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IL PROBLEMA,CARO CAVALLI,E’ ANCORA PIU’ SEMPLICE IN QUANTO IL DISCRIMINE E’ FRA CHI CI CREDE E CHI NO,FRA CHI SI BATTE PER LA GIUSTIZIA E LO STATO DI DIRITTO E CHI ,INVECE,E’ SPINTO DA INTERESSI PERSONALI O DI PARTE,FRA CHI CI RIMETTE QUATTRINI E CHI LI GUADAGNA ALLA GRANDE,FRA CHI NE FA UNA MISSIONE E CHI UN MESTIERE.TUTTO QUA.LEVIAMO I FINANZIAMENTI,GESTIONE DI BENI E TUTTO QUANTO COSTITUISCE BUSINESS AD ASSOCIAZIONI,FONDAZIONI ,GRUPPI ECC. E VEDIAMO CHI RESTA.

 

 

 

DIA / 

 

1 Luglio  2017 

 

 

Apriamola, la polemica, una volta per tutte. Con un po’ di coraggio. Provando a spezzare il nonsense per cui se qualcuno infila il dito nell’antimafia finisce direttamente sullo scaffale di quelli che “fanno un favore alla mafia” secondo un refrain che forse è servito anche (volontariamente o meno) per preservare posti di comando e di visibilità a qualcuno. 

Dunque. L’ultima relazione della Direzione distrettuale Antimafia e Antiterrorismo ha il sapore di necrologio eppure è passata come se fosse l’inevitabile cartella clinica di un controllo annuale obbligatorio. Dice che ormai tutto il territorio nazionale è la base “in cui l’organizzazione criminale reinveste i cospicui proventi della propria variegata attività criminosa, nel settore immobiliare o attraverso operatori economici, talvolta veri e propri prestanome di esponenti apicali delle diverse famiglie calabresi, talaltra in stretti rapporti con esse, al punto da mettere la propria impresa al servizio delle stesse”: vi ricordate il mantra del “arginiamo le mafie”? Ecco. Missione fallita.

Dice, riguardo la ‘Ndrangheta, che “continuano, poi, ad essere sempre solidi i rapporti con le organizzazioni criminali del centro/sud America con riferimento alla gestione del traffico internazionale degli stupefacenti, in primis la cocaina, affare criminale in cui la ‘Ndrangheta continua mantenere una posizione di assoluta supremazia in tutta Europa”. Ricordate il “bisogna tagliare i ponti che la mafia ha con i propri fornitori”? Missione fallita. Anche questa.

Dice. La relazione annuale, che le indagini “hanno rivelato un rapporto tra la ‘Ndrangheta, esponenti di rilievo delle Istituzioni e professionisti – legati anche ad organizzazioni massoniche ed ai Servizi segreti – di piena intraneità, al punto da giocare un ruolo di assoluto primo piano nelle scelte strategiche dell’associazione, facendo parte di una ‘struttura riservata’ di comando”. Ricordate per caso da quanto anni si parla di “colletti bianchi” e massoneria? Ecco. Eccoli qui. In ottima salute.

Ma il dato più sconfortante forse è che, secondo la Direzione Nazionale Antimafia, ‘Ndrangheta, Cosa Nostra, Camorra e Sacra Corona Unita non solo sono in ottima salute ma mostrano addirittura segni di miglioramento. Le mafie insomma stanno bene. Un gran bene.

Ma il dato più sconfortante forse è che, secondo la Direzione Nazionale Antimafia, ‘Ndrangheta, Cosa Nostra, Camorra e Sacra Corona Unita non solo sono in ottima salute ma mostrano addirittura segni di miglioramento. Le mafie insomma stanno bene. Un gran bene

 

Chi ha fallito? Qui viene il punto. La politica, già da anni, ha dimostrato di non essere in grado (e in alcuni pezzi di non avere nemmeno la volontà) di combattere il fenomeno mafioso e tantomeno di volere inserire la lotta alle mafie tra le priorità della propria agenda politica. Non è un caso che la rete ammiraglia della televisione pubblica abbia sguinzagliato le più alte figure istituzionali per la commemorazione scenica in prima serata di Giovanni Falcone ma non abbia dedicato un granché di approfondimento al Codice Antimafia in discussione in Parlamento (che sta subendo proposte di emendamento vergognose) e non ha trovato utile dedicare uno sei suo millemila speciali al lavoro del Procuratore Franco Roberti e della DIA. Gli imprenditori (alcuni imprenditori) da tempo si rivolgono alle mafie convinti che siano gli unici partner ad avere quella liquidità troppo spesso negata dal sistema bancario, inconsapevoli di aprire una relazione verso l’inevitabile svuotamento delle proprie attività. La magistratura (escludendo quella corrotta e a disposizione delle mafie) lamenta inascoltata da anni di non avere i mezzi e gli uomini per riuscire a affrontare il fenomeno criminale e chiede di modernizzare le leggi e gli strumenti. I collaboratori di giustizia (escludendo quelli al servizio del sodalizio criminale) vivono un abbandono da parte delle Istituzioni che, d’altri tempi, avrebbe riempito le piazze e avrebbe fatto urlare allo scandalo e alla collusione. Invece niente. Poco o niente. I testimoni di giustizia se possibile sono messi anche peggio: senza nemmeno l’onta di un delitto pregresso vivono con ansia l’incagliamento della riforma promessa dal governo e subiscono la sensazione di “essere un peso” ogni volta che chiedono il rispetto dei propri diritti. I cittadini (i cittadini che la passione per l’antimafia non l’hanno mai sviluppata per svariati e giustificati motivi come il lavoro che non c’è, la frenesia di un tempo sull’olmo della crisi, la disperazione di un futuro che appare grigio) brigano indaffarati nel di solito hanno da far cose più serie, costruir su macerie e mantenersi vivi. 

E il cosiddetto “movimento antimafia”? Eccolo il punto. Ci sono, in Italia, due blocchi antimafiosi che appaiono sempre più pericolosamente sfilacciati: da una parte c’è l’antimafia più istituzionale che riesce a dialogare con le istituzioni fino ai suoi uomini più in alto e ha le risorse per un’ampia opera di sensibilizzazione mentre dall’altra, sempre piuttosto indigente e affannata, c’è la parte di chi, riunito in comitati locali e associazioni dedite alle problematiche territoriali, rincorrono e denunciano le illegalità in situazione di solitudine e spesso di pericolo. La federazione tra “grandi” e “piccoli” è in stallo da tempo. Da troppo tempo. Si scorge una certa propensione all’essere solidali solo con i propri sodali piuttosto che l’impegno a unire. Ed è un atteggiamento che no, non possiamo permetterci.

Il “movimento antimafia” (che già per definizione è un errore nel raccontare come specialistico un prerequisito essenziale alla giustizia sociale) ha avuto negli anni l’occasione di incidere, sensibilizzare, denunciare, raccontare, proporre, imporre, informare e informarsi: il pessimo quadro della relazione annuale della DIA è anche cosa loro? Sì. Avrebbe potuto fare di più e meglio? Ha inciso davvero nella realtà dei fatti? Quando ha trovato potenti “chiusure” rispetto alle proprie istanze ne ha denunciato pubblicamente gli autori? Quando ha avuto in mano “le chiavi” delle istituzioni (poiché molti “dirigenti” dell’antimafia istituzionale hanno avuto accesso al Parlamento se non a ruoli di governo) è riuscita a produrre cambiamento? Ha ascoltato i bisogni anche dei non allineati senza farsi condizionare dalle appartenenze? Ha permesso il libero esercizio della critica? Ha mantenuto viva l’autocritica?

E soprattutto: ma non è che una certa “classe dirigente”, anche nell’antimafia, ha fallito?