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Il fenomeno del condizionamento delle istituzioni e degli Enti locali.

Tenere d’occhio quello che fanno –o non fanno – i Prefetti sul versante della lotta alle mafie.Il  Prefetto per legge é il massimo responsabile in una provincia della sicurezza e dell’ordine pubblico e spetta a lui attivare le forze dell’ordine.Bisogna pretendere che essi emettano a centinaia le interdittive antimafia rispetto alle imprese in odor di mafia,cosa che raramente fanno.Avete visto quello che é successo all’EXPO di Milano?Centinaia di imprese sospette,se non fosse intervenuto Cantone,avevano già preso in appalto milioni di lavori.Vergogna! A Roma dicevano che………………non c’era mafia e sta venendo fuori il marciume.E così é un pò dovunque,fatta qualche rara eccezione! Da oggi in avanti occhi aperti sui Prefetti e se non fanno il loro dovere bisogna cominciare a denunciarli all’Autorità Giudiziaria per omissione di atti di ufficio e probabile concorso esterno.Ora basta !

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MA I PREFETTI COSA FANNO ?????????

 

 

 

 

 

DOVREBBERO FARE” PREVENZIONE” MA

POCHI E RARAMENTE LA FANNO.

NELL’AZIONE DI CONTRASTO ALLE MAFIE

SI PUNTA TUTTO SUI MAGISTRATI,MA

QUESTI POSSONO INTERVENIRE

SOLAMENTE “DOPO”,QUANDO IL

REATO E’ STATO GIA’  COMPIUTO.

IL COMPITO DI INTERVENIRE ” PRIMA”,

QUANDO,CIOE’,I BUOI NON SONO

ANCORA  SCAPPATI DALLE

STALLE,SPETTA SOLAMENTE AI

PREFETTI,MA QUANDO QUESTI  NON

FANNO NIENTE AL RIGUARDO ED

ADDIRITTURA DICONO,COME E’

AVVENUTO A ROMA,CHE ” A ROMA

NON C’E’ MAFIA”!!!!!!!!!!!!!!!!!(

QUANDO STIAMO VEDENDO CON

“MAFIA CAPITALE”) IL MARCIUME

CHE C’E’-E STIAMO SOLO ALL’INIZIO

-O CHE,ADDIRITTURA,” ROMA E’ LA

CITTA’ PIU’  SICURA D’ITALIA

“O,COME E’ AVVENUTO IN

CAMPANIA, DOVE UN’IMPRESA DI

TRASPORTI,PUR GRAVATA DA

INTERDITTIVA

ANTIMAFIA,CONTINUAVA A

PRENDERE L’APPALTO  A CASERTA

DALLA REGIONE,ALLORA l’UNICA

SOLUZIONE SONO LA SCOPA ED I

CALCI NEL SEDERE.

BISOGNA PRETENDERE A GRAN VOCE DAI

PREFETTI CENTINAIA DI

INTERDITTIVE ANTIMAFIA

ALL’ANNO E,SE CONTINUANO A NON

FARLE,BISOGNA DENUNCIARLI

ALL’AUTORITA’ GIUDIZIARIA PER

OMISSIONE DI ATTI DI UFFICIO E PER

CONCORSO ESTERNO.

E’ NECESSARIO,PERTANTO,APRIRE UNA

STAGIONE DI CONTROLLO

RIGOROSO DELL’OPERATO DEI

PREFETTI IN MATERIA DI LOTTA

ALLE MAFIE E FAR SENTIRE AD ESSI

IL FIATO SUL COLLO DELLA

SOCIETA’   CIVILE.

SONO ESSI,NELLA LORO VESTE DI

RESPONSABILI PROVINCIALI DELLA

SICUREZZA E DELL’ORDINE

PUBBLICO,GLI UNICI RESPONSABILI

SE LE FORZE DELL’ORDINE LOCALI

NON INDAGANO COME SI DOVREBBE

SUI PATRIMONI,LE

MOVIMENTAZIONI BANCARIE,GLI

INVESTIMENTI ECONOMICI

,DISATTENDENDO,COSI’, QUELLO

CHE GIOVANNI FALCONE DICEVA  ”

SEGUITE IL FILONE DEI SOLDI E

TROVERETE LA MAFIA”.

OSSERVATE I ” RISULTATI” DELLE

ATTIVITA’ IN UN ANNO DEI COMANDI

TERRITORIALI !!!!!!!!!!!!!!!

PIETOSI !!!!!!!!!

SE NON INTERVENISSERO DAI GRANDI

CENTRI LA DIA,IL GICO,IL ROS,LO

SCO,I CORPI CENTRALI CIOE’,

SAREMMO ANCORA AL MEDIOEVO.

E,SE SULLE SCRIVANIE DEI PM NON

ARRIVANO LE INFORMATIVE,LA

MAGISTRATURA NON PUO’

NEMMENO APRIRE I PROCEDIMENTI.

QUESTI SONO I PROBLEMI REALI CHE

DOVREBBERO AFFRONTARE TUTTI

QUELLI CHE PARLANO    – SENZA

NEMMENO  SAPERE DI COSA  SI

TRATTA – DI MAFIA ED

ANTIMAFIA!!!!!!!!!!!

QUELLA CHE  DOVRA’  VEDERCI

IMPEGNATI  NELL’ANNO APPENA

INIZIATO – UN’ATTENZIONE

PARTICOLARE SULL’AZIONE DELLE

PREFETTURE SUL PIANO DELLA

LOTTA ALLE MAFIE – DOVRA’ ESSERE

LA MADRE DI TUTTE LE BATTAGLIE.

I PREFETTI DISPONGONO DI UN POTERE

ECCEZIONALE IN MATERIA,UN

POTERE CHE NON TUTTI HANNO

USATO COME ERA NECESSARIO.

E QUESTO NON DOVREMO PIU’

TOLLERARLO.

INVITIAMO SIN DA ORA  GLI AMICI E LE

AMICHE DI TUTTA ITALIA,ISCRITTI E

SIMPATIZZANTI, A SEGNALARCI

OGNI COMPORTAMENTO ANOMALO

,OMISSIVO,COLLUSIVO.

E’ NECESSARIO COMINCIARE AD

ESSERE,SE VOGLIAMO  SERIAMENTE

FARE LA LOTTA ALLE

MAFIE,ACCENTRARE LA MASSIMA

ATTENZIONE SULLE PREFETTURE.

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IL RUOLO    DEI PREFETTI E LA NECESSITA’ URGENTE   DI    MODIFICARE    LA

LEGGE.

L’ASSOCIAZIONE CAPONNETTO    PUBBLICA  QUESTA   NOTA    AL  FINE  DI

AVVIARE   NEL  PAESE   UN’ APPROFONDITA   RIFLESSIONE    SUL

RUOLO   DEI   PREFETTI   SUL   VERSANTE   DELLA   LOTTA   ALLE

MAFIE  E  SULL’URGENTE    NECESSITA’   DI  UNA  MODIFICA DELLA

LEGISLAZIONE IN  MATERIA.

NON    E’    POSSIBILE    PARLARE    SERIAMENTE   DI    LOTTA    ALLE   MAFIE

PERPETUANDO     L’ATTUALE   STATO  DELLE   COSE.

 

 

 

 

 

 

 

 

il fenomeno del condizionamento delle istituzioni e  degli Enti locali

 

Il degrado delle Istituzioni

I recenti eventi giudiziari  che hanno coinvolto due ex ministri dell’Interno ( Scajola e Cancellieri )

per fatti di rilevante gravità nonché i recenti arresti di prefetti ( Blasco, La Motta , Ferrigno) e

l’incriminazione di ex Prefetti  ( Maria Elena Stasi e Maddaloni entrambi condannati  in primo

grado  ) sempre per fatti riferibili ad ambienti della criminalità organizzata o meglio ad ambienti

politici contigui alla criminalità organizzata,   devono necessariamente indurci a fare una riflessione

sul ruolo e sui poteri che la legge assegna all’Amministrazione dell’interno nella lotta alla

criminalità organizzata.

Ovviamente occorre  doverosamente  sottolineare che l’amministrazione dell’Interno registra  la

presenza di una stragrande maggioranza di persone  che dedicano la loro vita lavorativa e  in molti

casi anche personale,   al servizio esclusivo  dello Stato.

Proprio per tutelare anche questa categoria di servitori dello Stato e per consentire a questi di poter

svolgere con serenità e senza interferenze della politica,  le azioni  istituzionali di contrasto al

crimine organizzato,   occorre capire quali siano state le cause  che hanno determinato la devianza

dell’azione di settori dell’amministrazione dell’interno ad appannaggio degli interessi di contesti

socio politico criminale.

Analizzando bene i fatti di cronaca giudiziaria  che vedono coinvolti ministri dell’interno e prefetti

si capisce subito che nelle vicende stesse hanno un ruolo centrale interessi personali  riferibili a

politici spesso di rilevo nazionale. Basta citare a solo titolo esemplificativo il   caso dell’ex

parlamentare Nicola Cosentino ed il recente coinvolgimento dell’ex prefetto Stasi .

Infatti i fatti giudiziari in questione rilevano come  spesso le contestazioni formulate  dalla

Magistratura  riguardino condotte  volte a favorire uomini politici . Basta vedere la vicenda   del

prefetto Stasi nell’ambito dell’indagine sui distributori di carburanti  di proprietà della famiglia

Cosentino ovvero la vicende di appalti  al comune di Caserta  per la quale sono state condannati i

prefetto Stati e Maddaloni per interessi riferibili a ditte di  Nicola  Ferrara, esponente politico

regionale dell’UDEUR , oppure la vicenda esaminata nel corso del processo cosentino del mancato

scioglimento del consiglio comunale di Mondragone la cui compagine politica era riconducibile

all’ex ministro Landolfi ovvero al mancato rilascio del certificato antimafia interdittivo alle ditte

ECO Quattro e Aversana Petroli , entrambe riferibili ad interessi della famiglia Cosentino.

Appare quindi evidente la correlazione tra condizionamento dell’azione dei Prefetti ed in genere

dell’amministrazione dell’Interno  con la politica nella quale ampi settori    spesso sono  contigui ad

ambienti della criminalità organizzata ( soprattutto nelle regioni meridionali) .

 

Ma perché i prefetti si piegano alla Politica ovvero perché sono condizionati dalla stessa ?

Prima di rispondere a questa domanda vediamo chi sono e cosa fanno i prefetti .

Il prefetto è il massimo organo amministrativo periferico, terminale politico-operativo dell’apparato

della sicurezza, agente elettorale del governo, motore della vita economica e sociale della provincia,

tutore dell’ente locale.

Il prefetto  ha una  posizione di eminenza del Prefetto rispetto alle altre cariche amministrative

periferiche in virtù del riconoscimento della rappresentanza dell’esecutivo nella provincia e,

conseguentemente, il carattere tendenzialmente “generale” del campo delle attribuzioni.

L’art. 2 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (t.u.l.p.s.), concede un’amplissima  facoltà

al Prefetto di adottare atti contingibili e urgenti per esigenze di sicurezza pubblica.

Il  Prefetto presiede i  Comitati Provinciali della Pubblica Amministrazione e dei comitati

metropolitani; ha  funzioni in materia di droga, scioperi nei servizi pubblici essenziali, antimafia,

statistica; della ricostruzione del ruolo del Prefetto rispetto alle autonomie territoriali.

Insomma la legge ha conferito ai prefetti poteri enormi. Tra questi   è appena il caso di ricordare

quelli che esercita attraverso il Comitato provinciale Ordine e sicurezza pubblica, che vede la

partecipazione, in posizione di subordinazione funzionale, del Questore e dei Comandanti

Provinciali dei Carabinieri e della Guardia di Finanza. E’ proprio nel comitato che si decidono  le

proposte  al consiglio dei ministri degli scioglimenti dei consigli comunali per infiltrazioni mafiose,

le misure di tutela da assegnare ai magistrati , ai cittadini minacciati, ecc. ecc.

Gli stessi vertici delle Forze dell’ordine  a livello provinciale  sono soggetti, ai fine dell’avanzano di

carriera,  delle valutazioni da parte dei prefetti.

Quindi i prefetti sono potenzialmente in grado di incidere sulle figure apicale delle tre forze di

polizia e indirettamente sui magistrati esposti a pericoli di attentati o di sicurezza  personale ,

dovendo il prefetto decidere  se e  a chi assegnare le misure di tutela ( vigilanza  , scorta, nei sui

diversi livelli di gravità, ecc )

Ci si renderà conto che il Prefetto , stante la delicatezza dei compiti assentatigli dalla legge e il

ruolo centrale nelle vicende più delicate  di ordine e sicurezza pubblica , deve  svolgere le proprie

finzioni nel pieno ed inderogabile rispetto del principio di imparzialità dettato dall’art. 97 della

nostra carta costituzionale.

 

Il prefetto è posto nelle condizioni di poter esercitare liberamente e fuori da ogni forma di

condizionamento le proprie delicatissime funzioni ?

 

Per poter rispondere è necessario capire come  si articola la carriera prefettizia e come vengono

nominati i prefetti e assegnati alle sedi provinciali .

La nostra carta costituzionale non prevede, come per l’ordine giudiziario, un organo di autogoverno

che possa assicurare l’indipendenza e l’autonomia dei Prefetti . Invero non prevede neppure la

figura del prefetto la cui presenza deriva dalla normativa del ventennio fascista.

Invero i prefetti vengono nominati dal Consiglio dei ministri.

Sono cioè nominati  dalla politica che in un dato momento storico è posta alla presidenza del

consiglio dei ministri e ne ha maggioranza politica in seno allo stesso Organo.

Quindi, come è agevole, comprendere , i perfetti vengono nominati a secondo della loro contiguità o

meglio del gradimento di quella o   quell’altra forza politica.

 

Quindi, per esempio,  ci troveremo che nel periodo del Governo Berlusconi sono stati nominati

prefetti , coloro ritenuti di gradimento di quella forza politica. In genere queste scelte risentono

anche  delle indicazioni provenienti dai coordinatori regionali. In Campania nel periodo dei governo

Berlusconi,   per un lungo lasso tempo il ruolo di coordinatore regionale è stato assunto dall’ex

parlamentare Nicola Cosentino, oggi sottoposto a processo per concorso esterno in associazione

mafiosa.

Insomma l’imparzialità che deve inderogabilmente risiedere alla base delle scelte dei prefetti  può

inconfutabilmente essere minata da questi meccanismi di nomina  che ineludibilmente possono

creare momenti di devianza nelle scelte prefettizie.

 

Non è la prima volta che prefetti non allineati alla politica  ovvero ad una certa parte di politica

deviata, siano stati  gravati da provvedimenti dal carattere sanzionatorio. Tutti ricorderanno il

prefetto di Reggio Calabria Vittorio Piscitelli che sciolse il consiglio comunale di Reggio e  con

l’insediameno del Ministro calabrese Alfano è stato repentinamente trasferito altrove. Ovvero il

prefetto di Agrigento Fulvio Sodano trasferito dal sottosegretario all’Interno Antonio D’Alì,

quest’ultimo  poi incriminato per concorso in associazione mafiosa.

Insomma appare improcrastinabile l’esigenza di  blindare talune delicate funzioni di ordine e

sicurezza pubblica   assegnate ai prefetti.

Due sono le strade: o si modificano le leggi prevedendo un meccanismo di nomina dei Prefetti

attraverso un sistema simile a quello previsto per i magistrati oppure si trasferiscono queste funzioni

strategiche per la sicurezza   dei cittadini e dei servitori  dello stato alla magistratura.

 

Appare inaccettabile che debba essere un funzionario dello stato nominato, prefetto,  dalla politica a

decidere se un magistrato ( che spesso si trova ad indagare politici di rilievo nazionale presenti

direttamente o indirettamente nel consiglio dei Ministri) debba o meno avere  misure di tutela a

fronte di minacce anche potenziali o di esposizioni  elevante a rischio attentato. Appare paradossale

che debba essere il prefetto, espressione della politica a formulare giudizi e valutazione sul questore

e sui Comandati provinciali dell’arma e della g di f . Innegabilmente gli stessi possono per questi

giudizi subire  una sorta di condizionamento o di timore reverenziale nei confronti del prefetto ogni

qual volta si trovano a  dover indagare su fatti e vicende che riguardano gli stessi prefetti o politici

che hanno espresso gradimento per quello stesso prefetto.

O peggio ancora, appare  assurdo   che debba essere il   prefetto  a decidere se  e quando sottoporre

ad indagini antimafia, un consiglio comunale   per infiltrazione  della  criminalità organizzata,

quando lo stesso consiglio comunale è  dello  stesso partito politico che   risiede nel Consiglio dei

ministri e che quindi  potenzialmente può incidere sul prefetto stesso.

Non è la prima volta che pur in presenza di evidenti episodi di infiltrazioni della criminalità

organizzata non si sia proceduto allo scioglimento delle amministrazione risultate permeabili alla

c.o. . ( basti citare i casi del Comune di Fondi, del comune di Mondragone, Castellammare di stabia,

di torre annunziata, di torre del greco,  e di tanti altri comuni ). Analoga considerazione vale per il

rilascio dei certificati antimafia. Appare assurdo che un imprenditore per poter stipulare contratti

con la pubblica amministrazione debba essere sottoposto alla valutazione del prefetto ai fini del

rilascio della c.d. liberatoria antimafia. E’ evidente che in siffatto contesto e meccanismo di nomina

e rimozione dei prefetti, l’imprenditore che sarà di gradimento della politica di maggioranza e

quindi dei prefetti,   risulterà immune da problemi di antimafia ( vedi il caso della società Aversana

petroli dei Fratelli Cosentino, la Eco Quattro di Castel Volturno riferibili agli stessi politici della

corrente di Cosentino, alla società dei fratelli Buglione, e tante altre società notoriamente infiltrate

dalla criminalità ma che operano indisturbate e di contro ditte che  non si sono piegate ai voleri

della politica che invece vengono colpite da interdittive antimafia per vicende banali ed

insignificanti

La democrazia in siffatti condizione è messa a dura prova.

 

La politica sana e la società civile devono  farsi carico di indicare le soluzioni . Occorre che in

attesa di una legislazione che garantisca l’imparzialità e l’indipendenza dei funzionari dello stato

preposti all’esercizio  di delicati compiti in materia di ordine e sicurezza pubblica e soprattutto nella

lotta alla criminalità organizzata,  dette funzioni vengano trasferita alla Magistratura che , per

effetto dell’autonomia ed indipendenza garantitagli dalla Costituzione possa adottare le decisioni

più giuste ed imparziali e scevre da condizionamenti della politica che ,  come si diceva risente della

presenza di ampi settori  contigui alla criminalità organizzata .

 

 

 

Le implicazioni con la vita politica napoletana  costituiscano  il punto di partenza storico di un

intreccio perverso che ha determinato il consolidarsi  del fenomeno dell’infiltrazione e del

condizionamento degli Enti locali

Nel corso degli anni ottanta , infatti,  In Campania tanto per citare un esempio,  si è assistito

all’espandersi ed al consolidarsi  di un fenomeno sociale  molto grave che ha messo in luce i diffusi

rapporti  nell’ambito della gestione della “ cosa pubblica”  tra politica, affari e malavita organizzata

di tipo mafioso .

Il degrado delle Istituzioni a Napoli era  tale da indurre il Procuratore Cordova a una denuncia

amara ma non disperata: «Lo Stato a Napoli, dice Cordova, è un’entità eventuale, aleatoria, virtuale.

Parlo dello Stato ufficiale non di quello reale, l’unico che a Napoli la gente conosce e teme per

davvero: la camorra. Le leggi dello Stato sono lente, i processi non finiscono mai e la pena è un

evento remoto, prescrivibile, amnistiabile, depenalizzabile. Le leggi della camorra sono ferree e

immutabili, semplici e inderogabili, i giudizi si celebrano fulmineamente, e le sentenze sono

rapidissime, inappellabili e immediatamente esecutive. È ovvio che i cittadini temono lo stato

effettivo, quello camorristico, e non quello ufficiale».

La camorra si è trasformata in stato, che ci si trova di fronte ad un vero e proprio fenomeno di

banditismo sociale, di neo brigantaggio populista.

La fiducia dei cittadini nelle Istituzioni cala di giorno in giorno.

Non vi e’  indagine su organizzazioni camorristiche che non riveli preoccupanti fenomeni di

penetrazione   collusiva nelle istituzioni.

Per molti versi, lo Stato sembra corrispondere a modelli ideali di sviluppo degli interessi criminali,

anziché« di salvaguardia degli interessi della collettività    e delle istituzioni statuali.

In estrema sintesi si può quindi affermare che si è di fronte ad un nuovo soggetto che oramai può

essere definito Alta  Camorra che ha dato prova di non essere più ai margini della società, ma sta

conquistando progressivamente –  o forse ha già conquistato –   i centri dei poteri politico,

economico e sociale. Insomma  la camorra sta tentando di non porsi in posizione esterna o

antitetica, ma di stare ben dentro lo Stato, la politica, la società, l’economia.

Insomma la repressione dei delitti e delle illegalità, che è un  sacrosanto dovere dovrebbe essere

accompagnato da un controllo capillare, da un meticoloso accertamento sulla debolezza

istituzionale di fronte alla pressione corruttiva e alle collusioni di gran parte di essa con l’Alta

Camorra. In definitiva è condivisibile quanto sostenuto da un noto giornalista che

“ I grandi camorristi  stanno nell’ombra “.

L’intreccio tra criminalità, politica e affari negli enti locali è sicuramente quello maggiormente

avvertito dal cittadino comune in quanto gli stessi  Enti più di ogni altra istituzione risultano,  in

considerazione delle funzioni istituzionali cui sono deputati per legge , a stretto contatto con la

collettività amministrata. Le indagini condotte dalla magistratura

Il primo ed incisivo intervento,  che il  legislatore ha  posto in essere per tutelare gli enti locali dalle

ingerenze della criminalità organizzata   si è avuto con l’approvazione  della Legge 22.7.1991, n.

221  che ha introdotto l’art. 15 bis della L. 55/1990 concernente lo scioglimento dei consigli

comunali e provinciali coinvolti in fenomeni di infiltrazione e di condizionamento mafioso. La

stessa norma oggi è confluita nell’art. 143 del D.lgt. 267/2000

E’ una norma sicuramente di carattere eccezionale,  in quanto  a prescindere dal giudizio penale,

l’amministrazione  locale  risulta evidentemente  inquinata , al punto che nessun’altra misura , al di

fuori  dello scioglimento, potrebbe risultare  idonea al recupero della legalità.

Era presente  nell’ordinamento un vuoto normativo, che  consentiva di fronteggiare  queste

situazioni , e per riempirlo si era  fatto ricorso ad un uso indiretto  della potestà di scioglimento dei

consigli comunali  per motivi di ordine pubblico ( si ricorda il caso del comune di Quindici,  retto

da un esponente apicale di una  nota famiglia camorristica, sciolto nel 1983 per motivi di ordine

pubblico  dall’allora  Presidente della Repubblica Sandro Pertini .

La legislazione speciale antimafia in questione  intende, prioritariamente, salvaguardare gli interessi

pubblici dalle mire della criminalità organizzata, ancora prima che si vengano a determinare le

condizioni oggettive e concrete dell’aggressione a beni giuridicamente protetti.

In particolare  il procedimento di accertamento scaturente dai poteri previsti e demandati dalla

suddetta legislazione ai Prefetti, ovvero alle Commissioni delegate, all’uopo istituite, risponde alla

funzione di prevenzione cautelare globale che prescinde, nella sua applicazione, da istituti e concetti

dell’ordinamento penale, da cui se ne discosta dichiaratamente.

Particolarmente  innovativa risulta la disposizione contenuta nell’art. 143 del D.lgt.

267/2000   che prevede la possibilità che il prefetto , nella fase istruttoria  del procedimento di

scioglimento , acquisisca dal procuratore  della repubblica notizie utili a motivare la decisione , in

deroga all’art. 329 del codice di procedura penale , superando cioè l’obbligo di segretezza disposto

da tale norma  con riguardo alle esigenze  del procedimento penale .

Ma la facoltà più significativa conferita dal legislatore al prefetto per la ricerca  di ogni

elemento di valutazione utile allo svolgimento dell’azione amministrativa assegnatagli dalla stessa

norma scaturisce  dal disposto normativo di cui al Decreto legge 354/1991, convertito nella Legge

30.12.1991, n. 410 che consente, attraverso poteri investigativi, di verificare se ricorrono  pericoli di

infiltrazione tipo mafioso  nell’ambito dello svolgimento dei “ servizi” cui sono deputati per legge

gli enti locali .

Nel 2009 con la legge 94 , l’art. 143 del d.lgs. 267/2000 ha subito una modifica che appare aver

ridimensionato e affievolito l’azione di contrasto alla criminalità organizzata. Infatti è stato stabilito

che le indagini antimafia debbano essere svolta da una commissione composta “ da tre funzionari

della pubblica amministrazione.

Invero  prima dell’entrata in vigore della legge 94/2009  le indagini venivano svolte da organi di

polizia  che stante le loro specifiche conoscenze  e professionalità info-investigative, potevano

fornire un contributo determinate al buon esito delle indagini. Invece il legislatore del 2009 ha

affidato a tre funzionari della P.A. dette attività di indagini.

Ogni commento appare del tuto superfluo.

Infatti precedentemente  per le operazioni di accesso antimafia nei comuni, i  prefetti  si avvalevano

di apposite commissione composte da rappresentanti di tutte le forze, dell’ordine nonché da un

rappresentante della D.I.A., nonché da funzionari statali  appartenenti ad amministrazioni  che,

nell’ambito delle proprie attività istituzionali, avevano  competenza  e conoscenza delle attività

amministrative cui i comuni sono deputati per legge .

 

 

Associazione  A.Caponnetto

www.comitato-antimafia-lt.org