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Igeco, sentenza di fallimento dopo verifiche Direzione Investigativa antimafia

Igeco, sentenza di fallimento dopo verifiche Direzione Investigativa antimafia

Apr 27, 2021 Stefania De Cristofaro

Depositate le motivazioni della sentenza del 26 marzo 2021 su ricorso della procura di Lecce: “Dagli accertamenti svolti dalla Dia, risulta che al 31 dicembre 2019, ultimo bilancio disponibile, Igeco presenta un patrimonio netto negativo di 10.862.282 euro e debiti per 34.043.168. La società, già colpita da interdittiva, il 15 febbraio aveva chiesto il concordato preventivo e adesso intende ricorrere contro la decisione dei giudici

Di Stefania De Cristofaro

LECCE – Dichiarazione di fallimento per la società Igeco Costruzioni, con sede legale a Roma ed effettiva a San Donato di Lecce, frazione di Galugnano. Le condizioni di salute economico finanziarie della spa, già coinvolta in inchieste penali nel settore della raccolta dei rifiuti, con l’imprenditore Tommaso Ricchiuto, e destinataria di interdittiva antimafia, sono state valutate dal Tribunale di Lecce il 26 marzo 2021 su richiesta della procura di Lecce, partendo dalle verifiche condotte dalla Dia, la Direzione investigativa antimafia.

LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA DI FALLIMENTO PRONUNCIATA DA TRIBUNALE LECCE

Le motivazioni dei giudici della sezione commerciale sono state depositate nei giorni scorsi ed è sulla base di tali spiegazioni che i legali della società, Silvio Tersilla, Paolo Federico Fedele e Giovanni Mastrangelo, hanno anticipato la volontà di presentare ricorso. Anche perché Igeco Costruzioni, che di recente ha come presidente del consiglio di amministrazione il senatore Bruno Erroi, stando agli atti, il 15 febbraio aveva chiesto l’ammissione al concordato preventivo prenotativo, senza riuscire a centrare l’obiettivo.

Per il Tribunale presieduto da Anna Rita Pasca, anche relatore, (giudici Sergio Memmo e Giancarlo Maggiore), innanzitutto la competenza per il giudizio è fuori discussione perché sebbene Igeco abbia sede a Roma, quella principale ed effettiva è in provincia di Lecce, come peraltro “emerso dall’interdittiva antimafia”. E come riconosciuto – hanno ricordato i giudici – dalla “stessa Igeco nell’adire il tribunale” in due momenti: la prima volta l’1 ottobre 2018 chiedendo il concordato preventivo, rispetto alla quale c’è stata ordinanza di revoca dell’ammissibilità, poi il 15 febbraio scorso con richiesta di concordato preventivo prenotativo, dichiara non ammissibile.

I PRESUPPOSTI DELLA DICHIARAZION DI FALLIMENTO: VERIFICHE DELL’ANTIMAFIA

Il punto centrale è che, per il Tribunale, “sussistono indubbiamente i presupposti soggettivi” indicati dalla legge fallimentar, “evidenti dalla documentazione agli atti e mai oggetto di contestazione”. Nella stessa istanza depositata da Igeco e riportata nelle motivazioni, si legge: “…che Igeco sia insolvente, è confessato dalla stessa società che ha depositato il ricorso di concordato preventivo”.

Per i giudici, “l‘insolvenza manifestatasi come incapacità di far fronte alle proprie obbligazioni, è attestata da dati inconfutabili”. In primis “dagli accertamenti svolti dalla Direzione investigativa antimafia, sezione operativa di Lecce”. Emerge – hanno spiegato i giudici – che “al 31 dicembre 2019, ultimo bilancio disponibile, Igeco presenta un patrimonio netto negativo di 10.862.282 euro e una situazione debitoria complessiva pari a 34.043.168, importo determinato dalla somma algebrica dei valori espressi dalle varie voci di bilancio”.

I giudici hanno anche fatto riferimento all’attività istruttoria – definita complessa – svolta nella prima procedura di concordato preventivo liquidatorio del 2018 perché dai documenti “è emerso un maggiore passivo e soprattutto un attivo del tutto difforme e inferiore, rispetto alla proposta di Igeco”. Passivo “ridotto al punto da non essere idoneo a soddisfare integralmente nemmeno i creditori privilegiati, per cui i chirografari non verrebbero soddisfatti in alcuna percentuale”. Tanto è vero che il 12 gennaio scorso è stata revocata all’ammissione alla proposta di concordato.

In quella fase ci sono state le stime degli ingegneri Mauro Pellè ed Enrico Bellomo per i beni mobili e immobili e le stime delle partecipazioni del professore Alberto Tron.

In particolare, hanno scritto i giudici, da parte di Igeco è venuta meno “la sua attitudine a soddisfare la condizione di ammissibilità al concordato” che è costituita dalla capacità di assicurare la soddisfazione nella misura del 20 per cento dei creditori chirografari. E “tanto vale a smentire la dichiarazione fatta in udienza dal legale rappresentante di Igeco”, il quale “ha affermato di ritenere sussistenti i numeri per superarla.

L’INTERDITTIVA ANTIMAFIA DELLA PREFETTURA DI ROMA NEL 2018 E LE CONSEGUENZE

C’è anche un terzo elemento che rimanda all‘interdittiva antimafia, firmata dal prefetto di Roma, che colpisce Igeco nel mese di ottobre 2018. In quel provvedimento, poi confermato dal Tar, veniva evidenziata la presenza di 6 dipendenti su 310, alla data del 23 novembre 2018, con precedenti per reati di stampo mafioso.

Igeco ha sempre contestato, tanto da aver fatto anche ricorso al Consiglio di Stato con l’avvocato Nicola Flascassovitti e con lo studio legale Cancrini &Partners. La società era riuscita a ottenere l’ammissione al controllo giudiziario per due anni da parte del Tribunale, con amministratore Francesco Francioso e giudice delegato Giovanna Pizzalunga, di fatto incassando una sospensione dell’interdittiva sino alla scadenza del biennio.

Dopo l’interdittiva, costata anche la perdita del porticciolo turistico di Brindisi, stando a quanto si legge nelle motivazioni della sentenza di fallimento, la società “non ha in corso di esecuzione alcun contratto, come ha dichiarato l’advisor”.

La situazione di Igeco è la seguente: “Ha solo 13 dipendenti, otto dei quali sono amministratori e tecnici impegnati a curare il contenzioso avviato dalla società, mentre i restanti cinque sono operai addetti alla manutenzione e custodia di beni e impianti, atteso che gli altri dipendenti sono stati assunti dalle società subentrate negli appalti pubblici, in virtù della clausola sociale” di salvaguardia dei livelli occupazionali.

A chiederne il fallimento, come si diceva, è stata la procura della Repubblica di Lecce con ricorso depositato il 12 febbraio di quest’anno, sostenendo che “il valore di realizzo dell’attivo è molto al di sotto della soglia prevista dalla norma fallimentare per l’accesso al concordato preventivo liquidatorio (20 per cento al chirografo)”.

LA CESSIONE DELLE QUOTE IN FAVORE DEL PERSONALE DIPENDENTE

La procura ha fatto riferimento alle verifiche poste in essere dai commissari giudiziali e ha contestato l’operazione di cessione delle azioni in favore del personale dipendente della Igeco. Operazioni che tecnicamente sono definite di “management buyout” e si inseriscono nel processo di “self cleaning” cioè di auto pulizia dopo l’interdittiva antimafia.

L’operazione realizzata non può essere definita tale” perché “non risulta che i dipendenti Igeco, anche laddove avessero già acquisito le necessarie garanzie finanziarie abbiano realizzato una credibile ripresa dell’azienda”. I dati dell’Antimafia, come si diceva, sono negativi.

Non solo. Per la procura c’è stato un tentativo di superare con un bypass gli effetti dell’antimafia con “la cessione delle quote dalla Igeco holding srl alla Inex Ingegneria &Servizi srl, con atto di compravendita delle azioni datato 18 agosto 2020 a un importo dichiarato di 975 euro”. Il sospetto è legato all’incrocio delle cariche sociali tra la società cedente e quella acquirente.

Per il Tribunale, quindi, il self cleaning è solo “formale” e in quanto tale non idoneo a incidere sull’originaria compagine societaria “atteso che la nuova società, sebbene rappresentata da soggetti privi di precedenti penali e/o di polizia, appare ancora riconducibile alla famiglia Ricchiuto”. In tal modo può ritenersi che “abbia effettuato solo un’operazione di occultamento della reale titolarità delle quote effettuata ad altri scopi”.

Altro aspetto di cui i giudici hanno tenuto conto, è la “presenza di atti in frode” e in particolare della “omessa segnalazione di costi ingenti e di passivo e per l’indicazione di attivo per beni non commerciabili” nonché “dello stato di insolvenza apparendo dagli atti evidente che il debitore non è più in grado di soddisfare le proprie obbligazioni”.

LA NOMINA DEI CURATORI FALLIMENTARI E L’ADUNANZA PER LO STATO PASSIVO

Il Tribunale, contestualmente alla dichiarazione di fallimento, ha nominato come curatori l’avvocato Ulisse Corea e il commercialista Carlo Rugge.

Il Tribunale, inoltre, ha ordinato il deposito dei bilanci delle scritture contabili fiscali, nonché l’elenco dei creditori entro tre giorni. Per l’esame dello stato passivo, tenuto conto della complessità, l’adunanza è stata fissata al 27 settembre con inizio alle 10,30 davanti al giudice delegato Anna Rita Pasca, nei locali del Tribunale civile di Lecce. I creditori potranno presentare domande di insinuazione allo stato passivo nei 30 giorni precedenti all’adunanza.

Fonte:https://www.iltaccoditalia.info/2021/04/27/igeco-sentenza-di-fallimento-dopo-verifiche-direzione-investigativa-antimafia/