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Il sistema Montante, che forniva programmi d’indagine e password alle procure d’Italia

IL Fatto Quotidiano

Il sistema Montante, che forniva programmi d’indagine e password alle procure d’Italia

L’ex presidente di Confindustria Sicilia risponde in aula sull’accusa di corruzione. Secondo i magistrati, attraverso un ex ispettore e responsabile della security degli industriali avrebbe violato in più occasioni la banca dati della pubblica sicurezza, avendo accesso a notizie di reato e provvedimenti giudiziari. Con queste informazioni, avrebbe tenuto sotto scacco amici e nemici

di Saul Caia | 7 LUGLIO 2021

Protocolli di legalità, programmi d’indagine e password. C’è stato un momento in cui, sfruttando le debolezze e le carenze strutturali dello Stato, l’ex paladino dell’antimafia Antonello Calogero Montante è riuscito a incunearsi dentro il mondo della giustizia, accreditandosi con forza come baluardo della legalità. Quel momento è tra il 2010 e 2011, quando all’epoca Montante era presidente della Camera di Commercio di Caltanissetta, agli albori di quella che sarà la sua scalata verticale in Confindustria che lo porterà alla guida degli industriali siciliani, a ricevere la delega nazionale alla legalità e poi la nomina a componente dell’Agenzia dei beni confiscati e sequestrati alle mafie. Proprio dieci anni fa, Montante firmava numerosi “protocolli di legalità” concedendo alle autorità italiane, l’utilizzo del sistema Ri.Visual”, un servizio che consentiva la consultazione del registro imprese delle Camere di Commercio, che tramite un’immagine grafico-visuale permette un accesso rapido alle informazioni, con la possibilità di ricostruire i collegamenti tra le persone e le imprese.

Lo Sdi fa ridere”. A raccontarlo è proprio Montante, nel processo bis che si tiene a Caltanissetta e che lo vede imputato per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione, per via della condanna in abbreviato in primo grado a 14 anni. Dai banchi dell’aula bunker del carcere di Malaspina, l’ex cavaliere decaduto sminuisce l’accusa degli accessi abusivi al sistema d’indagine, noto con l’acronimo di Sdi. Secondo i magistrati di Caltanissetta infatti, Montante avvalendosi del suo uomo di fiducia Diego Di Simone, l’ex ispettore di polizia e responsabile della security di Confindustria, condannato in primo grado a 6 anni quattro mesi, sarebbe entrato in contatto con apparati alla polizia di Stato e avrebbe violato in più occasioni la banca dati della pubblica sicurezza. Quelle informazioni sarebbero servite a Montante per tenere sotto scacco amici e nemici, creando dossier.

Questa parola Sdi l’ho imparata in questo processo in questi mesi – racconta Montante in aula – mi permetta signor Presidente, oggi ho visto che questo è lo Sdi, veramente fa ridere. Perché se avessi saputo che il dottor Di Simone, responsabile della sicurezza di Confindustria Nazionale, o chicchessia, mi dava informazioni del cavolo nel senso che mi dava solo che trent’anni prima o quindici anni prima uno aveva avuto una contravvenzione (…). La nostra rassegna stampa che era storica e le nostre informazioni cosi importanti che le Procure non avevano, gliele ho date io”.

Il protocollo firmato con la Dna di Pietro Grasso. E cosa avrebbe fornito Montante alle Procure di così tanto importante? Il programma Ri.Visual della Camera di Commercio. “La Direzione Nazionale Antimafia di Piero Grasso allora fu costretta a chiedere a me di poterglielo dare. Io mi sono messo contro tanti altri miei colleghi che non volevano assolutamente che io dessi questo strumento importante, infatti proprio Grasso nella qualità di Procuratore capo della Direzione Nazionale Antimafia, nessuno volle firmare con lui a livello nazionale e glielo firmai io da Caltanissetta. Quindi si immagini la Dna firma un protocollo con Caltanissetta: non perché siamo amici, ma perché il Procuratore Grasso non sapeva come fare ad avere questo strumento. A cascata, naturalmente, vedendo che è uno strumento di investigazione impressionate le Procure, tipo questa Procura (Caltanissetta, ndr), per non parlare di altre Procure, hanno chiesto lo strumento”.

In effetti, facendo una rapida ricerca nella rassegna stampa dell’epoca, risultano i protocolli firmati con l’allora procuratore generale di Caltanissetta Roberto Scarpinato che disse: “Questo protocollo segna un ulteriore tappa nel percorso avviato con il mondo imprenditoriale per la costruzione di nuovo modello di interazione tra imprenditori e uomini di Stato che operano nel settore della giustizia e che aspira a diventare modello nazionale”. Ma anche i successivi accordi con l’allora capo centro della Dia Caltanissetta Gaetano Scillia, il questore di Caltanissetta Filippo Nicastro e il colonnello della Guardia di Finanza Pierluigi Sozzo, Comandante Provinciale di Caltanissetta.

Gli uomini forniti da Montante. Ma c’è un ulteriore tassello raccontato dall’ex paladino antimafia. “Ricordo naturalmente che è stato firmato (protocollo, ndr.) con il Presidente del Tribunale, con la Corte d’Appello, con il Procuratore Capo, il Procuratore Generale di Caltanissetta, perché gli davamo anche gli uomini, perché questo palazzo aveva pochi uomini, diciamo poco personale a disposizione e il protocollo prevedeva il distaccamento dalla Camera di Commercio di alcune figure – spiega Montante –. Siccome noi avevamo trenta unità in più che la Regione ci ha affidato e dovevamo pagarli senza che avessero nessun ruolo, senza che facessero nulla (erano posteggiati nelle varie stanze), li abbiamo dati alla Procura di Gela, al Tribunale di Gela e al Tribunale di Caltanissetta”.

Password in busta chiusa ai magistrati. “Con Ri.Visual potevamo sapere tutto”, spiega ancora una volta Montante. Ma l’ex paladino si spinge oltre, e in aula ai giudici racconta anche un dettaglio. “Ma le ricordo, ma non è un fatto, ma è giusto che lo dica fino alla fine. Le password le davamo noi come Camera di Commercio, quindi erano in cassaforte, quindi se uno scorretto avesse voluto poteva in qualche maniera verificare su chi stava indagando la Procura. Noi non l’abbiamo sicuramente mai fatto”. Poi Montante torna a sminuire gli accessi informatici allo Sdi: “Quindi io di chiedere questo Sdi che fa ridere, non ne avevo bisogno (…), su questa cosa si sono divertiti i giornali e giornalisti a dire queste cose”.

Al netto delle dichiarazioni rese da Montante, bisogna però fare una valutazione. Perché è chiaro che il programma Ri.Visual consente agli inquirenti di tutta Italia di poter incrociare le informazioni camerali, risalendo alle quote societarie, cariche e partecipazioni di un individuo su cui si sta indagando, oltre ai suoi legami con altri soggetti. Ma Ri.Visual, per come lo presenta Montante, non è uno strumento che può dare informazioni coperte da segreto investigativo, perché l’accesso è consentito a chiunque volesse farne richiesta tramite gli uffici delle Camere di Commercio. Basti pensare che è uno strumento usato da molti giornalisti. Diverso invece il caso dello Sdi, strumento usato dalle autorità interforze, che permette in tempo reale di visionare le informazioni sotto forma di fatti, provvedimenti e segnalazioni di una qualsiasi persona che risulti nel database. Lì si possono anche trovare le comunicazioni di notizie di reato, che una volta inserite rimangono nella banca dati. Questa sì che è una vera arma, e secondo i magistrati della Procura di Caltanissetta Montante l’avrebbe usata a suo favore, contro amici e nemici, creando veri e propri dossier da far circolare per intimorire e indebolire chi gli si mettesse di traverso.