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Il procuratore nazionale Antimafia:«Lotta ai clan, salto di qualità passiamo dall’attesa all’attacco»

Il procuratore nazionale Antimafia:«Lotta ai clan, salto di qualità passiamo dall’attesa all’attacco».IL DR,CAFIERO DE RAHO FA RIFERIMENTO NELL’INTERVISTA AL “ MODELLO CASERTA “,UN MODELLO CHE NOI DELLA CAPONNETTO RICHIAMIAMO SEMPRE COME ESEMPIO.UN MODELLO DA APPLICARE ANCHE A NAPOLI CON UN’AMPIA E SOLIDA SINERGIA FRA LE FORZE IN CAMPO.LA SENSAZIONE,PERO’,E’ CHE TALUNI NON VOGLIONO SENTIRE.QUANTO E’ DIFFICILE DISTRICARSI DA SETTARISMI E GELOSIE !!!

IL Mattino, Domenica 5 Maggio 2019

Il procuratore nazionale Antimafia:«Lotta ai clan, salto di qualità passiamo dall’attesa all’attacco»

Gigi Di Fiore

Ha le idee chiare, il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho. Idee che si rifanno alla sua ampia esperienza, prima di coordinatore della Dda napoletana e poi di procuratore capo a Reggio Calabria.

Procuratore Cafiero de Raho, dopo l’agguato a piazza Nazionale a Napoli, c’è bisogno di nuove strategie contro i clan camorristici? «Credo sia venuto il momento che Napoli diventi un caso nazionale, che concentri energie e attenzione costante dello Stato. Bisogna passare da una strategia di attesa ad una di attacco».

Cosa vuol dire? «Sul piano repressivo, le forze in campo sanno dare risposte efficaci ed efficienti. Le ordinanze di custodia cautelare come le inchieste sui clan della camorra napoletana sono sempre in gran numero. C’è un impegno investigativo condotto con professionalità. Ma ora occorre un salto di qualità sul piano della prevenzione, da coordinare in modo stretto con la repressione».

Ha in mente un modello concreto? «Ho in mente il famoso modello Caserta sperimentato nel 2008, quando ero coordinatore della Dda con competenze sulla mafia dei Casalesi. Un modello poi ripetuto a Reggio Calabria».

In cosa consisteva? «Una sistematica attività di controllo del territorio, continua e costante, in raccordo con le inchieste. Ogni mese, il ministro dell’Interno veniva a Caserta per una riunione in cui si faceva il punto della situazione, con i dati raccolti e la rimodulazione delle attività. Un modello che è stato esempio e ha dato risultati riconosciuti».

Crede sia attuabile anche nella città di Napoli? «Se è stato possibile a Reggio Calabria, perché non anche a Napoli dove la situazione è esplosiva a causa di una delinquenza frammentata, che limita la libertà della gente riuscendo ad attuare agguati che coinvolgono innocenti, terrorizzando un intero quartiere».

Ci sono le professionalità in grado di applicare questo modello a Napoli? «A Napoli vengono a lavorare sempre i migliori investigatori, che hanno fatto ampie esperienze in zone difficili del Paese. Certo, questo tipo di prevenzione va attuata in raccordo stretto e programmata con l’autorità giudiziaria ed è un lavoro che presuppone impegno continuo, senza pause».

In concreto, cosa sarebbe? «Un controllo capillare, anche ogni 500 metri se occorre. Posti di blocco, anche con l’ausilio dell’esercito,ma soprattutto perquisizioni e verifiche ripetute e non episodiche in quartieri e zone a rischio. Vanno espugnate le aree dell’impunità, dei fortini, delle piazze di spaccio. Controlli mirati, e questo significa anche l’utilizzo di perquisizioni su blocchi di edifici».

Iniziative da attuare sotto il controllo della magistratura? «Non sempre, ci possono essere anche attività di iniziativa degli organi di polizia giudiziaria. Ma le operazioni di prevenzione mirata, le strategie di attacco presuppongono di sicuro una stretta collaborazione tra magistratura e inquirenti in un’attività senza pausa. È faticoso,ma allo stato delle cose non vedo alternative».

Le norme lo consentono?«Abbiamo le migliori normative antimafia. Forniscono gli strumenti necessari per unire prevenzione e repressione. Molti risultati delle attività di prevenzione, dai controlli delle persone ai sequestri, danno materiale alle indagini. Tutto questo fa sentire il fiato sul collo ai clan malavitosi sui cui organigrammi si hanno già informazioni».

Lo ritiene attuabile? «Se c’è l’impegno, sicuramente. A Napoli, abbiamo una situazione di clan disgregati che hanno riferimenti nelle famiglie storiche dei Mazzarella e dei Contini. I clan si rifanno a queste famiglie, nell’assenza di capi storici che avevano rispetto e autorità. La nascita delle cosiddette paranze dei bambini era la spia di un fenomeno, alimentato da una percezione di impunità in interi quartieri».

Bastano gli attuali organici nelle forze dell’ordine per attuare la strategia che si richiama al metodo Caserta? «Credo che si debba fare il punto e tarare, come avvenne allora, organici e professionalità a quel modello. Ho grande stima per i vertici delle forze dell’ordine che sono in grado, se verrà reso stretto e continuo il modello di coordinamento e integrazione prevenzione-investigazione, di avviare una nuova strategia contro i gruppi camorristici napoletani in continuo mutamento».

Sembra che a Napoli, soprattutto di notte, non esistano controlli e le strade siano in balia di gruppi di violenti. Cosa ne pensa? «Ero nella zona dei cosiddetti baretti qualche giorno fa e all’improvviso ho visto sfrecciare motorini ad alta velocità, guidati da giovani senza casco. Sono diffusi, tra gruppi contrapposti anche solo per l’appartenenza di quartiere, atteggiamenti di prevaricazione, dimostrazioni di violenza e imposizioni di comportamenti. Un controllo, prolungato anche di notte, del tipo accennato può contrastare e inibire l’attività di questi gruppi».

Un nuovo tipo di prevenzione, dunque? «Una prevenzione non prevedibile, in qualsiasi quartiere cittadino. Una serie di attività mirate, che non durino solo il tempo successivo all’emozione provocata da episodi tremendi come quello di piazza Nazionale. Tutto questo farà bene anche alle indagini, che alla prevenzione si legheranno in maniera sempre più stretta».

Cosa ha pensato alla notizia di quest’ultimo agguato? «Ho pensato che non è ammissibile che a Napoli si sia privati anche della libertà di godersi in serenità la città. Che ancora una volta dei bambini sono stati coinvolti, loro malgrado, nell’orrore. È accaduto anche in passato, penso a Fabio De Pandi, a Nunzio Pandolfi, a Annalisa Durante, tanto per citare dei nomi. Non deve accadere più e spetta a chi deve trovare soluzioni concrete rendere.