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I rapporti tra Giulio Andreotti e Cosa Nostra

I rapporti tra Giulio Andreotti e Cosa Nostra

Stefano Baudino 08 Febbraio 2021

Dopo gli omicidi di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino accadde qualcosa di estremamente importante. Tommaso Buscetta, il pentito le cui dichiarazioni riguardo a Cosa Nostra avevano contribuito a mandare in galera tantissimi mafiosi di alto calibro e a sferrare un’offensiva senza precedenti alla Cupola, decise di parlare delle connessioni tra la mafia e la politica, su cui aveva taciuto fino a quel momento. Affermò di volerlo fare perché così avrebbe desiderato Giovanni Falcone: Buscetta disse che, dopo la morte di Falcone e quella di Borsellino, fornire ai magistrati le informazioni che possedeva in merito ai punti di contatto tra Cosa Nostra e il mondo delle istituzioni rappresentava per lui un dovere morale. In particolare, interrogato nel Settembre del 1992 a Washington, Buscetta delineò i contorni di quelli che erano i rapporti tra Salvo Lima, che era il tramite tra la Roma del Governo e la Palermo della mafia, e la Commissione di Cosa Nostra, arrivando ad affermare di essere a conoscenza del fatto che «esponenti di primo piano di Cosa Nostra avevano avuto contatti politici a Roma, utilizzando come ‘ponte’ i cugini Salvo, anche senza l’intervento di Lima». Circa un mese prima, a parlare era stato anche il pentito Leonardo Messina. Davanti alla Procura di Palermo, affermò di aver appreso da altri uomini legati alla mafia che Salvo Lima «era stato molto vicino a uomini di Cosa Nostra, per i quali aveva costituito il tramite presso l’on. Andreotti per le necessità della mafia siciliana». Pur dicendo di non conoscere i nomi dei referenti politici romani di Salvo Lima, anche il pentito Giuseppe Marchese, nel settembre 1992, rilasciava dichiarazioni che si allineavano a quelle di Messina. Nel Marzo del 1993, poi, il pentito Gaspare Mutolo indicò in Andreotti «la persona alla quale l’on. Salvo Lima si rivolgeva costantemente per le decisioni da adottare a Roma, che coinvolgevano interessi di Cosa Nostra». Giulio Andreotti (in foto) venne indagato per concorso in associazione per delinquere per il periodo fino al 28 settembre 1982 e per concorso in associazione mafiosa per il periodo successivo a tale data (dal momento che, soltanto in quell’anno, il delitto di associazione mafiosa entrava ufficialmente nel codice penale italiano grazie alla legge Rognoni-La Torre). Il 13 Maggio 1993 il Senato della Repubblica concesse l’autorizzazione a procedere contro Andreotti. Il 2 Marzo 1995 egli venne rinviato a giudizio per il reato di partecipazione all’associazione mafiosa Cosa Nostra.
In primo grado, il 23 Ottobre 1999,
Giulio Andreotti fu assolto per insufficienza di prove dalla quinta sezione penale del Tribunale di Palermo, sebbene, come ricordano nel loro saggio “La verità sul processo AndreottiGian Carlo Caselli e Guido Lo Forte (il primo, allora, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, il secondo procuratore aggiunto), la sentenza confermò in larga parte l’impianto accusatorio per quanto concerneva i rapporti di Andreotti con i cugini Salvo, i rapporti tra la corrente andreottiana della Dc in Sicilia e Cosa Nostra, le relazioni intrattenute da Andreotti con Vito Ciancimino, i rapporti tra Andreotti ed il faccendiere e criminale Michele Sindona (definito, all’interno della sentenza, un uomo legato ad autorevoli esponenti dell’associazione mafiosa, per conto dei quali svolgeva attività di riciclaggio”) e gli incontri di Andreotti con membri di grande peso di Cosa Nostra.
Nel 2003, poi, la sentenza di Appello. I giudici stabilirono,
in parziale riforma della sentenza del Tribunale”, di non doversi procedere […] in ordine al reato di associazione per delinquere […] commesso fino alla primavera del 1980, per essere lo stesso reato estinto per prescrizione”. Confermarono, invece, nel resto, l’appellata sentenza”. Reato commesso” ma prescritto”: Andreotti venne dunque giudicato responsabile del reato di associazione per delinquere con Cosa Nostra fino al 1980, ma fu salvato dall’intervenuta prescrizione. La Corte sostenne che fosse ravvisabile il reato di partecipazione alla associazione per delinquere nella condotta di un eminentissimo personaggio politico nazionale, di spiccatissima influenza nella politica generale del Paese ed estraneo all’ambiente siciliano, il quale, nell’arco di un congruo lasso di tempo, anche al di fuori di una esplicitata negoziazione di appoggi elettorali in cambio di propri interventi in favore di una organizzazione mafiosa di rilevantissimo radicamento territoriale nell’Isola:

– Chieda e ottenga, per conto dei suoi sodali, ad esponenti di spicco della associazione interventi paralegali, ancorché per finalità non riprovevoli

– Incontri ripetutamente esponenti di vertice della stessa associazione

– Intrattenga con gli stessi relazioni amichevoli, rafforzandone la influenza anche rispetto ad altre componenti dello stesso sodalizio tagliate fuori da tali rapporti

– Appalesi autentico interessamento in relazione a vicende particolarmente delicate per la vita del sodalizio mafioso

– Indichi ai mafiosi, in relazione a tali vicende, le strade da seguire e discuta con i medesimi anche di fatti criminali gravissimi da loro perpetrati in connessione con le medesime vicende, senza destare in essi la preoccupazione di venire denunciati

– Ometta di denunciare elementi utili a far luce su fatti di particolarissima gravità, di cui sia venuto a conoscenza in dipendenza di diretti contatti con i mafiosi

– Dia, in buona sostanza, a detti esponenti mafiosi segni autentici – e non meramente fittizi – di amichevole disponibilità, idonei, anche al di fuori della messa in atto di specifici ed effettivi interventi agevolativi, a contribuire al rafforzamento della organizzazione criminale, inducendo negli affiliati, anche nella sua autorevolezza politica, il sentimento di essere protetti al più alto livello del potere legale”.

In merito ad un incontro avuto da Andreotti con Stefano Bontate nel 1979, in occasione del quale il capo della Cupola aveva preannunciato ad Andreotti l’eventualità che Cosa Nostra potesse uccidere Piersanti Mattarella, il quale si era posto in contrasto con l’attività dei mafiosi cugini Salvo, la Corte è perentoria: Giulio Andreotti “era certamente e nettamente contrario” all’omicidio di Mattarella, eppure nell’occasione non si è mosso secondo logiche istituzionali, che potevano suggerirgli di respingere la minaccia alla incolumità del Presidente della Regione facendo in modo che intervenissero per tutelarlo gli organi a ciò preposti e, per altro verso, allontanandosi definitivamente dai mafiosi, anche denunciando a chi di dovere la loro identità e i loro disegni”. Andreotti, infatti, dopo il colloquio con Bontate non avvertì Mattarella o la Polizia riguardo al pericolo che il Presidente della Regione stava correndo, né gli rafforzò la scorta. Andreotti, invece, secondo i giudici ha, sì, agito per assumere il controllo della situazione critica e preservare la incolumità dell’on. Mattarella, che non era certo un suo sodale, ma lo ha fatto dialogando con i mafiosi e palesando, pertanto, la volontà di conservare le amichevoli, pregresse e fruttuose relazioni con costoro, che in quel contesto, non possono interpretarsi come meramente fittizie e strumentali”. Successivamente all’uccisione di Piersanti Mattarella da parte della mafia, Andreotti non si è limitato a prendere atto, sgomento, che le sue autorevoli indicazioni erano state inaspettatamente disattese dai mafiosi e ad allontanarsi senz’altro dagli stessi”, ma anzi egli si recò in Sicilia al fine di chiedere conto al Bontate della scelta di sopprimere il Presidente della Regione: anche tale atteggiamento deve considerarsi incompatibile con una pregressa disponibilità soltanto strumentale e fittizia e […] non può che leggersi come espressione dell’intento [fallito] di verificare, sia pure attraverso un duro chiarimento, la possibilità di recuperare il controllo sulla azione dei mafiosi riportandola entro i tradizionali canali di rispetto per la istituzione pubblica e di salvaguardare le buone relazioni con gli stessi, nel quadro della aspirazione alla continuità delle stesse”.
Secondo il parere della Corte, l’evento dell’omicidio di Mattarella e del successivo incontro con Bontate rappresentano uno spartiacque nel suo rapporto con gli uomini di mafia: i giudici sostengono infatti che
una autentica, stabile ed amichevole disponibilità dell’imputato verso i mafiosi non si sia protratta oltre la primavera del 1980”. La Procura ricorrerà in Cassazione per ottenere un’affermazione di colpevolezza dell’imputato anche nella fase successiva al 1980. Il 28 Dicembre 2004, la Cassazione confermerà la decisione della Corte d’Appello, condannando Andreotti (il quale aveva anch’egli fatto ricorso in Cassazione, e questa è la riprova del fatto che la sentenza di secondo grado asserisse la sua colpevolezza) alle spese processuali.
Ricordiamo che
 Giulio Andreotti ha ricoperto per ben sette volte la carica di Presidente del Consiglio della Repubblica Italiana. Egli è inoltre stato otto volte ministro della Difesa, cinque volte ministro degli Esteri, tre volte ministro delle Partecipazioni Statali, due volte ministro delle Finanze, ministro del Bilancio e ministro dell’Industria, una volta ministro del Tesoro, ministro dell’Interno, ministro dei beni Culturali e ministro delle Politiche Comunitarie. Nel 1991 è stato nominato senatore a vita. E’ morto, all’età di 94 anni, il 6 Maggio 2013.

fonte:https://www.antimafiaduemila.com/home/opinioni/305-mafia-in-pillole/82126-i-rapporti-tra-giulio-andreotti-e-cosa-nostra.html