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Il martirio di don Peppe Diana

Il martirio di don Peppe Diana

di Luigi Ferraiuolo

16 Giugno 2019

Il trenta settembre del 1973 un bambino di nove anni, Francesco Aversano, che si trovava davanti all’Istituto delle suore di Casal di Principe, Maria Santissima Preziosa, fu ucciso, vittima innocente, durante una sparatoria tra camorristi. E’ uno dei momenti più tragici della mattanza senza fine che ha caratterizzato quelle terre dagli anni Settanta al primo decennio del Duemila. Circa 850 morti ufficiali negli scontri di camorra in Campania; 353 le vittime innocenti1. Oltre i tanti rimasti senza volto, uccisi dalla lupara bianca.
Fu un caso del genere, diciotto anni dopo, nel luglio 1991, a far scatenare la reazione di don Peppe Diana. L’unico prete ucciso dalle mafie in una chiesa in Italia, il 19 marzo 1994, mentre si accingeva a dir messa, il giorno del suo onomastico. Un vero e proprio sfregio, da parte del clan dei casalesi, all’impegno pastorale del sacerdote armato solo di Vangelo, che aveva osato uscire in strada per parlare con i giovani, distoglierli dal clan, invitare le persone in chiesa, gridare a tutti durante le omelie che la camorra era il male. Il martirio in chiesa di don Diana non spense però il suo esempio, come avevano sperato i clan.
Il 21 marzo del 1994, due giorni dopo l’assassinio, il primo giorno di primavera, Casal di Principe fu invasa da migliaia di persone. I giornali, «Il Mattino» e «La Repubblica» in testa, scrissero di oltre ventimila persone. Centinaia furono le lenzuola bianche esposte ai balconi. Il paese dove non era possibile pronunciare la parola camorra fu sconquassato da quell’avvenimento. Cominciò la rivoluzione silenziosa di don Diana. Oggi, dopo venticinque anni, fa rumore. Ci sono ancora le terre di camorra nel Casertano, ma ci sono anche le Terre di don Diana. Una speranza per i giovani di rimanere e farcela. Per sconfiggere le mafie serve lavoro e cultura: come hanno insegnato tanti magistrati. Il miracolo di Don Diana sono per l’appunto i beni confiscati ai camorristi che ora sono diventati imprese sociali e offrono lavoro. Ma anche la cultura pubblica sta mettendo radici a Casal di Principe. C’è una Biblioteca comunale, realizzata dimezzando il Consiglio comunale. Il tredici aprile scorso tutti i dodici finalisti del Premio Strega 2019, il meglio della letteratura italiana, sono andati nella cittadina del Casertano a incontrare i giovani studenti.
Ma cosa era accaduto il 21 luglio del 1991 per far scatenare la reazione di don Diana contro la camorra. Un giovane che ritornava dal mare in auto, da Baia Domizia, Angelo Riccardo, fu ucciso durante una sparatoria scoppiata all’improvviso tra i clan, nella piazza di San Cipriano D’Aversa. Come nel Far West.
E sparandosi tra di loro i camorristi uccisero il giovane di passaggio. Don Diana non riuscì più a star fermo. Una settimana dopo, domenica 28 luglio 1991, pubblicò un volantino durissimo contro i clan: «Basta alla dittatura armata della camorra». Lo firmò, insieme con lui, il parroco di Santa Croce, a San Cipriano D’Aversa, don Sebastiano Paolella; il direttore de «Lo Spettro» Raffaele Sardo; e il fondatore della comunità di base cattolica di Aversa «La Roccia», Nicola Alfiero. Il volantino, violentissimo nei toni – non si era mai parlato così chiaro contro la camorra a Casal di Principe – non solo provocò un putiferio politico e giudiziario con prese di posizione e interrogatori in Procura. Ma fu la goccia che portò al primo scioglimento per camorra, il successivo trenta settembre, proprio di Casal di Principe e della connessa Casapesenna (Casal di Principe, San Cipriano D’Aversa e Casapesenna sono in pratica un unico agglomerato urbano). E poi, qualche mese dopo, a Natale del 1991, arrivò «Per amore del mio popolo». Firmato da tutti i sacerdoti della forania di Casal di Principe.
Ecco, se della vicenda di Angelo Riccardo, ormai si parla su diversi libri e in tanti documenti ufficiali. Anche se sempre pochi. Di ciò che era accaduto a Francesco Aversano nessuno sapeva nulla. L’Italia, allora, nel 1973, come per tantissimi anni a seguire, ha girato la testa dall’altra parte. Preferendo non vedere, per convenienza (denaro e voti) o per ignavia, che potessero morire a causa della camorra, senza nemmeno il dono del ricordo, bambini di nove anni. Preferiva vivere sicura nelle proprie case.  Come è successo tante altre volte nella storia. Si muore perché si è soli diceva Falcone. Si muore per un sì o un no, ancora prima aveva scritto Levi. Domenica scorsa, 19 maggio, il Comune di Casal di Principe, quarantasei anni dopo, grazie a un sindaco illuminato, Renato Natale, finalmente è riuscito a ricordare il bambino. Ha inaugurato un parco giochi dedicato al piccolo Francesco, all’interno di un bene confiscato, la cosiddetta «Villa Scarface».
Durante l’inaugurazione è intervenuta anche suor Adele, una delle religiose presenti il giorno in cui fu ucciso il piccolo Francesco a soli 9 anni: «Ricordo perfettamente quel giorno – spiega suor Adele – Francesco non volle entrare in chiesa, dove si stavano tenendo le Comunioni. voleva giocare fuori, poi all’improvviso sentimmo degli spari e in un attimo uscimmo tutti fuori. A quel punto – ha detto la suora con la voce rotta dall’emozione – vedemmo Francesco che tentava di aggrapparsi al cancello come per ripararsi, ma aveva tutta la mano insanguinata. Fu un momento terribile, sembrava il finimondo».
Ora però «quei tempi sono passati e questo paese può esprimere finalmente tutte le sue potenzialità – conclude – riprendendosi la sua dignità, quella che ha sempre avuto. Ora è cambiata la cultura e così bisogna continuare: tutte le persone di buone volontà facciano rete per tenere fuori chi vuole fare solo del male». Casal di Principe non è più sola!

Fonte:http://mafie.blogautore.repubblica.it