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I piani della camorra «Altro che droga i rifiuti vero affare»

Nelle carte dell’inchiesta «Giudizio finale» della Dda

«Siete ignoranti! Altro che droga», dice il camorrista ai suoi gregari. «Infatti – scrive il giudice nell’ordinanza di custodia – poi gli interessi del clan Belforte sono arrivati a Salerno, Frosinone e Roma». La Capitale è sempre più ambita preda della mafia dei rifiuti. Le inchieste che si aprono e chiudono con arresti eccellenti rivelano le modalità di questa penetrazione. L’ultima operazione è «Giudizio finale», coordinata dai magistrati della Dda di Napoli e portata a termine giovedì da carabinieri del Noe di Roma e Caserta e dalla Guardia di finanza campana che hanno arrestato cinque persone e ne hanno indagate 43, accusate a vario titolo di far parte di un’associazione a delinquere per lo smaltimento illecito di tonnellate di rifiuti provenienti soprattutto dal Centro-Nord. Secondo le indagini, a capo della cupola c’è il boss Salvatore Belfiore. Al livello subito sottostante il giudice ha indicato Giuseppe Buttone e Pasquale Di Giovanni. Quest’ultimo è un socio delle ditte di Belforte&C. Il primo invece è considerato «il colletto bianco del clan». E da affiliato col pallino degli affari è sua la frase che boccia il traffico di droga ed esalta quello dei rifiuti. Nel febbraio 2007 lo spiega a verbale l’ex cassiere dell’organizzazione, Michele Froncillo: «Nel ’96-97 l’idea dei gestori del clan Belforte era quella di inserirsi nella gestione dei rifiuti in quanto era un settore molto lucroso con forti guadagni e con pochi rischi, perché non si andava incontro a carcerazione preventiva, rischio che invece era molto frequente per il traffico di droga». Stando alle investigazioni, nel Lazio il clan Belforte aveva la Biocom di Castrocielo, nel Frusinate. Tutte le imprese del clan servivano per ripulire i soldi sporchi. Le prime inglobate nel sistema però erano di imprenditori veri, i quali un giorno hanni visto arrivare i camorristi arrivare con le pistole nei pantaloni e dettare legge: «Da oggi tu lavori per noi, ti diamo i rifiuti e tu li porti dove ti diciamo». I fanghi del depuratore passavano per rifiuti da demolizione i quali poi finivano o su terreni agricoli o in altre ditte come la Biocom, sulla carta attrrezzate per trasformare la spazzatura in fertilizzante. L’incihiesta dei carabinieri del Noe di Roma,diretto dal capitano Pietro Rajola Pescarini, non è finita. Altri filoni sono in piedi per accertare e stroncare eventuali infiltrazioni mafiose. Penalmente, per i malavitosi i rifiuti sono meno rischiosi da trattare. Ma loro, gli affiliati, restano sempre pericolosi da trattare. In un appartamento di Cinecittà il latitante di camorra Mino Musone si lamenta coi suoi compari: «Voglio più soldi per la clandestinità». Vorrebbe che qualcuno li chiedesse Pinuccio Buttone, il quale pur guadagnando bene come imprenditore «non ha mai pagato estorsioni». Il collaboratore di giustizia Antonio Ferardi: «Buttono è il fratello della moglie del capo del clan, Domenico Bealforte».

(Tratto da Il Tempo)