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Il coronavirus e il mafioso siracusano in ‘scarcerazione preventiva’

Il coronavirus e il mafioso siracusano in ‘scarcerazione preventiva’

Da Paolo Borrometi

Il coronavirus per qualcuno ha effetti positivi, insperati. Il boss Antonino Sudato, sessantenne, ergastolano, condannato in via definitiva per associazione mafiosa, estorsione e omicidio è ‘libero’ di tornare a casa propria, agli arresti domiciliari.

A comunicarlo è il legale di fiducia dell’ergastolano, con la precisazione che si tratta “del primo che esce dal carcere”. Esce dalla prigione non per curarsi, in quel caso saremmo totalmente d’accordo, ma per il “pericolo di contagio” a causa delle sue patologie. La scarcerazione preventiva è un genere giudiziario che ci mancava, ora lo abbiamo. Hai il diabete? Sei immunodepresso? Sei iperteso? Allora esci e vai casa.

Il “primo ergastolano” che esce dal carcere costituisce un pericoloso precedente. L’ergastolano Sudato non ha contratto il Covid-19, esce perché “potrebbe contrarlo”. Come i poliziotti o i carabinieri nelle strade (anche se iperteso), come le cassiere nei supermercati (anche se con il diabete), come gli agenti della Polizia penitenziaria (anche se con la gastrite). Tutti continuano a lavorare.

E l’omicida non continua a scontare la sua pena in carcere. Non solo, in un rovescio incredibile della storia, l’assassino che ha strappato gli affetti a qualcuno, egli ora ritrova in casa i suoi affetti. E forse anche il comando, seduto sulla poltrona di casa. I mafiosi devono stare in carcere proprio per evitare di continuare ad esercitare il loro riconosciuto potere. Sudato no, torna a casa.

Il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, aveva rassicurato che “nessun condannato per reati gravi (quindi mafiosi o terroristici) uscirà dal carcere”. Sudato diventa un precedente. Pensate al boss Matteo Messina Denaro, potrebbe cominciare a pensare così: fatti arrestare, tanto se soffri di ipertensione (vuoi mettere lo stress di una latitanza quasi trentennale!) potrai comunque tornare a casa ed abbracciare gli affetti che non vedi (forse) da tanti anni. I tuoi figli, i tuoi parenti, ed anche i tuoi affiliati.

La presidente dell’Associazione ‘Vittime del Dovere’ giorni fa aveva scritto una lettera al ministro della Giustizia. Rappresenta i familiari di quelle vittime di cui troppo spesso dimentichiamo il dolore. Quell’appello non può diventare lettera morta. Ed il dolore delle vittime e dei loro familiari, gli unici che hanno davvero il ‘fine pena mai’, non può essere umiliato. Almeno questo no.

4 aprile 2020

fonte:https://www.laspia.it/