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Il maxiprocesso alla ’ndrangheta entra nel vivo ma in un’aula bunker deserta

Il maxiprocesso alla ’ndrangheta entra nel vivo ma in un’aula bunker deserta

Notizie riservate e «cinque milioni» per la scarcerazione del ras dell’abbigliamento Alfonso Annunziata: l’ufficiale del Ros Alessandro Caruso depone su Giancarlo Pittelli e sulla rete del superboss Luigi Mancuso, ma in udienza sono presenti soli cinque avvocati  su soli cinque avvocati su seicento

di Pietro Comito 11 gennaio 2022 13:20

L’udienza è di quelle che contano: l’ufficiale di polizia giudiziaria esaminato dalla pubblica accusa narra alcune vicende del presunto «Giano bifronte», ovvero l’avvocato ed ex parlamentare di Forza Italia Giancarlo Pittelli, imputato chiave del maxiprocesso, e dei rapporti istituzionali che – secondo la tesi del pool di Nicola Gratteri – avrebbe messo a disposizione della ’ndrangheta. Eppure l’aula, malgrado ciò, è praticamente deserta.

Il pubblico ministero Antonio De Bernardo è davanti al Tribunale collegiale di Vibo Valentia, presieduto dal giudice Brigida Cavasino, accanto e dietro di sé il vuoto. Dei seicento avvocati del collegio difensivo, alla ripresa del dibattimento solo due sono presenti in aulaParide Scinica, codifensore del presunto superboss Luigi Mancuso, e Alberto Cristiano, delegato dallo studio Aldo Ferraro, che assiste l’ex 007 Michele Marinaro. Ad udienza iniziata sopraggiunge anche Salvatore Staiano, legale, tra gli altri, proprio di Giancarlo Pittelli, che calendarizza il controesame suo e del collega Guido Contestabile.

Più tardi gli avvocati Franco Muzzopappa ed Elisabetta Solano. Desolazione, dunque, nell’aula bunker più grande e tecnologicamente avanzata d’Europa, dove si inizia con ritardo, alla stregua del giorno precedente quando – per l’assenza di avvocati o loro delegati in aula – il Tribunale ha trasmesso il verbale dell’udienza al Consiglio dell’Ordine degli avvocati.

Le conversazioni di Giamborino

Attraverso l’analisi dei dati di traffico telefonico, il sottotenente Alessandro Caruso – che in veste di ufficiale del Ros ha preso parte ad una delle fasi cruciali della colossale indagine Rinascita Scott – ricostruisce la tela di relazioni tra Giancarlo Pittelli, Giovanni Giamborino, Pasquale Gallone e Luigi Mancuso. Pittelli, l’illustre giurista e potente ex parlamentare di Forza Italia; Giamborino e Gallone, il faccendiere ed il presunto braccio destro di Luigi Mancuso, ovvero l’indicato capo del presunto “Crimine” della provincia di Vibo Valentia. L’ufficiale del Ros, tra gli spunti di partenza, cita una conversazione del 26 settembre 2016, quando Giovanni Giamborino veniva intercettato con un ristoratore di Vibo Valentia, che aveva chiesto la sua intercessione per recuperare un’auto che gli era stata rubata: Giamborino avrebbe, pertanto, scomodato pezzi da novanta della malavita vibonese, compreso Luigi Mancuso, a suo tempo irreperibile. Ma l’intercettazione è interessante, sul piano investigativo, perché da questa emerge la consapevolezza che da lì a breve vi sarebbe stata una maxioperazione antimafia, scaturita dalla collaborazione con la giustizia di Andrea Mantella e Raffaele Moscato. Qui, il presunto faccendiere del boss, spiegava che nel pomeriggio si sarebbe recato proprio da Pittelli, il quale sarebbe stato in grado – secondo le trascrizioni – di accedere ad informazioni riservate, malgrado il procuratore Gratteri avesse blindato una Procura, quella di Catanzaro, dalla quale «non esce più uno spillo». Questo perché Pittelli avrebbe avuto una fonte privilegiata in seno alla Direzione investigativa antimafia di Catanzaro.

I verbali di Mantella

Giovanni Giamborino, d’altronde, solo il giorno successivo si sarebbe recato nel capoluogo di regione dal noto penalista. Il Ros di Catanzaro constatava l’arrivo dell’autovettura su corso Mazzini e poi l’ingresso del presunto faccendiere nello studio Pittelli, quindi l’uscita ed il ritorno a Vibo Valentia. Nei giorni successivi, Giovanni Giamborino veniva intercettato mentre riferiva ad un suo amico cosa avrebbe appreso proprio da Pittelliinformazioni sulle dichiarazioni di Andrea Mantella. In quella stessa conversazione aggiungeva che nessun avvocato, diversamente dal passato, sarebbe stato in grado di accedere alle informazioni della Procura di Catanzaro, proprio per effetto delle drastiche misure assunte dal procuratore Gratteri. Altra conversazione interessante veniva intercettata dal Ros – spiega il sottotenente Caruso – con un terzo interlocutore, al quale Giamborino esprimeva preoccupazioni circa la possibilità che il superpentito Mantella potesse accusare anche lui. Ed in quella occasione diceva all’interlocutore come Luigi Mancuso fosse in possesso delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia.

La difesa di Annunziata e non solo

Grazie alle intercettazioni di Giovanni Giamborino, il Ros di Catanzaro scoprì pure come sarebbe stato proprio Luigi Mancuso a proporre l’avvocato Giancarlo Pittelli quale difensore dell’imprenditore Alfonso Annunziata, ovvero l’ex ambulante campano divenuto grazie ai Piromalli di Gioia Tauro – secondo le indagini della Dda di Reggio Calabria – il vertice di un autentico impero imprenditoriale nel settore dell’abbigliamento (con negozi a Gioia Tauro e Vibo Valentia), che si temeva potesse collaborare con la giustizia. Giamborino sosteneva che per la scarcerazione dello stesso Annunziata erano pronti «cinque milioni» di euro. Alfonso Annunziata non figura fra gli imputati di Rinascita Scott. procedimenti futuri.

Nelle conversazioni captate dal reparto d’élite dell’Arma – come emerge dall’esame del sottotenente Caruso – affiora in pratica tutto ciò che si muoveva nella rete del presunto superboss Luigi Mancuso, che si sarebbe reso disponibile anche a reperire posti di lavoro, in base alle segnalazioni di Giovanni Giamborino, che avrebbe provato a raccomandare un aspirante avvocato, chiedendo l’intercessione di Pittelli, agli esami di Stato. Affiorava, peraltro, come Luigi Mancuso non fosse stato affatto preoccupato dalle dichiarazioni di Mantella, ma volesse venirne comunque a conoscenza. In una circostanza – il teste analizza le intercettazioni nel novembre del 2016 – lo stesso penalista sosteneva di non poter dire nulla su Mantella, in quanto allora ignorava il contenuto dei verbali, e consigliava a Giovanni Giamborino di riferire a Luigi Mancuso di costituirsi e interrompere così il suo stato di latitanza volontaria, che avrebbe potuto aggravare i sospetti e la sua posizione in vista di procedimenti futuri.

Rapporti e incontri

Le captazioni oggetto dell’esame del sottotenente Caruso fanno anche emergere da un lato la preoccupazione di Pittelli, che temeva eventuali pedinamenti delle forze dell’ordine, ma anche i rapporti storicamente difficili tra i due vertici assoluti del clan Mancuso, ovvero Luigi, descritto in sintesi come un tipo diplomatico e carismatico, ed il nipote (peraltro più anziano e recentemente scarcerato dopo una lunghissima detenzione) Giuseppe detto “Mbrogghjia”, definito da Giovanni Giamborino come «un pazzo» per la sua rinomata ferocia. L’attività di indagine resocontata dal sottotenente Caruso dimostrava anche gli incontri, avvenuti a Limbadiin casa di Pasquale Gallone, e tra questi uno avvenuto con Giuseppe Cosentinoex presidente dell’Us Catanzaro (la squadra di calcio), spirato per un presunto caso di malasanità il 13 luglio del 2020, in un pranzo al quale presero parte anche Giancarlo Pittelli e Luigi Mancuso. Tra le conversazioni, una molto significativa nella quale, spiega il sottotenente Caruso, Pittelli sosteneva che «se c’era Mariano Lombardi a quest’ora Luigi…», richiamando quindi la figura dell’ex procuratore di Catanzaro spirato nel marzo 2011, mentre Giovanni Giamborino rispondeva che la giustizia avrebbe – dal suo punto di vista – dovuto tutelare un boss come Luigi Mancuso, in quanto garante dell’ordine sociale.

 

Fonte: https://www.lacnews24.it/cronaca/il-maxiprocesso-alla–ndrangheta-entra-nel-vivo-ma-in-un-aula-bunker-deserta_148661/