra me e te vale l’amicizia. Sia io che gli altri del gruppo abbiamo preso anche altri centomila euro circa da Maietta per l’affissione dei manifesti elettorali. Si vedevano solo i manifesti di Maietta perché nessun altro osava mettere i manifesti dove li mettevamo noi”.

Una volta a Palazzo Maietta, che venne poi rieletto quando al posto di Vincenzo Zaccheo alla guida del Comune si insediò Giovanni Di Giorgi, anche lui di FdI, poi coinvolto in “Olimpia” e arrestato, avrebbe, stando sempre alle dichiarazioni di Riccardo, pilotato anche appalti: “Prese l’assessorato al bilancio, Roberto Noce aprì una società e prese fino al 2012 l’appalto delle luminarie del Comune di Latina.

Dentro questa società c’era Angelo Morelli, formalmente dipendente ma in realtà badava agli interessi economici di Costantino Di Silvio. Davanti a me, non in un’occasione, ma in molte occasioni, Roberto Noce ha portato mazzette di soldi a Costantino Di Silvio, man mano che gli appalti venivano pagati”. Il pentito ha quindi descritto i rapporti che il suo gruppo avrebbe avuto con lo stesso Di Giorgi, attualmente imputato in “Olimpia”.

“Una volta eletto – ha detto – ci ricevette nella stanza del sindaco. Io ero presente insieme a Francesco Viola e Giancarlo Alessandrini. Noi eravamo seduti al suo posto e lui davanti a noi e chiedevamo quanto ci avrebbe pagato. Ci ha dato 150mila euro, versati circa 70-80mila euro contanti e poi un blocchetto di assegni personali da 8 o 15mila euro”. Sempre su Di Giorgi: “Oltre al denaro ha messo a lavorare Vera Travali in una cooperativa di Latina dove il titolare era Dario Campagna. La cooperativa era di pulizie. Vera Travali ha guadagnato fino al 2015 circa 2000 euro al mese di fatto senza lavorare per la cooperativa. Viola Francesco, il marito di Vera Travali, era formalmente il custode della piscina comunale fino al 2014-2015, prendeva lo stipendio senza aver mai lavorato”.

Il collaboratore di giustizia ha inoltre riferito delle elezioni regionali del 2013, quando con FdI, a sostegno di Francesco Storace, erano candidati anche Gina Cetrone, poi arrestata dall’antimafia e attualmente imputata con le accuse di essersi servita del clan Di Silvio per compiere estorsioni e gestire la campagna elettorale cinque anni fa per le amministrative a Terracina, e Nicola Calandrini, attuale senatore di FdI. Riferendosi a Maietta e Di Giorgi, Riccardo dice: “Ci chiesero di fare compravendita di voti con le stesse modalità dell’elezione di Maietta, ossia spesa alimentare, soldi”.

E sulla Cetrone: “Ci diede 80mila euro contanti. Questi soldi sono stati presi da me, Viola, Giancarlo Alessandrini, poi abbiamo dato le quote a Morelli e a Travali Angelo. Noi avevamo già 500 voti della curva gestiti da Viola e Alessandrini. Però su indicazione di Maietta i voti a nostra disposizione furono passati a Nicola Calandrini, sempre di Fratelli d’Italia, quindi ci fu una specie di tradimento di Gina Cetrone”. Il pentito infine riferisce dei 35mila euro che avrebbe ottenuto dalla Meloni per la campagna elettorale di Maietta nel 2013 e degli affari fatti con altri esponenti del centrodestra alle elezioni comunali a Latina e Terracina nel 2016.