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Il problema, purtroppo, non è soltanto calabrese ma nazionale… Leviamo di mezzo convenzioni, sovvenzioni e qualsiasi cosa che possa dar vita al business. L’antimafia è una cosa seria, forse la più seria del paese e per farla c’é bisogno di gente seria che la faccia non per interessi economici, voti e quant’altro…

di ALDO VARANO – Quanti nei giorni scorsi hanno pronosticato una rovinosa e irreversibile caduta dei movimenti antimafia calabresi hanno avuto gioco facile. La doppietta Girasole-Canale (le cui ipotizzate responsabilità vanno valutate da un giudice in Tribunale) ha fatto esplodere le contraddizioni.

Ora sono arrivate altre due devastanti botte.

L’antimafia calabrese rischia di venire percepita, anche dalla parte migliore della coscienza del paese, come un aggregato malavitoso o, nella migliore delle ipotesi, una furbizia per rubacchiare e aiutare amici e clienti.

Sarebbe ingiusto. Un disastro destinato a stritolare anche chi è mosso da idealità, passione, impegno, sacrificio, voglia di pulizia. Questo mondo va difeso. Deve difendersi con mosse rapide e giuste.

Ma procediamo con ordine. Domenica sul Corriere della Sera Ernesto Galli Della Loggia, opinionista tra i più autorevoli e prestigiosi del paese, ha firmato un editoriale sull’antimafia, soprattutto calabrese, stroncandola. Della Loggia parte dai casi Girasole e Canale e scrive:

“Esse (le vicende Girasole e Canale, ndr) sono rivelatrici di quel modo sterile e illusorio di fronteggiare la malavita e di gestirne ideologicamente il contrasto sociale, che da noi imperversa ormai da anni sotto il nome di «cultura della legalità». La quale, al dunque, si sostanzia in niente altro che in convegni e in tavole rotonde, in oceani di chiacchiere di Autorità varie giunte con voli di Stato su Punta Raisi per viaggi lampo in giornata, in compunte cronache dei tg regionali e in scolaresche precettate d’imperio ad ascoltare gli sproloqui di sindaci e assessori, ovvero ospitate in costose carnevalate come la «Nave della Legalità» organizzata dal ministero dell’Istruzione sulla rotta Napoli-Palermo. Tutte cose destinate a furoreggiare perché mettono insieme due tratti qui da noi sempre in auge. Da un lato la precettistica buonista – di nessun effetto pratico, naturalmente, ma che permette a chiunque di esibire il proprio impegno politicamente corretto (vedi i soldi che sulla suddetta abilissima Canale piovevano dalla Fondazione «Enel cuore», dal ministero della Gioventù, dal Consiglio regionale della Calabria, dalla Prefettura e da chissà quanti ancora); e dall’altro l’eterna retorica, il «discorso», l’«intervento», i «saluti», la parola alata (e ovviamente vuota), che ancora tanto successo, ahimè, sembrano riscuotere specialmente nel Mezzogiorno”. Un’analisi impietosa.

Lunedì secondo colpo, se possibile più devastante. Il Corriere pubblica una lettera che pur riconoscendo “importante l’autocritica che apre l’editoriale di Della Loggia sui limiti della cultura dell’antimafia” mette polemicamente in guardia dal rischio si smarrire “il valore della memoria”. La firma Maria Falcone. Poi Nando Dalla Chiesa, Salvatore Calleri, Elena Fava, Rita Borsellino, la Fondazione Rocco Chinnici, il Centro Studi Pio La Torre, il Centro studi Paolo Borsellino

Insomma, i siciliani si tirano fuori dalla pozzanghera. Da soli. L’antimafia della Calabria non c’è. Viene tenuta lontana. I siciliani non si fidano? E’ questa la sensazione. Nando dalla Chiesa sul Fatto intanto racconta come lo hanno imbrogliato mettendogli accanto la Canale. Riflette sul valore dell’antimafia delle origini. Lo paragona all’oggi: “Qui tutto si rovescia invece in un tripudio di soubrette e saltimbanchi, narcisi e veterani senza storia (o dalla storia taroccata)”. Conclude: “E’ arrivato il momento di dire basta”. Armando Spataro, su Area, apprezza l’articolo. Altri magistrati, sempre su Area, denunciano: “l’antimafia sociale e culturale è diventata un grande affare, attorno al quale ruotano decine e decine di milioni di euro”.

Per noi il risultato è terribile: i calabresi sono appestati dalla ‘ndrangheta e sono appestati dall’antindrangheta. Il rischio è affossare e allontanare energie vitali di straordinario valore assolutamente necessarie per vincere le cosche.

Come se ne esce? Inutile girarci intorno. Serve tagliare alla radice la contraddizione tra lo spontaneismo della rivolta antimafia e i finanziamenti che spontanei non sono.

Il Consiglio regionale della Calabria, il Presidente Scopelliti, l’assessore Caligiuri, sindaci e presidenti di Provincia, taglino con effetto immediato qualunque contributo diretto o indiretto ad associazioni antimafia, musei, radio progetti, iniziative culturali, festival per premiazioni e l’intero circo fantasiosamente costruito con quattrini pubblici.

Si affidi la vitalità del movimento e la lotta contro le cosche alla generosità e alle risorse dello spontaneismo della società civile. E’ possibile un autofinanziamento che renda liberi e trasparenti lo sforzo e l’impegno, che esalti la voglia di esserci e di contare nella liberazione della Calabria dall’ipoteca mafiosa.

Del resto, niente sarà più come prima: o si farà così o i prossimi appuntamenti antimafia saranno avvertiti come affare e business da cui, magari a torto, le persone oneste si terranno lontane.

Nessuno si assuma la responsabilità morale di privare la Calabria e i calabresi di un movimento credibile e potente contro la ‘ndrangheta.