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Il “modello ‘ndrangheta” governa(va) la Locride

| Il “modello ‘ndrangheta” governa(va) la Locride

MANDAMENTO | Il “modello ‘ndrangheta” governa(va) la Locride
Il controllo asfissiante del territorio. I “tribunali” per regolare la giustizia mafiosa (e anche le relazioni sentimentali). La proposta di affiliazione di un quindicenne alla cosca Cataldo. Radiografia dell’antistato reggino – VIDEO INTERVISTE

Martedì, 04 Luglio 2017

video:https://youtu.be/zBJEsKwaXY0

REGGIO CALABRIA Duemilanovecento pagine di provvedimento, cinque volumi di accuse precise e circostanziate nei confronti di 116 destinatari di un provvedimento di fermo, tutti catturati nella notte da mille carabinieri che sono intervenuti in simultanea in una ventina di centri della Locride, mentre sono andati avanti per tutta la mattinata sequestri, perquisizioni e notifiche di un centinaio di avvisi di garanzia. È monumentale anche nei numeri l’operazione “Mandamento Jonico” che ha radiografato struttura, dinamiche e affari di una ventina di piccoli e grandi clan dello Jonio reggino. Alla maxioperazione – «solo per adesso» promette il comandante del Ros, generale Giuseppe Governale – sono sfuggiti solo in due, Giuseppe Pelle, da tempo latitante, e un altro soggetto, al momento irreperibile. In carcere invece sono finiti capi e gregari di 23 clan della Jonica, insieme a quelli dei Serraino e dei Ficara-Latella di Reggio Calabria, e delle famiglie di Sinopoli. Tutte organizzazioni fotografate nella loro struttura interna, come nelle regole e leggi che ordinano i rapporti fra loro.

NDRANGHETA 3D Il risultato è un’inedita immagine tridimensionale di uno Stato che pretende di essere parallelo e alternativo alla Repubblica. «Lo Stato qua sono io», dice intercettato l’autoproclamato Re sole della Locride, Rocco Morabito. Ma con l’indagine “Mandamento jonico” quella struttura è stata compresa ed oggi inizia ad essere smantellata. «Questa operazione è anche il risultato di oltre cinquanta procedimenti che sono stati rianalizzati, valorizzati e inquadrati in modo sinergico, permettendo di comprendere non solo le dinamiche di un singolo clan, ma il sistema in cui quel clan è inserito». Un sistema totalizzante.

CONTROLLO ASFISSIANTE La ‘ndrangheta – emerge in modo chiaro dall’indagine “Mandamento Jonico” – controlla tutto. Gli appalti, l’edilizia pubblica, quella privata, le elezioni, infiltrandosi nei cantieri finisce per guadagnare anche sui beni che le sono stati confiscati, regola con i propri tribunali i rapporti fra gli associati e fra i clan, istruisce processi, commina sanzioni, arriva perfino a “regolare” le relazioni sentimentali di giovanissime figlie di boss, punendo ex fidanzati stufi o fedifraghi. Ed è – purtroppo – un modello.

DA GRANDE VOGLIO FARE LO ‘NDRANGHETISTA «Nel marzo 2015 – spiega il generale Governale – abbiamo intercettato una conversazione fra la giovanissima figlia del boss Antonio Cataldo “Papuzzella” e la madre, che era andata a prenderla a scuola. E lì ha ricevuto una formale richiesta di affiliazione a mezzo missiva che un quindicenne le ha chiesto di consegnare al padre». I carabinieri lo hanno scoperto perché, appena entrata nell’auto in cui era piazzata un’ambientale, la ragazza ha iniziato a raccontare alla donna di essere stata avvicinata da un compagno di scuola, che le avrebbe consegnato una lettera da consegnare al padre, alla successiva visita in carcere. Perplessa, ma forse anche un po’ inorgoglita, la ragazza – ascoltata dagli investigatori – ha iniziato a leggerla alla madre.

L’ANTIEROE «Vorrei mettermi a disposizione per voi e la vostra famiglia», è riuscita a scandire la giovane prima di essere interrotta dalla madre, ben consapevole del rischio intercettazioni e senza aver necessità di andare oltre per comprendere il tono della richiesta. Ma ad inquirenti e investigatori anche solo questo rapido passaggio basta per affermare che «non può esserci attestazione più diretta e genuina da cui evincere l’ammirazione di cui godeva il capo cosca Cataldo Antonio a Locri, come se il suo trascorso criminale fosse un esempio da emulare. Gli adolescenti locali lo considerano un modello a cui ispirarsi per conseguire rispetto e potere, percorrendo la strada dell’illegalità».

APPALTI E AFFARI La medesima via perseguita dai clan per intascare denaro, attingendo alle casse pubbliche. In tutti i paesi della Jonica, non c’è lavoro su cui la ‘ndrangheta non abbia messo le mani. «I metodi che abbiamo individuato sono diversi – spiega il comandante della seconda sezione investigativa del Ros, Roberto Sabatino –. C’è l’infiltrazione nelle amministrazioni comunali, che lascia come innumerevoli turbative d’asta attraverso il metodo dei “lavori di somma urgenza”, il controllo di forniture, l’imposizione di manodopera e materiali a ditte compiacenti, o ancora la fittizia intestazione di società usate per accaparrarsi l’appalto, magari grazie ad un accordo premio con avversari o concorrenti». Sistemi che non riguardano solo i cantieri pubblici, ma anche quelli messi in piedi dalle aziende chiamate a realizzare opere pubbliche o infrastrutturali importanti. «Preferiscono stare tranquille e pagarne il prezzo, piuttosto che andare incontro a violenze e danneggiamenti», continua l’ufficiale. Con buona pace del bene pubblico.

LE MANI SULL’AGRICOLTURA Ma gli interessi dei clan non si limitano a cantieri e mattone. Anche i campi sono un ricco business, soprattutto se innaffiati dai milioni stanziati da Bruxelles per sostenere l’economia calabrese. Paradosso nel paradosso, gli stessi clan responsabili di aver sottratto al territorio risorse importanti per un rilancio vengono visti come salvatori, perché in grado – quanto meno per gli operai del Consorzio di bonifica. Tutti impegnati a lavorare per il boss Rosi Barbaro piuttosto che per il Consorzio.

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

fonte:http://www.corrieredellacalabria.it