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“Il Viminale ci nascose i testimoni su Biagi voleva solo autoassolversi”

BOLOGNA . L’ex procuratore capo di Bologna Enrico Di Nicola, colui che diresse la prima inchiesta sulla revoca della scorta a Marco Biagi e ne chiese l’archiviazione per mancanza di prove, non ha cambiato idea a distanza di dieci anni: «La responsabilità fu tutta del Ministero dell’Interno, a mio parere una responsabilità politica e amministrativa. Noi sapevamo che al ministero erano informati dei rischi che Biagi correva, ma da Roma cercarono solo di scaricare le colpe della decisione sul questore e il prefetto di Bologna (Romano Argenio e Sergio Iovino, ndr) che non ne sapevano nulla. Al Ministero fecero carte false per costringerli a revocare quella scorta» Ora emergono però nuovi testimoni, il ministro Scajola era stato informato personalmente dei rischi che Biagi correva dal suo segretario Luciano Zocchi che, non ascoltato, si rivolse ai capi della segreteria del Dipartimento di pubblica sicurezza, Giuseppe Pecoraro e Giuseppe Procaccini. «A Roma mi hanno tenuto all’oscuro di tutto, non mi hanno riferito nulla nonostante avessimo chiesto notizie. Ma anche queste novità fanno parte di quell’ossequio ai politici per cui le scorte dovevano essere ridotte per risparmiare e quello venne fatto. Noi avevamo ricevuto la relazione del prefetto Sorge che giustificava le loro scelte politico-amministrative e avevamo tutto quello che ci avevano detto gli onorevoli Casini e Sacconi e il direttore generale di Confindustria sul fatto che si erano mossi per informare dei rischi il ministero. Noi e la famiglia Biagi sapevamo benissimo che cosa era successo a Roma, dove c’erano Pecoraro e Procaccini…». Ma perché non li avete sentiti allora? «Semplicemente perché ci era stato detto in modo ufficia- le dal potere esecutivo, il ministero dell’Interno, che queste disposizioni erano state impartite con una circolare destinata a diminuire le risorse per le scorte. Una decisione a livello politico del ministro e degli altri. Se legge la mia requisitoria, stabilimmo che le autorità bolognesi furono le ultime a resistere agli ordini di Roma e revocarono la scorta solo dopo Milano, Modena e Roma. La loro tesi era che non c’era più pericolo e alla fine anche questore e prefetto di Bologna dovettero adeguarsi». Responsabilità politica dunque, ma non penale? «Questore e prefetto di Bologna potevano dire di no, ma da Roma altri prefetti avevano dato disposizioni precise. Noi abbiamo ravvisato una responsabilità civile dello Stato sulla base di una sua impostazione erronea del problema e ciò ha consentito alla famiglia di ottenere il risarcimento. La decisione politica è discrezionale, al- tra cosa è la colpa penale che ricade sull’attività dei singoli, di chi applica le decisioni. Io ritengo ancora oggi che non si possa andare oltre sul piano giurisdizionale, penale, ma si possa certamente ravvisare una responsabilità politica, civile e amministrativa. Scajola avrebbe dovuto lasciare il ministero dopo la mia requisitoria, non solo dopo quella famosa frase contro il professor Biagi». La relazione del prefetto Sorge fu fatta per coprire le responsabilità del centro? «Ricordo che era una relazione tecnicamente ben fatta che giustificava il loro comportamento. Certamente cercava di salvaguardare il ministero, giustificare le scelte fatte al ministero. Si sono fatti forti di circolari, ordini, decreti per premere su Bologna sulla base di quanto la legge prevedeva e costringerli a revocare la scorta. Si cercò anche di far ricadere tutto sui capi dell’Antiterrorismo De Stefano e Berrettoni, che non c’entravano nulla. Ripeto: non potevamo intervenire su un atto politico e su chi applica le decisioni del ministro. Semmai il ministero avrebbe dovuto assumersi lui stesso la responsabilità politica di dare la scorta a Biagi. Anche per quello che è risultato dopo e cioè che il pericolo per Biagi era a Roma, non a Bologna, dove non c’era una base brigatista».

(Tratto da Repubblica)