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Il parroco “spiritualmente unito” al picciotto

Il parroco “spiritualmente unito” al picciotto

1 MAGGIO 2018

di Mara Chiarelli

Voleva essere ricevuto dal papa «come il padre accoglie un figlio nel dolore», perché lui stesso, come un padre, aveva accolto i familiari di Rocco Sollecito, il boss di Grumo Appula, battezzato dalla ‘Ndrangheta e ucciso in Canada.

Don Michele Delle Foglie, parroco della chiesa madre di Santa Maria dell’Assunta, la più importante del comune a 20 chilometri da Bari, non si aspettava tanto clamore.

Tanto rumore, insomma, per una messa che, aveva spiegato, in fondo altro non era che un incontro di preghiera in ricordo di un figlio della comunità. E invece la sua scelta di celebrare la messa in suffragio del boss a dicembre 2016 aveva acceso un fuoco di polemiche, spentosi con molta difficoltà nei giorni successivi. Don Michele Delle Foglie, fratello di Silvestro, imprenditore della zona nel settore dei rifiuti (coinvolto in inchieste giudiziarie per violazioni ambientali), intendeva dimostrare la sua vicinanza alla famiglia di Rocco Sollecito, ucciso sette mesi prima a migliaia di chilometri di distanza.

E lo aveva fatto affiggendo un manifesto in paese: “Il parroco don Michele Delle Foglie – c’era scritto – spiritualmente unito ai famigliari residenti in Canada e con il figlio Franco venuto in visita nella nostra cittadina, invita la comunità dei fedeli alla celebrazione di una santa messa in memoria del loro congiunto”. La sua iniziativa, però, era stata considerata fuori luogo da una larga fetta di compaesani e fortemente osteggiata dalle autorità. Tra queste, il sindaco di Grumo Michele d’Atri, che aveva subito informato questura, prefettura di Bari e carabinieri. Immediata la reazione del questore Carmine Esposito, che aveva posto un veto: “La celebrazione del rito religioso, tenuto conto delle modalità dell’episodio criminoso che ha determinato la morte di Rocco Sollecito – si leggeva nell’ordinanza – potrebbe essere occasione di episodi di intimidazione, opera di proselitismo ed esaltazione di valori negativi, i cui riflessi potrebbero determinare grave pregiudizio per l’ordine e la sicurezza pubblica”.

Dunque niente campane a raccolta, per ricordare il boss emigrato, ma una semplice messa per i parenti all’alba, nella chiesa matrice, senza cortei e, aveva espressamente vietato il questore, senza “lancio di palloni aerostatici e accensione di fuochi pirotecnici”.

Sì perché a Bari e nella sua provincia vige una strana usanza, quella di onorare qualsiasi ricorrenza, dal diciottesimo compleanno alla comunione, fino alla scarcerazione, con fuochi d’artificio che siano visibili il più lontano possibile e, magari, siano udibili anche dalle celle del carcere per dare modo ai parenti reclusi di partecipare. Non a caso, sempre nel barese, a Valenzano era scoppiata un’altra polemica relativa al lancio di una mongolfiera, durante la festa patronale, sponsorizzata da una nota famiglia mafiosa del luogo e “dedicata” alla memoria di un altro ammazzato.

«Le messe non onorano, ma ricordano», aveva precisato don Michele Delle Foglie, che si presentava come <il confessore di tutti i peccatori. Dobbiamo inchinarci davanti al dolore dei parenti di questo signore – aveva ribattuto – e ricordarlo come tutti: davanti alla morte siamo tutti uguali>.

La morte per Rocco Sollecito era arrivata davanti ad una fermata dell’autobus, a Montreal, nel maggio 2017, per mano di un sicario armato di pistola, che lo aveva sorpreso alla guida della sua Bmw bianca. E il suo assassinio aveva rappresentato l’ennesimo colpo alla Cupola inizialmente composta da sei membri, che dalla fine degli anni Novanta aveva gestito i business illeciti a Montreal. Uccisi uno alla volta, ad eccezione degli unici due reclusi in cella, in nome del narcotraffico.

Fonte:http://mafie.blogautore.repubblica.it