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Il Csm e la moralità da recuperare

Il Csm e la moralità da recuperare

21 GIUGNO 2020

La riforma della magistratura dopo il caso Palamara. Onestà e coscienza professionale, libertà da interessi di parte e da condizionamenti servili, forte sentimento del bene comune: questo occorre oggi. Un percorso difficile ma non impossibile

DI ARMANDO SPATARO

Come spesso avviene in Italia all’indomani di clamorose inchieste, sulla scia del “caso Palamara”si discute da un anno delle possibili riforme del sistema giustizia. Prioritaria appare quella del sistema di designazione dei componenti del Consiglio superiore della magistratura. Ciò soprattutto a causa delle interferenze delle correnti dell’Associazione Magistrati sull’attività dell’organo di governo autonomo della magistratura emerse in quell’indagine.

Fortunatamente il governo e il ministro della Giustizia hanno abbandonato l’ipotesi del sorteggio dei membri del Csm che, pur se paludata in vari modi, appare offensiva per la dignità della magistratura. In un appello-proposta appena diffuso da alcuni giuristi si auspica un sistema a doppio turno: al primo, la scelta avviene per estrazione a sorte di un paniere di legittimati passivi (96) tra cui poi si eleggono i 16 togati.

Uno stratagemma per aggirare l’articolo 104 della Costituzione che prevede l’elezione dei togati ad opera di tutti i magistrati. Per questo stupisce che la presidente del Senato, qualche costituzionalista e taluni magistrati si dichiarino favorevoli al sorteggio.Non è comunque possibile negare che quanto sta emergendo dimostra la perdita di autorevolezza dei gruppi associativi, tale da fare dimenticare le ragioni ideali e culturali per cui sono nati.

Sono proprio i magistrati che credono nelle correnti come “luoghi” di assistenza e tutela che devono riformare se stessi: ciò di cui vi è primario bisogno è conoscere e capire prima di votare secondo coscienza. Ciò non toglie che appare urgente rivedere il sistema elettorale dei componenti togati del Csm, ricordando, però, che anche l’attuale meccanismo fu approvato nel 2002 proprio per disinnescare il potere delle correnti. Senza ottenere effetti. Addirittura, in occasione delle ultime elezioni del 2018, le quattro correnti esistenti, con scelta criticatissima di cui non hanno ancora fatto ammenda, hanno ciascuna candidato un proprio esponente per i quattro posti previsti di pm: tutti eletti senza competizione!

Se le correnti esistono ed è costituzionalmente illegittima la proposta di abolirle, bisogna allora puntare sul rafforzamento del rapporto tra gli eletti e i territori: non più un collegio unico nazionale ma più collegi territoriali. Il disegno di legge delega in elaborazione questo si propone, ma con alcuni passaggi criticabili: aumentati da 16 a 20 i membri togati da eleggere, si prevedono ben 19collegi che dovrebbero eleggere un candidato ciascuno, mentre quello della Cassazione ne eleggerebbe due.

Questa riforma in realtà non abbatterebbe né attenuerebbe in alcun modo l’influenza delle correnti e dei “potentati locali” che, nonostante l’esclusione delle liste contrapposte, vedrebbero persino crescere la propria influenza in collegi territoriali così ristretti.

Ed inoltre, proprio la loro pluralità, la dimensione ristretta e le necessità localistiche finirebbero inevitabilmente con il condizionare l’azione degli eletti forse ancor più della loro eventuale contiguità correntizia. Se si vuole privilegiare la conoscenza dei profili professionali e culturali dei candidati per restituire credibilità al Csm, è fuori luogo prevedere ben 19 collegi: ne servono meno, tali da garantire numeri di magistrati elettori (legittimati ad esprimere due preferenze) tendenzialmente omogenei, prevedendo l’elezione per ciascuno di essi di due componenti del Csm (il che permetterebbe con certezza la rappresentanza di genere e di differenti identità culturali).

E sarebbe logico garantire che gli eletti fossero portatori al Csm, secondo una proporzione correlata ai rispettivi organici, delle esperienze dei magistrati giudicanti e requirenti. Il che non pregiudicherebbe la necessità della unicità della loro carriera, che i sostenitori della separazione continuano ostinatamente ad avversare nonostante l’Europa auspichi che il nostro modello sia adottato anche altrove.

Ma sia concesso, a questo punto, citare le parole di un grande politico, Virginio Rognoni, già vicepresidente del Csm, che nel 2009, commentando una proposta di riforma dal sapore punitivo allora avanzata (prevedeva, tra l’altro, il taglio dei componenti togati), ricordava che il “sistema nefasto delle logiche correntizie” vede “coinvolta anche la parte laica del Csm”. Ma soprattutto Rognoni auspicava lo scenario del “buon governo” della magistratura, raggiungibile soltanto “percorrendo fino in fondo – togati e laici – la via del recupero di moralità civile, di onestà e coscienza professionale, di libertà da interessi di parte e da condizionamenti servili, di forte sentimento del bene comune. Un percorso difficile ma non impossibile”.

Non esistono parole migliori per descrivere ciò di cui la magistratura ha oggi bisogno.

Fonte:https://rep.repubblica.it/