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Il sindaco socialista Sebastiano Bonfiglio

Il sindaco socialista Sebastiano Bonfiglio

di Dino Paternostro

14 Dicembre 2020

Intorno alle ore 16.00 del 10 giugno 1922, finita la riunione della giunta socialista del comune di Monte San Giuliano (raggruppava gli attuali comuni di Erice, Valderice, Custonaci, Buseto Palizzolo e San Vito Lo Capo), il sindaco Sebastiano Bonfiglio sciolse la seduta e ciascun assessore si organizzò per ritornare nella propria frazione. «Su un calesse presero posto l’assessore Sorrentino, nonché la madre ed una sorella di lui, raggiunti in seguito da Vito Bonfiglio, fratello del sindaco.

Sebastiano Bonfiglio e l’assessore Paolo Simonte montarono rispettivamente un asino e un mulo; così tutti insieme si avviarono per lo stradale che da Monte S. Giuliano conduce a Paparella; senonchè mentre il calessino, essendo la strada a pendio, si distanziava notevolmente, i compagni Bonfiglio e Simonte procedettero di pari passo, discorrendo tranquillamente incosci del pericolo che loro sovrastava. Erano giunti così in prossimità della località denominata Giancuzzo, allorchè vennero loro esplosi proditoriamente alle spalle, da persona appostata nella scarpata dello stradale, due colpi di fucile. Credendo ad una rapina, il Simonte si buttò a terra e vi restò alcuni minuti, finchè non udì più alcun rumore; quando si alzò il povero Bonfiglio giaceva immobile riverso nel suolo, come se dormisse: non un muscolo del suo volto era contratto, conservava la abituale serenità, la serenità dei giorni di lotta; dalla nuca gli sgorgava tiepido e lento un rigagnolo di sangue. Dell’assassino non una traccia: i cespugli, i burroni, i viottoli erano lì ad offrirgli sicuro rifugio, per metterlo al riparo della suprema maledizione del proletariato che si eleva sul suo capo». Al netto della retorica, così la rivista “Falce e martello” di Trapani del 18 giugno 1922 ricostruì l’attentato mafioso che stroncò la vita del sindaco socialista di Monte S. Giuliano.

Era stato candidato a sindaco del paese dal suo partito, il partito socialista. E il 3 ottobre 1920 Sebastiano Bonfiglio venne eletto primo cittadino del comune di Monte S. Giuliano. In questo suo nuovo ruolo Bonfiglio mise tutto il suo impegno, promuovendo iniziative per la difesa degli interessi della popolazione contadina e degli artigiani, ed opponendosi con forza e determinazione ad ogni atto di violenza dei mafiosi e dei grandi latifondisti locali, che avevano amministrato il comune e che stavano ancora in consiglio per far prevalere gli interessi delle loro influenti famiglie sull’interesse generale della popolazione.

Quando morì Sebastiano Bonfiglio aveva quarantadue anni. Era nato nella borgata rurale di San Marco, alle pendici di Monte Erice, del comune di Monte S. Giuliano il 23 settembre del 1879, da Nicolò e da Francesca Tosto. Il padre nel 1893 aveva partecipato al fascio dei lavoratori, che poi sarebbe stato sciolto dalla repressione crispina. Nicolò avviò il figlio Sebastiano al lavoro nella bottega artigiana di Leonardo Ferrante, costruttore di carrozze.

«La popolosa borgata di S. Marco (1926 abitanti nel 1871), dove Sebastiano Bonfiglio nacque… era sorta al tempo degli insediamenti rurali che trassero la loro origine dalla vendita dei beni demaniali (1791). Vi abitavano in prevalenza contadini ed artigiani (…). I proprietari terrieri, il clero, la borghesia umanistica risiedevano permanentemente sul monte S. Giuliano, nell’antico centro urbano di Erice. Tra la vetta, dove si esercitava il potere dei galantuomini, e il vasto contado, lontano dai centri della vita civile, esisteva un forte distacco etico, oltre che geografico e sociale». Probabilmente fu per un comprensibile spirito di rivalsa che Sebastiano Bonfiglio, appena eletto sindaco, fece adottare la delibera consiliare del 23 gennaio 1921, che spostava il capoluogo dalla vetta ericina alla frazione di S. Marco-Paparella.

Nel 1899, Bonfiglio fondò insieme all’artigiano che lo aveva preso a bottega, la società agricolo-operaia di mutuo soccorso, con cui diede inizio al suo crescente impegno politico-sociale. Nei primi anni del ‘900, spinto da una forte voglia di conoscenza, sono studiò da autodidatta e riuscì a conseguire il diploma di maestro elementare e successivamente quello di ingegnere agronomo. Fu lui a fondare e dirigere la prima sezione del partito socialista di Monte S. Giuliano, cominciando a criticare nettamente, tramite i giornali locali, gli amministratori locali distanti dai veri problemi della stragrande maggioranza della popolazione e unicamente votati alla difesa degli interessi delle poche ricche famiglie della zona. Nel 1902 assunse la guida della federazione provinciale del Psi di Trapani e nel 1903 del giornale “La voce dei socialisti”. «Nel 1904 Bonfiglio lasciò improvvisamente la Sicilia e si trasferì a Milano, dove trovò lavoro nella fabbrica di mobili Stigler. A Milano, prese contatti con sindacalisti ed esponenti del Psi (Lazzari, Turati, e altri). Ritornò in Sicilia nel 1906, ma dopo poco tempo, accogliendo l’invito di suoi parenti, si recò negli Stati Uniti d’America. Bonfiglio, assieme ad altri compagni, organizzò la sezione socialista di Brooklyn e una cooperativa di consumo (1909). Nel 1911 venne chiamato a dirigere il giornale “La voce dei socialisti” di Chicago».

Nel 1913 tornò definitivamente a Monte S. Giuliano, partecipando all’organizzazione di un grande sciopero contadino, nel corso del quale venne arrestato da Cesare Mori, allora commissario di pubblica sicurezza a Trapani. In carcere rimase un breve periodo, per poi tornare alla politica attiva, schierandosi nettamente contro la possibile partecipazione dell’Italia al conflitto bellico. Durante la “Grande Guerra” fu richiamato alle armi da riservista e inviato in Cirenaica, ma fu un “sorvegliato speciale” delle gerarchie militari, che conoscevano le sue posizioni politiche. In Libia Sebastiano Bonfiglio mise su una scuola per i bambini arabi.

A guerra finita, ripresa la sua attività politico-sindacale fra i contadini e la guida del Psi nel trapanese, che nel 1920 decise di candidarlo a sindaco di Monte San Giuliano. «Il 3 ottobre 1920 i socialisti vinsero clamorosamente e in maniera schiacciante le elezioni amministrative a Monte San Giuliano e Sebastiano Bonfiglio venne eletto sindaco». Al congresso nazionale del P.S.I., che si svolse a Livorno nel 1921, Bonfiglio sostenne la linea massimalista di Giacinto M. Serrati e Adelchi Baratono e venne eletto membro della Direzione nazionale socialista.

«La mafia, in difesa degli interessi dei latifondisti ed agrari, era già intervenuta con ferocia, la dove più acuti furono i conflitti agrari: a Salemi, Castelvetrano, Paceco, nell’Agro Ericino, uccidendo capilega e dirigenti di cooperative. Alla schiera di questi martiri, il 10 giugno 1922 si aggiunse quello di Sebastiano Bonfiglio, indomito combattente socialista, sindaco di Monte San Giuliano e membro della Direzione del Psi». Bonfiglio doveva ancora compiere 43 anni. Lasciò la moglie ed un popolo contadino che l’amavano profondamente. Il nome dell’assassino (o degli assassini) di Bonfiglio non furono mai scoperti. La polizia fece qualche arresto «(fu arrestato, tra gli altri, l’esattore Pagoto, di Erice, che però venne presto rilasciato). Si disse che il sicario era stato incaricato di uccidere il sindaco di Monte S. Giuliano da Coppola o da Fontana; e questa ipotesi si affacciò pure alla mente del prefetto di Trapani, che in una lettera, finora inedita, inviata riservatamente a Nunzio Nasi, indicava, appunto, negli ambienti vicini ai due galantuomini montesi gli induttori del delitto (…). Ma è forse più logico far risalire la responsabilità dell’assassinio a quelle cosche mafiose che operavano da tempo in funzione degli interessi della borghesia latifondistica. La mafia era già intervenuta con ferocia dove più acuti erano stati i conflitti agrari, uccidendo a Salemi, a Castelvetrano, a Paceco, nell’agro Ericino, numerosi capilega e dirigenti di cooperative».

Dopo l’assassinio di Sebastiano Bonfiglio, con l’affermarsi del regime fascista, «la sconfitta del movimento contadino è netta e sarà sanzionata dal Decreto dell’11 Gennaio 1923 con cui il regime revoca la concessione dei latifondi alle cooperative contadine. Contestualmente il regime occupa le strutture costruite in decenni dal movimento contadino. La fascistizzazione di leghe, cooperative, casse rurali avviene anche attraverso cerimonie pubbliche di cessione. Come quella avvenuta il 2 Settembre del 1923, con cui la Cooperativa agricola di Marsala, forte di tremila soci, viene ceduta da Vincenzo Pipitone, capo del radicalismo trapanese che aveva avuto parte importante nella crescita del movimento cooperativo democratico durante l’età di Giolitti, a Giuseppe Ratiglia, segretario regionale dei sindacati fascisti».

Fonte:https://mafie.blogautore.repubblica.it/