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Il problema dei Testimoni di Giustizia che politica ed istituzioni non vogliono risolvere. Ieri 28 maggio 2013 incontro a Roma fra il Gruppo Parlamentare del M5S e le rappresentanze delle Associazioni antimafia “ A. Caponnetto” e “ “I Cittadini contro le mafie e la corruzione”.

Testimoni di giustizia usa e getta

La vita rischiosa e invisibile di chi decide di denunciare le cosche nel silenzio della politica. Un’inchiesta di Luca Teolato per PopoffRedazionemartedì 28 maggio 2013 15: 20Commentadi Luca Teolato Testimoni di giustizia ‘usa e getta’, anzi, spesso neanche utilizzati al meglio e messi da parte prima del dovuto, tanto preziosi per le indagini quanto trascurati dai media e dalla politica. E’ così che nel Paese dove corruzione e criminalità organizzata la fanno da padroni, pochissime persone, siamo sotto quota cento, hanno deciso di mettere a rischio la propria esistenza per combattere il vero cancro dell’Italia, spesso abbandonate dalle stesse istituzioni per le quali si sono messe al servizio. Alcuni testimoni e vittime hanno deciso di rivolgersi all’associazione “I Cittadini contro le mafie e la corruzione” di Antonio Turri, ex commissario di polizia, da sempre in campo per combattere la criminalità organizzata e tutelarne le vittime. “Mentre al primo allarme – spiega Turri – giustamente si pensa alla sicurezza delle istituzioni, come è accaduto dopo il tragico evento nei pressi di Palazzo Chigi, le stesse istituzioni trascurano i veri artefici della lotta alla mafia, come i testimoni di giustizia. Non solo non hanno una protezione adeguata ma spesso neanche i soldi per poter vivere. Il ridotto numero dei testimoni di giustizia per reati di mafia è la dimostrazione di come nei fatti non venga incentivata dallo Stato la collaborazione dei cittadini. Nel silenzio più assoluto della politica e dell’antimafia del giorno dopo, a cui piace ricordare le vittime delle mafie dopo che sono state lasciate sole ed inascoltate nel momento del bisogno, invitiamo partiti, movimenti, sindacati ed associazioni a organizzare l’antimafia del giorno prima”. Ne sanno qualcosa Valeria Grasso, Gennaro Ciliberto e Rosario Puglia: tra i pochi che hanno alzato la testa e hanno detto no ai soprusi, ai ricatti, al malaffare che le mafie impongono giorno per giorno, trovando dall’altra parte uno Stato spesso ‘distratto’. Valeria Grasso “Nel gennaio 2007 ho denunciato un’estorsione e da quel momento è iniziato l’inferno” spiega Valeria, piccola imprenditrice palermitana che ha denunciato e fatto condannare Salvatore Lo Cricchio e Rosario Pedone, componenti del clan mafioso Madonia del quartiere San Lorenzo di Palermo. Dopo aver venduto la gestione della sua palestra gli estorsori le hanno ‘proposto’ di continuare a pagare il pizzo o di trasformarsi in estorsore, richiedendo lei stessa il pizzo al nuovo gestore. Se non si fosse prestata a questo gioco il nuovo responsabile della palestra, Antonino Milazzo, non avrebbe potuto più lavorare e, conseguentemente, non avrebbe più potuto pagare gli assegni che aveva rilasciato a garanzia del buon esito dell’operazione di vendita. Dopo quest’ultimo diktat criminale Valeria ha deciso di parlare, la misura era colma “sulla mia pelle, sulla pelle dei miei tre bambini – spiega con la voce rotta dalla commozione – e proprio per potere loro garantire una vita quantomeno dignitosa, ho subito per anni la violenza morale esercitata su di me da questi signori. Non potevo accettare di trasferire questa violenza ad un giovane che, come me anni prima, con tanto entusiasmo, stava lanciandosi in questa avventura”. E’ così che Valeria ha deciso di dire tutto ai carabinieri. “Da quando ho denunciato i miei estorsori – racconta – e, soprattutto, da quando ho cominciato a rendere pubblica la mia storia, ho subito diverse intimidazioni, ma per alcuni anni non ho avuto nessun sostegno dalle istituzioni”. Valeria, ormai esasperata, il 2 dicembre 2010 si è incatenata al cancello del Viminale ed ha ottenuto almeno la vigilanza dinamica davanti alla palestra ed alla casa: una volante che passa di tanto in tanto. Dopo un trasferimento insieme al marito ed ai tre figli per motivi di sicurezza ed il ritorno a Palermo per motivi di salute finalmente, a seguito della sollecitazione della Procura di Palermo, la Commissione Centrale per la definizione e applicazione delle speciali misure di protezione, nel corso del mese di maggio del 2012, ha provveduto ad emettere il decreto che ha sancito il suo status di “Testimone di Giustizia”, trasferendo lei e la sua famiglia in località protetta: dopo circa 5 anni dalla sua prima denuncia. “Sono stata per qualche mese – spiega Valeria – in alcuni alberghi convenzionati con lo Stato, con budget dimezzato perché vitto e alloggio erano a carico dell’hotel”. Una procedura, anche se tardiva, del tutto normale ma quando vengono trasferiti in una casa a settembre succede l’impensabile. “Vedevo degli ammanchi nel budget mensile – prosegue Valeria – che oscillavano dai 350 ai 750 euro. Mi hanno comunicato che erano gli extra dell’albergo. Premetto che non ho usufruito degli extra ma è anche difficile stabilire cos’è un extra, visto che non mi è stata data nessuna fattura e durante la permanenza negli alberghi in questione alcun dipendente mi ha mai fatto notare che usufruivo di servizi speciali dell’hotel non contemplati dalla convenzione”. Nessuna fattura all’orizzonte “il Servizio Centrale di Protezione – spiega Valeria – a quanto pare si è basato esclusivamente sulle cifre comunicate dagli alberghi”. La somma complessiva contestata è di 1800 euro: evidentemente Valeria e famiglia avranno ‘festeggiato’ l’allontanamento forzato dalla propria terra d’origine a caviale e champagne tutti i giorni. “Ho presentato due diffide al Servizio Centrale di Protezione – dice Valeria – per avere il resoconto di queste ‘spese extra’ effettuate. Ho anche inviato oltre un mese fa una lettera alla nuova presidente della Camera Laura Boldrini, denunciando l’accaduto ma non ho ottenuto finora nessuna risposta. L’unica replica è arrivata dal Servizio Protezione Centrale che in due righe sostanzialmente mi ha detto che devo pagare”. Per far sentire ancor di più vicino lo Stato ai cittadini che decidono di mettersi al servizio delle istituzioni rinunciando a tutto, da questo mese a Valeria hanno iniziato a decurtare altri 300 euro. “Senza neanche avvertirmi – prosegue – mi hanno tolto questi soldi perché mia figlia, a seguito di una forte depressione causata dal nostro vagare da un hotel all’altro, temporaneamente è tornata a Palermo per gli esami di maturità prossimi ma sono sempre io a mantenerla, non capisco perché questa ulteriore decurtazione. Tra l’altro, l’unica volta che hanno effettuato un rimborso nei miei confronti per alcuni libri scolastici, hanno preteso la fattura con il timbro della libreria: a noi chiedono massima trasparenza e con gli hotel convenzionati invece si comportano in questo modo. Io, al di là della mia vicenda personale sto portando avanti questa battaglia per tutti i testimoni di giustizia di oggi e di domani. Quando ho deciso di denunciare ho fatto una scelta di legalità, convinta che schierandomi con lo Stato esso mi avrebbe tutelato, ma quello che mi è capitato dimostra il contrario. E’ paradossale, per non dire triste – conclude Valeria – che dopo essere fuggita dall’illegalità e dalla corruzione mi trovi coinvolta di nuovo in una situazione simile, con queste fantomatiche spese extra non rendicontate che ancora non si capisce perché debba pagare. Ricordo che non sono soldi miei ma dei cittadini, non sono io che devo pretendere chiarezza e trasparenza ma tutti gli italiani”. Ancora stiamo aspettando. Gennaro Ciliberto Gennaro può essere considerato l’esempio emblematico di come non sia facile in Italia per un cittadino vedere, sentire e soprattutto parlare di vicende di mafia e di corruzione nel bel Paese. Nella sua veste di responsabile della sicurezza della ditta Carpenfer Roma Srl è venuto, suo malgrado, a conoscenza di episodi che costituivano gravi reati commessi da personaggi legati alla criminalità organizzata, in particolare di anomalie strutturali e di un giro di tangenti e di infiltrazioni della camorra nei lavori di appalto e subappalto facenti capo ad una nota famiglia criminale di Castellamare di Stabia legata al clan D’Alessandro. “A febbraio 2011 – racconta – mi sono recato alla Dia di Milano per denunciare tutto. La mia vita da quel momento è stata stravolta”. Gennaro, ex carabiniere, prima di sporgere denuncia ha raccolto tutti gli elementi necessari per comprovare i fatti inerenti le anomalie strutturali nella costruzione di alcune arterie autostradali: una vera e propria associazione a delinquere tra i suoi ex datori di lavoro e dipendenti e un altissimo funzionario della società autostrade Anas. “Con dovizia di particolari – prosegue Gennaro – ho parlato della consegna di orologi Rolex e di decine di migliaia di euro a chi doveva vigilare sui lavori. Ho raccontato della costruzione di piscine nelle ville di chi doveva far si che nei lavori sulle strade pubbliche di questo Paese, la sicurezza delle strutture e delle opere realizzate dovesse essere la regola. Corruzioni di vario tipo che hanno portato al collasso di alcune strutture metalliche costruite sulle autostrade italiane”. Gennaro è stato più volte ascoltato dalle strutture investigative antimafia di Milano, Torino, Trento, Roma, Firenze e Napoli, senza che si sia mai pensato di tutelare la sua incolumità personale: ci sono dieci procure che indagano grazie alle sue segnalazioni. Dopo le sue denunce è stato anche revocato un appalto sospetto, ottenuto con il 40% di ribasso, per la realizzazione di barriere antirumore sull’autostrada del Brennero, scandalo balzato agli onori della cronaca qualche settimana fa. Dal giorno della sua prima denuncia, al contrario dei criminali che sono coinvolti in questi loschi affari e che hanno già tentato di ucciderlo una volta, Gennaro scappa e si nasconde ospitato da amici ed aiutato dagli anziani genitori. “Mi sento – continua Gennaro – come un profugo su una zattera in mare aperto ormai. Come se non bastasse mi sono ammalato di diabete ed in questa condizione ho anche difficoltà a curarmi. Sono costretto a vivere di stenti sotto la continua minaccia dei signori della camorra che proseguono a lavorare nel settore delle costruzione delle grandi infrastrutture di questo Paese, nell’indifferenza più assoluta di chi dovrebbe tutelarmi”. L’aspetto più duro di tutta questa triste vicenda però è un altro “mia moglie mi ha lasciato e – racconta Gennaro che a stento trattiene le lacrime – mia figlia di 11 anni che non vedo da mesi mi chiede perché scappo, con la sua candida ingenuità di bambina pensa che sono i criminali che scappano e non le persone oneste. Io sto lottando soprattutto per lei e per far si che un giorno siano solo i delinquenti ad essere costretti a subire tutto questo”. Rosario Puglia Rosario Puglia si è ribellato anch’esso al sistema malavitoso, denunciando un giro di usura nei suoi confronti. Grazie a lui sono stati arrestati esponenti vicini al clan Santapaola – Ercolano ed è stata avviata un’indagine per usura bancaria a carico di funzionari di Banca Nuova. “Nel 2000 – racconta Rosario – ho deciso di dedicarmi alla produzione di vino a Linguaglossa, in provincia di Catania. Ho acquistato diversi terreni con lo scopo di produrre vini di qualità. Oltre ad impiegare capitali personali mi sono rivolto alle banche per dei mutui ed alla Regione per ottenere un finanziamento. A volte però l’usura criminale si nasconde dietro i cosiddetti colletti bianchi della finanza”. Per far fronte alle spese, forte anche della sovvenzione regionale ottenuta, Rosario decide di richiedere un mutuo agrario per il completamento dei lavori e si rivolge al direttore di una filiale di Banca Nuova, Giuseppe Miduri, che in attesa del finanziamento, secondo l’accusa che gli muove la Procura della Repubblica di Catania, gli fornisce diversi prestiti usurai al tasso del 10% e oltre. “Sono entrato in una spirale perversa – spiega Rosario – che mi stava distruggendo e nel 2008 ho deciso di denunciare tutto, fiducioso nello Stato ma mi sono dovuto ricredere: in Italia chi ha il coraggio di denunciare viene lasciato solo. Ho subito numerose minacce, due incendi dolosi in azienda – prosegue Rosario – e la mia attività economica è praticamente ferma, nessuno si azzarda a comprare il mio vino. Dallo Stato non ho ricevuto né protezione né sostegno economico per andare avanti. Addirittura un alto rappresentante delle istituzioni di Catania un giorno, davanti al mio avvocato, mi ha detto che ho parlato troppo. Cosa vuol dire? Che si può denunciare fino ad un certo punto, poi quando si toccano i cosiddetti colletti bianchi ci si deve fermare?”. Rosario, disperato, ha tentato il suicidio e, qualche mese fa, ha fatto uno sciopero della fame di oltre un mese per far sentire la propria voce, sperando che le istituzioni finalmente prendessero in considerazione la sua triste vicenda. “Dopo lo sciopero della fame – racconta Rosario – e l’interessamento dell’associazione ‘I Cittadini contro le mafie e la corruzione’ sono finalmente riuscito ad ottenere lo sblocco di un mutuo da parte del Servizio Centrale di Protezione il cui iter sembra in fase di completamento”. Un po’ di respiro per l’azienda di Rosario che nonostante le numerose difficoltà ancora resiste. Rosario, che dopo ben 5 anni dalla prima denuncia vede uno spiraglio di luce, non vuole arrendersi ed ha iniziato ad interessarsi a sua volta degli imprenditori nelle sue stesse condizioni. E’ diventato il responsabile della Sicilia per l’associazione di Antonio Turri che gli è sempre stata a fianco ed ha organizzato, per il 26 maggio, un’iniziativa presso la sua azienda con gli altri imprenditori vinicoli della zona per Giuseppe Giangrande, il poliziotto rimasto gravemente ferito nella sparatoria davanti a Palazzo Chigi: il 10% del ricavato sarà devoluto alla sua famiglia. Iniziativa che si chiuderà il 1 giugno a Catania con un seminario di studi e proposte sul tema della lotta al racket e all’usura. Rosario, memore di uno Stato distratto con i testimoni di giustizia e con i cittadini che decidono di alzare la testa e collaborare, ha iniziato a sua volta ad aiutare gli imprenditori in difficoltà come lui, l’indifferenza delle istituzioni almeno è servita a qualcosa. Parafrasando De Andrè, a volte, almeno, “dal letame nascono i fior”.