I giudici di Catania: “Per lui e il fratello la prova di rapporti diretti con la mafia”. Il governatore siciliano e deputato dell’Mpa indagato per “concorso esterno”
CATANIA – Grandi Suv neri, vino rosè e quaglie alla brace per festeggiare l’elezione al Parlamento del loro onorevole. “Come la celebre riunione di Appalachin con il gotha della mafia americana”, scrivono i pm della Dda. Non ci sono i Gotti e i Gambino ma gli esponenti delle famiglie Santapaola ed Ercolano il 4 giugno 2008 a brindare con Angelo Lombardo, il “fratello del presidente” al quale – dicono i magistrati – dopo la sua elezione a governatore della Regione, Raffaele Lombardo avrebbe assegnato il ruolo di “tramite operativo per i rapporti con l’organizzazione criminale che continuano a far capo ancora a lui”.
Nella 583 pagine della richiesta di arresto per i politici coinvolti nell’inchiesta che ha decapitato le cosche catanesi, la Procura svela le accuse nei confronti del governatore e del fratello, deputato nazionale dell’Mpa, entrambi indagati per concorso esterno in associazione mafiosa. Incontri notturni nelle tenute dei mafiosi per chiedere voti, campagne elettorali sovvenzionate con i soldi delle estorsioni, 22 milioni di finanziamenti pubblici convogliati nelle casse della mafia. Accuse pesantissime quelle messe per iscritto dai pm Gennaro, Fanara, Santonocito e Boscarino e “vistate con assenso” dal procuratore D’Agata che ritengono “provata l’esistenza di risalenti rapporti, diretti e indiretti, degli esponenti di Cosa nostra con Raffaele ed Angelo Lombardo”. Di più: “Rapporto non occasionale né marginale ma cospicuo, diretto e continuativo grazie al quale l’uomo politico poteva avvalersi del costante e consistente appoggio elettorale della criminalità organizzata di stampo mafioso a lui vicina”.
Parole quelle scritte ben diverse da quelle pronunciate l’altro ieri dal procuratore D’Agata che aveva spiegato la decisione di non chiedere alcun provvedimento nei confronti del governatore “ritenendo che le risultanze dell’indagine non fossero sul piano probatorio idonee per adottare alcuna iniziativa processuale”.
Eppure i pm ritengono riscontrata l’intercettazione in cui il boss Rosario Di Dio racconta di quella notte in cui Raffaele Lombardo “mangiando sette sigarette” si presentò a casa sua, sorvegliato speciale, per chiedere voti, “io che ho rischiato la vita e la galera per lui”. Come ritengono provata “l’avvenuta consegna a Raffaele Lombardo di una somma di denaro destinata al finanziamento della sua campagna elettorale disposto dal capo della più forte organizzazione mafiosa della provincia di Catania”. Soldi, quelli incassati dai Santapaola per l’estorsione al costruendo centro commerciale del Pigno, che avrebbero finanziato la campagna del 2008 per l’elezione del governatore. “Gli ho dato i soldi nostri, del Pigno, per la campagna elettorale”, diceva il boss Aiello intercettato. Lo stesso boss che incredulo commentava la nomina di due magistrati, Massimo Russo e Giovanni Ilarda, nel governo Lombardo. “Ma che gli ha messo a due della Dda in giunta?”. Una “strategia”: così i pm catanesi giudicano la nomina dei colleghi-assessori. “Una strategia che mirava a presentarsi come soggetto politico che, godendo della fiducia di due autorevoli e noti magistrati siciliani, non era per ciò stesso sospettabile di contiguità alcuna”.
Francesco Viviano e Alessandra Ziniti
(Tratto da Repubblica)