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I SOLDI DEI CLAN | Appoggi diplomatici e conti cifrati, la vita spericolata dei broker della ‘ndrangheta

I SOLDI DEI CLAN | Appoggi diplomatici e conti cifrati, la vita spericolata dei broker della ‘ndrangheta

Le carte della Dda di Catanzaro raccontano la caccia dei magistrati alla cassaforte del clan Grande Aracri. Un’inchiesta iniziata a Scalea e finita in una filiale della banca Mediolanum di Lamezia. Tra cambi milionari di valute fuori corso e intermediari finanziari che cercano l’affare della vita

25 dicembre 2020, 15:56

di Pablo Petrasso

CATANZARO Ogni broker di questa storia cerca l’affare della vita. Pianifica operazioni per centinaia di milioni di euro, sogna commissioni monstre, incontra (o forse millanta?) diplomatici stranieri e gerarchi nazisti. Commercia in valuta fuori corso per ottenere cambi a sei zeri da far viaggiare in paradisi fiscali. Spesso, segnalano gli investigatori, gli scambi non si concretizzano per la scarsa affidabilità degli interlocutori. A volte, invece, le transazioni sembrano andare a buon fine. Una, in particolare, avrebbe portato a Lamezia Terme più di 200 milioni di euro sul conto di un uomo legato ai clan crotonesi. Quell’uomo, Giuseppe Antonio Mancuso, ha movimentato grosse cifre per conto di Nicolino Grande Aracri. Per anni si è mosso in un mondo di mezzo popolato da intermediari finanziari a caccia del colpo grosso. Prima che diventasse un collaboratore di giustizia, i magistrati della Dda di Catanzaro lo hanno seguito per mesi. Rintracciandolo lungo un percorso tortuoso che parte da Scalea, fa tappa in Germania e arriva a Lamezia. Dove i magistrati pensano di aver trovato la cassaforte del potente clan di Cutro.

Da Scalea alla Bundesbank

La caccia inizia con la ricerca, «sul territorio della provincia di Cosenza, di probabili depositi di valuta e titoli fuori corso validità di verosimile provenienza illecita».
Il lavoro investigativo, in principio, ruota intorno a un uomo originario di Scalea ma residente in Germania che «detiene contatti con personaggi ben addentrati nel campo economico-finanziario nazionale e internazionale, nello specifico specializzati nella mediazione tra soggetti interessati allo scambio di moneta fuori corso». L’uomo che i carabinieri tengono d’occhio nel 2012 vive in Germania «ove esercita presumibilmente attività in campo finanziario per la Bundesbank tedesca».
L’attività del broker sarebbe quella di intermediario fra personale della Bundesbank e «mediatori finanziari o procacciatori di affari residenti nelle province di Como, Milano e Sondrio» interessati a cambiare in valuta corrente «grandi quantità di denaro fuori corso», soprattutto marchi della ex Repubblica democratica tedesca. Il finanziere sa di muoversi su un crinale sottile: ha dubbi sulla liceità delle operazioni, tant’è che si rivolge a un avvocato per capire quali siano i rischi dell’operazione.
Tra i suoi contatti, è un altro mediatore creditizio ad attirare l’attenzione degli inquirenti. Questo perché «palesa la propria vicinanza con soggetti dell’hinterland milanese nonché con persone accertate poi essere di origine calabrese, tutti direttamente collegati a verosimili detentori di ingenti quantità di denaro della ex Repubblica democratica tedesca».

«Gli fanno le scarpe di cemento»

È in questo contesto che spunta il nome di “Pino”, cioè Giuseppe Antonio Mancuso, nato a Torino e residente a Cropani, interessato a «operazioni di natura finanziaria da chiudere a breve termine». Operazioni per le quali è meglio prestare grande attenzione. Pena un finale simile a quello del broker della camorra ne “Le conseguenze dell’amore” (ma senza la poesia di Sorrentino).
«Non viene la proprietà – dice il mediatore intercettato dai militari –, viene uno mandato dalla proprietà. Questo ha il mandato di portare a casa i contanti… se non porta a casa i contanti gli fanno le scarpe di cemento».
“Pino” all’epoca «risulta già essere stato indagato nell’operazione “Corto circuito” della Procura di Catanzaro per il reato di “impiego di denaro, beni o altra utilità di provenienza illecita” ed è legato ai fratelli Antonio e Giovanni Puccio, affiliati alla cosca Maesano». Inoltre, «risulta coinvolto nelle dinamiche criminali riconducibili alla “locale di Cutro” capeggiata da Nicolino Grande Aracri».

Vetture diplomatiche e won coreani

A questo punto, Mancuso diventa l’obiettivo delle indagini della Dda di Catanzaro. Lui e uno dei suoi contatti organizzano «il conteggio e il materiale scambio di denaro corrente con valuta fuori corso». E si trovano in luoghi che indicano come «security», posti al riparo da occhi indiscreti dei quali «ben si guardano dal fornire telefonicamente l’esatta ubicazione». Succede quanto sono «in procinto di concludere un cambio di won coreani» e si rivolgono – visto che Mancuso è «impegnato in un altro affare a Malta» – a un «soggetto di origine siciliana». Sono tutte così le storie di intermediazione finanziaria oltre il limite del lecito. In questo caso, il gruppo cerca di organizzarsi per eludere i controlli: «Nell’ambito dell’organizzazione dei cambi di valuta – segnalano gli investigatori -, l’entourage si sarebbe avvalso si “vetture diplomatiche”, le quali, coperte dalle derivanti immunità, ovvero particolari misure protettive e divieto di procedere a perquisizione, avrebbero fornito valido contributo atto al materiale trasporto del denaro, dall’Italia alla cosiddetta “security” estera prescelta, eludendo in tal modo i regolari controlli doganali».
Nella pratica, il 20 ottobre 2012 e il 15 novembre 2012, per organizzare il trasporto di won coreani e di sterline inglesi, si sarebbero dovuti avvalere rispettivamente della compiacenza dell’autista del veicolo diplomatico di un politico della Repubblica del Kosovo e dell’auto in uso a un medico italiano «emigrato in Svizzera, titolare di un’azienda in quel territorio e marito di una diplomatica elvetica».

I 240 milioni sul conto Mediolanum

Il quadro è da intrigo internazionale, i risultati però sono da rivedere. Lo spiegano i carabinieri in una delle informative: «Tutte le operazioni di cambio non si sono finora mai concretizzate (sempre per come evincibile dalla sola analisi del traffico telefonico), sia per mancanza di serietà e professionalità delle parti, sia per il mancato raggiungimento di un accordo in relazione alle relative provvigioni spettanti».
È, però, dall’intercettazione delle email che gli investigatori traggono un elemento di svolta nelle indagini, all’epoca coordinate dall’attuale procuratore capo di Lamezia Terme Salvatore Curcio.
Le operazioni di captazione telematica iniziano l’11 febbraio 2013 e si protraggono per 40 giorni. Danno, tuttavia, «subito esito positivo».
Di fatto – riporta una relazione di servizio – è stata registrata una serie di email tra i due soggetti di cui all’oggetto, istituti bancari e altri operatori finanziari riguardanti investimenti garantiti da un conto corrente (la cui veridicità è in fase di accertamento) acceso presso la Banca Mediolanum e intestato a Giuseppe Antonio Mancuso con un saldo immediatamente disponibile di 240 milioni di euro. I fondi vengono trasferiti in una filiale di Lamezia Terme. Da lì, Mancuso vorrebbe spostarli in Svizzera. «Errore!», mettono nero su bianco gli intermediari in una mail, «come arrivano i fondi in Svizzera si paga il 37% di tasse e le banche svizzere sono obbligate a informare il governo nazionale anche degli intermediari, quindi anche noi saremo costretti a pagare un altro 56% di imposte italiane». C’è una soluzione alternativa che viene caldeggiata dai tecnici: l’apertura di un conto con firma congiunta nella banca Fbme Bank Ltd di Nicosia, a Cipro. «Non saranno pagate tasse e commissioni, saranno aperti conti alfanumerici con emissione di carte di credito platino anonime per il signor Mancuso e tutti gli intermediari».

L’investimento in Algeria

«La cifra già di per sé enorme – appuntano gli investigatori – appare ancor più ingiustificata e sospetta in quanto Mancuso è soggetto privo di redditi significativi e già indagato nell’operazione “Corto circuito”. La corrispondenza intrattenuta con vari soggetti finanziari, il fatto che lo stesso si sia recato nella sede Mediolanum di Lamezia Terme dove avrebbe fatto controfirmare l’estratto conto a due bank officers che lavorano nella filiale, il contesto criminale nel quale l’episodio si è sviluppato, fanno propendere per una effettiva esistenza del conto e che non si tratti né di una burla né di un sofisticato tentativo di truffa. Da accertamenti effettuati presso l’anagrafe dei conti correnti, tuttavia, in capo al predetto Mancuso non appare la titolarità del conto in oggetto».
Le indagini continuano: l’11 marzo 2013 alle 18,58 viene captata una conversazione telefonica tra Giuseppe Antonio Mancuso e Salvatore Scarpino; la telefonata «è riconducibile agli affari finanziari in corso, ovvero un investimento in Algeria per la costruzione di 1182 alloggi e una piattaforma per investimenti finanziari a fronte di una garanzia fornita dal saldo milionario del conto corrente bancario acceso presso la Mediolanum e intestato a Mancuso». L’affare algerino è soltanto un pezzo del risiko finanziario della cosca che verrà svelato nell’inchiesta Kyterion. In una serie di interrogatori davanti ai magistrati della Dda di Catanzaro Mancuso ricostruirà i passaggi salienti dell’attività finanziaria ispirata dal clan. Un fiume di denaro sporco inquina l’economia e, in parte, trae origine dalla Calabria. (
1.continua)


fonte:https://www.corrieredellacalabria.it/