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I vescovi: no a tutte le mafie, “strutture di peccato”

Roma. Il documento sul Sud appena licenziato dalla Conferenza episcopale italiana, quanto al binomio socialità-attività produttive, mette sotto accusa le <non poche contraddizioni dei processi di modernizzazione>.

Sul fronte del classico “primario”, ad avviso dei vescovi <un’agricoltura moderna, emancipata da ogni retaggio di sfruttamento, consentirebbe un più equilibrato rapporto tra uomo e natura> e dunque <lavoro non più degradante, ma d’effettivo sviluppo umano per le nuove generazioni>.

In particolare, sul versante culturale, accanto a umanità e religiosità, si sono scorte nelle terre del Mezzogiorno <forme di particolarismo familistico, di fatalismo e di violenza> che <rendevano problematica la crescita sociale e civile>.

La modernità, secondo quanto ravvisato nel documento della Cei <paradossalmente ha potenziato quegli antichi germi, innestandovi la nuova mentalità, segnata dall’individualismo e dal nichilismo>. In pratica l’<assorbimento acritico di modelli comportamentali diffusi dai processi mediatici> (ah!, Karl Popper e la sua stantia tv <cattiva maestra…>) ha solo fatto seguito al mantenimento di forme di <falsa onorabilità> e <omertà diffusa>. Mentre la <svalutazione della maternità> non esclude affatto, nei tempi a noi più vicini, il <ruolo di primo piano che le donne vengono a rivestire nella criminalità organizzata>.

In termini di prospettiva, la Conferenza episcopale valuta comunque lo scenario mediterraneo (e la relativa centralità del Sud Italia) <una vera e propria opzione strategica per il Mezzogiorno e per tutto il Paese>; ma resta un gigantesco handicap. Il Meridione in pratica non riesce a cogliere le opportunità <per una scarsa capacità progettuale, un’ancor più bassa capacità di mandare a effetto i progetti (…) e, non per ultimo, la frequente mancanza di sicurezza>.

Questo significa, per i vescovi, che si può allora mettere su un piatto della bilancia l’ipotesi d’abbandonare i meridionali al loro destino? Certamente no.

Anzi grandi, enormi dubbi vengono espressi nel documento varato dalla Cei sulla stessa opportunità di rimodulare l’Italia in chiave federalista…

<La prospettiva di riarticolare l’assetto del Paese in senso federale – si legge – costituirebbe una sconfitta per tutti, se il federalismo accentuasse la distanza tra le diverse parti d’Italia. Potrebbe invece rappresentare un passo verso una democrazia sostanziale, se riuscisse a contemperare il riconoscimento al merito>, ovvero quello che i vescovi definiscono <un sano federalismo>.

Quest’ultimo <rappresenterebbe una sfida per il Mezzogiorno e potrebbe risolversi a suo vantaggio>, nell’analisi della Conferenza episcopale, <se riuscisse a stimolare una spinta virtuosa nel bonificare il sistema dei rapporti sociali>.

Del resto, la stessa unità d’Italia, che l’anno prossimo vedrà festeggiato il suo 150° anniversario, dovrebbe rammentare <che la solidarietà, unita alla sussidiarietà, è una grande ricchezza per tutti gli italiani> mentre <un Mezzogiorno umiliato impoverisce e rende più piccola tutta l’Italia>.

Certo però, concordano i vescovi, il Sud per risorgere deve liberarsi <da quelle catene che non gli permettono di sprigionare le proprie energie>, in due parole: dalle mafie, che <avvelenano la vita sociale, pervertono la mente e il cuore di tanti giovani, soffocano l’economia, deformano il volto autentico del Sud>.

Invece, il crimine organizzato <non può e non deve dettare i tempi dell’economia e della politica meridionali, diventando il luogo privilegiato di ogni tipo d’intermediazione – è il monito della Cei – e mettendo in crisi il sistema democratico del Paese>, condizionandone per intero la vita, dall’assegnazione degli appalti allo stesso mercato del lavoro.

Com’ebbero a scrivere i vescovi calabresi in un’indimenticata lettera ai fedeli il 13 febbraio del 2005, il crimine organizzato incarna <una forma brutale e devastante di rifiuto di Dio e di fraintendimento delle vera religione: le mafie sono strutture di peccato>.

Però.

Però, i vescovi non si fermano qui. E in modo anticonformistico, rivelano. E ammettono. Rivelano le responsabilità altrui. E ammettono le proprie.

<Si deve riconoscere che le Chiese debbono ancora recepire fino in fondo – si legge nel documento – la lezione profetica di Giovanni Paolo II e l’esempio dei testimoni morti per la giustizia>. Questo perché, si argomenta con vivacissima – e non scontata – aderenza alla realtà, <tanti sembrano cedere alla tentazione di non parlare più del problema o di limitarsi a parlarne come di un male antico e invincibile>.

Dietro quest’atteggiamento, si nasconde però un insidiosissimo pericolo: <La testimonianza di quanti hanno sacrificato la vita nella lotta o nella resistenza alla malavita organizzata – si ammette – rischia così di rimanere un esempio isolato>.

Maria Meliadò

(Tratto da ReggioTV)