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Il procuratore generale Riello:”Ora Napoli si mobiliti contro i clan come avvenne a Palermo dopo le stragi”

Il procuratore generale Riello:”Ora Napoli si mobiliti contro i clan come avvenne a Palermo dopo le stragi”
Il magistrato: “Non ci si deve abituare a tutto”

di DARIO DEL PORTO

19 maggio 2019

«È arrivato il momento di schierarsi dalla parte giusta. Non bastano più indignazioni intermittenti, serve una reazione corale, una scossa come quella che seppe darsi Palermo dopo le stragi del 1992. A patto, beninteso, che lo Stato faccia fino in fondo il suo dovere, anche con uno spiegamento di forze straordinario». Il mese orribile di Napoli, che ha visto la camorra uccidere davanti a un asilo, ferire una bambina innocente in pieno centro sparare nel cortile di un ospedale, rappresenta per il procuratore generale Luigi Riello «quasi un punto di non ritorno. La città non può restare indifferente», sottolinea il magistrato.
Dunque è d’accordo con Repubblica quando chiede a Napoli di «alzare la voce»?
«Certamente. Non ci si deve abituare a tutto. Negli ultimi tempi, a dire il vero, si avverte una maggiore voglia di riscatto. Il corteo di piazza Nazionale rappresenta un segnale positivo, lo stesso si può dire per la partecipazione con la quale tante persone stanno seguendo la storia della piccola Noemi. Però non basta».
Che cosa manca?

«Non si vede ancora una rivolta corale della città. Fiaccolate e manifestazioni sono importanti, però serve una risposta strategica, che non si fermi all’emozione suscitata da un singolo fatto di sangue».
Come si può articolare questa reazione «strategica»?
«Su due piani. Il primo compete allo Stato: sta rispondendo colpo su colpo, come dimostrano gli arresti per l’omicidio di San Giovanni a Teduccio e per la sparatoria in cui è stata ferita Noemi, e deve mantenersi sempre efficace e credibile, con interventi di prevenzione e bonifica sociale».
E il secondo?
«Ci riguarda tutti. Ho sempre detto che ai cittadini non si può chiedere di fare gli eroi. Ma Palermo e la Sicilia ci hanno dimostrato, dopo l’orrore delle stragi del 1992, che quando una comunità decide, coralmente, di non voltarsi dall’altra parte e di schierarsi compatta contro la mafia, le cose possono cambiare davvero».
Napoli invece rischia l’assuefazione al male?
«Il pericolo esiste, ma questa città non ha solo tinte fosche. Abbiamo il dovere di coltivare quei germogli positivi che esistono e dimostrano la possibilità di spezzare il circolo vizioso del crimine. Anche se, bisogna ammetterlo, il confine tra la città legittima e quella illegale non è così netto».
Si riferisce alla cosiddetta zona grigia di professionisti che fanno affari con ambienti malavitosi?
«Dico che queste due città troppo spesso si confondono. Il lavoro nero, il credito illegale, il gioco d’azzardo, gli stupefacenti confezionati a Scampia ma venduti nei quartieri alti, il riciclaggio, fanno da cerniera tra due mondi solo apparentemente lontani. La strategia di attacco alla camorra non può esistere se non si interviene anche sulla borghesia camorristica e non si recidono i legami tra la città legittima e quella illegale».
Che pensa dell’azione messa in campo dal ministro dell’Interno Matteo Salvini?
«Sono un magistrato, non tocca a me entrare nel merito delle scelte della politica. Mi aspetto sempre interventi concreti, da qualunque parte arrivino. I camorristi devono capire che non sono i padroni della città. Ci vuole uno scatto
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Fonte:www.repubblica.it