Cerca

I manifesti del clan e la «pila» di Ruberto.Le mani della mafia sul voto

I manifesti del clan e la «pila» di Ruberto
Dagli atti dell’inchiesta “Crisalide” emerge il ruolo delle cosche di Lamezia Terme nella campagna elettorale per le amministrative del 2015. Il lavoro per favorire Pepè Paladino e le mire sui posti di lavoro alla Sacal. Il boss Miceli: mille euro dal candidato sindaco

Sabato, 10 Giugno 2017

LAMEZIA TERME «I voti a Pepè glieli raccogliamo… ho già parlato con Pepè… Ho già parlato con Pepè… a Pepè gli dobbiamo fare pure il volantinaggio… Ci facciamo tutto noi a Pepè, già ne abbiamo parlato… 50 euro al giorno e gli dobbiamo attaccare i cartelloni in giro». È il 10 febbraio del 2015 quando i carabinieri registrano la comunicazione che Antonio Miceli fa ai propri accoliti radunati all’interno della sua auto. Il Pepè al quale il giovane reggente della cosca Cerra-Torcasio-Gualtieri fa riferimento è Giuseppe Paladino, candidato con la lista Pasqualino Ruberto Sindaco al consiglio comunale di Lamezia Terme. Verrà eletto e diventerà vicepresidente del consiglio. Secondo le disposizioni che impartisce Miceli, in giro per la città ci devono essere solo i «cartelloni di Pepè» e se qualcuno li copre, «arriviamo io… arriviamo io e te – dice rivolgendosi a Giuseppe Grande – e gli diciamo “il cartellone non lo attaccare”… hai capito come funziona?».

ELEZIONI NEL MIRINO Ancora prima che la campagna elettorale per le amministrative a Lamezia Terme prendesse piede, occhi e orecchie degli organi inquirenti registravano quello che stava avvenendo in città. Una delle informative che vengono consegnate sul tavolo del sostituto procuratore della Dda Elio Romano, dopo le elezioni del 31 maggio 2015, risale già al settembre successivo. È la prima fase dell’inchiesta “Crisalide” che nasce dall’attività investigativa dell’operazione Chimera che ha portato alla condanna degli esponenti di spicco della cosca “Cerra-Torcasio-Gualtieri”. Nonostante le condanne e il carcere le attività della consorteria non si fermano ma passano in mano ai “giovani”, capitanati da Antonio Miceli che riceve il mandato durante una visita in carcere. Miceli è sposato, infatti, con Teresa Torcasio, figlia di Giovanni 57 anni, sorella del capocosca Vincenzo Torcasio 37 anni, cognata del capocosca Cesare Gualtieri 39 anni (tutti e tre condannati nel processo “Chimera”).
Nel mirino dei carabinieri del Nucleo investigativo e della Compagnia di Lamezia Terme ci sono alcuni esponenti del clan e i contatti che questi intrattengono con tre candidati per il consiglio comunale. Emergono i nomi di Antonio Miceli, considerato il vertice della consorteria, sua moglie Teresa Torcasio, Vincenzo Grande, Giuseppe Grande, Antonio Domenicano, Mattia Mancuso e Danilo Fiumara. Secondo quanto scrive il pm Romano nella richiesta di conferma della misura cautelare, gli appartenenti alla cosca «consentivano l’infiltrazione di quest’ultima organizzazione all’interno del civico consesso di Lamezia Terme, poiché durante le ultime consultazioni amministrative, tenutesi il 31 maggio 2015, per l’elezione del nuovo sindaco e per il rinnovamento del consiglio comunale, fornivano appoggio elettorale, anche mediante relativa propaganda, alla lista civica denominata “Pasqualino Roberto Sindaco” e specificatamente al candidato a sindaco Pasqualino Ruberto e ai candidati al consiglio comunale Giuseppe Paladino e Antonio Mazza che si rivolgevano alla suddetta consorteria criminale per ottenere sostegno elettorale ed il relativo procacciamento di voti». Proprio nell’informativa di settembre, sottolinea Romano, «emergevano conversazioni di fondamentale importanza atte a comprovare l’inquinamento della campagna elettorale dovuto al connubio esistente tra la famiglia mafiosa dei “Cerra-Torcasio-Gualtieri” con i predetti candidati della lista civica facenti capo a Pasqualino Ruberto, i quali, “in cambio” dell’appoggio elettorale, oltre alla promessa di benefici specifici nei confronti dei consociati alla compagine mafiosa investigata, consegnavano somme di denaro nelle mani di Antonio Miceli e del suo gruppo».

LA CAMPAGNA ELETTORALE DELLA COSCA La cosca, attraverso le persone individuate dagli investigatori, si mobilita. Ognuno ha il suo ruolo. Antonio Miceli si sarebbe impegnato in prima persona nella campagna elettorale, «procacciando voti in favore del candidato a sindaco Pasqualino Ruberto, e dei candidati al consiglio comunale Giuseppe Paladino e Antonio Mazza (che non verrà eletto, nda), ostacolando talvolta il libero esercizio di propaganda elettorale, procedendo, personalmente, a minacciare gli attacchini che affiggevano, nella zona di influenza della cosca di appartenenza, i manifesti elettorali di candidati inseriti in liste politiche avverse». Stesso compito per Mattia Mancuso che in più avrebbe ritirato «dal candidato a sindaco Pasqualino Ruberto il denaro “promesso” in cambio del sostegno elettorale fornito dalla cosca».

I MILLE EURO DI RUBERTO Il 30 luglio 2015, con le elezioni ormai archiviate e seggi assegnati, gli investigatori captano una conversazione all’interno dell’auto di Miceli. «Ma Pasquale poi che ha fatto con la “pila”- ndr, soldi –  … quant’è che ti ha dato?”, chiede Antonio Mazza a Miceli riferendosi a soldi che Ruberto avrebbe dovuto dare al reggente. Miceli risponde che i soldi erano arrivati ed erano 1.000 euro, recuperati tramite Mattia Mancuso. In particolare Mancuso li avrebbe avuti dalla nipote di Ruberto, figlia della sorella, che si occupava delle questioni contabili e amministrative. Tramite la donna avrebbero mandato il messaggio a Ruberto. «”Engi” (la nipote di Ruberto, nda) li ha presi di… da… dalla cosa… dalla cosa che tengono a Vibo là… come cazzo si chiama?… ha preso un giorno d’incasso… non so… due giorni… un giorno… domani… domani… sai quanto me l’ha “molliata” – ndr, promesso, rimandato – …omissis… non ha proprio la possibilità, non è che non lo vuole fare… io poi ce l’ho messa…. ce l’ho messa brutta e poi… gliel’ha spiegato e gli ha detto: “Vedi che questi qua” – gli ha detto – “ma non tanto per i soldi, che dei soldi non gliene fotte niente… ma la pigliata in giro che gli sta facendo non ne può più! Hai capito?… mi ha detto che due giorni gli diamo…sennò si conza sutta a casa – ndr: si mette sotto casa – e poi sono cazzi di tuo zio”… e si sono presi due giorni di incasso là… che cazzo tengono una tavola calda? non so che cazzo c’hanno».

UN POSTO ALLA SACAL All’interno della cosca emerge qualche attrito. Domenico De Rito, per esempio, è convinto che Antonio Mazza sia adirato con lui perché non ha ottenuto il posto alla Sacal. «In particolare – scrive il pm –, De Rito affermava che Antonio Mazza nutriva malumore nei confronti di Giampaolo Bevilacqua, già vicepresidente della Sacal, poiché quest’ultimo, in passato, quando era ancora in carica, non lo faceva assumere alle dipendenze della predetta società, favorendo invece quella di Domenico De Rito». E per questo motivo tentava la strada con Ruberto, detto “Morbidone”.
«Ce l’ha con me, perché il mio posto doveva andare a lui, il posto della Sacal… apposta si è buttato con Morbidone… comunque, stanno provando con Morbidone».
Significativa, a proposito degli equilibri nati con l’avvento delle nuove leve, è la posizione di Giampaolo Bevilacqua (ex vicepresidente Sacal, coinvolto nell’operazione Perseo e condannato a 4 anni e 8 mesi per concorso esterno). Nel corso di una conversazione risalente al 24 marzo 2015, Miceli affermava che, scrive il pm Romano: «Giampaolo Bevilacqua, in quel momento storico, non poteva rivolgersi a nessun dei capi della predetta consorteria criminale, poiché, i predetti, vivevano in stato di detenzione in quanto cautelati nelle operazioni antimafia “Chimera” e “Chimera 2». «Ora non c’è nessuno… – gli risponde De Rito – ci sei solo tu… lo sai».

Alessia Truzzolillo
a.truzzolillo@corrierecal.itfonte:www.corrieredellacalabria.it