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Il racket degli appalti e le pubbliche amministrazion

Il racket degli appalti e le pubbliche amministrazioni

29 Agosto 2017

di Sara Spartà

Il settore degli appalti pubblici rappresenta un punto nevralgico nell’economia di un Paese. La fetta di investimenti in appalti in Italia, è di circa 169.8 miliardi di euro annui, corrispondenti al 10.5% circa del Pil.
Questo settore, sebbene regolamentato e protetto dallo Stato, rappresenta uno snodo strategico per assicurare alle organizzazioni criminali profitti ingenti, controllo del territorio, consenso sociale, riciclaggio e occultamento di attività illecite. Attraverso importanti disponibilità di liquidità, le mafie “dialogano” con l’uso di tangenti con la cosiddetta “area grigia”, cioè funzionari pubblici, imprenditori e professionisti che gravitano nel settore degli appalti o, in via residuale, si avvalgono della forza intimidatrice e di assoggettamento per scoraggiare la concorrenza e controllare le procedure di aggiudicazione.
Negli anni le tecniche di infiltrazione si sono evolute e affinate in relazione all’evolversi della normativa, da un sistema pianificato di ripartizione delle gare, il famoso “metodo Siino”, si è passati al “tavolino” con la “tassa Riina” (lo 0.8% sul valore dell’appalto da convogliare direttamente nelle casse di Cosa Nostra) per approdare ad azioni più pervasive idonee ad intaccare tutte le varie fasi dell’affidamento.
In questo quadro, per sviluppare una risposta istituzionale adeguata, è essenziale individuare l’eventuale “effetto criminogeno della norma”, ossia le opportunità criminali prodotte dalla legislazione stessa nell’intento di perseguire obiettivi specifici.
L’Emilia-Romagna è stata la cornice ideale in cui sviluppare questo tipo di analisi, sia da un punto di vista sociologico, con la graduale penetrazione di gruppi mafiosi nel tessuto sociale, sia giuridico con la L.R.3/2011 per la promozione della cultura della legalità e la L.R.11/2010  riguardo al settore dell’edilizia. Risulta imprescindibile inquadrare criticità classiche del Codice Appalti (quali varianti in corso d’opera, massimo ribasso, subappalto) e dall’altro lato offrire la risposta in termini di strategie di prevenzione e contrasto da parte della Regione seppur nella limitata competenza in materia.
L’obiettivo raggiunto è stato quello di dimostrare quanto l’azione responsabile delle pubbliche amministrazioni possa sopperire a mancanze legislative. Alcuni esempi: il sistema di “Registrazione delle Presenze Autorizzate” ha garantito maggiore sicurezza nei cantieri; la verifica dei contratti cosiddetti sensibili e i “sotto soglia” che interessano il ciclo del contratto pubblico è stata possibile attraverso la stipula di Protocolli di Legalità; l’Elenco di Merito, accessibile dal sito internet della Regione, ha permesso di certificare le imprese  con la contestuale possibilità di un collegamento diretto alle “white list” delle Prefetture.
In via sperimentale sono stati realizzati interventi unici in Italia, quali l’Anagrafe degli esecutori un sistema ad interrogazioni che collega diverse banche dati con l’obiettivo di creare una anagrafica completa degli operatori economici; gli “indicatori sintomatici di anomalia degli appalti” un progetto che utilizza i dati e gli elementi raccolti dalle gare pubbliche e dai contratti da parte dell’Osservatorio Regionale al fine di individuare ex ante possibili irregolarità.
Da ultimo, si è osservata l’implementazione di queste disposizioni nella fase di ricostruzione post terremoto 2012 in Emilia-Romagna: il caso di necessità e urgenza non ha derogato a cruciali disposizioni del Codice degli Appalti in modo da garantire sempre e comunque i principi dell’evidenza pubblica.

fonte:http://mafie.blogautore.repubblica.it