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I buchi del 41 bis: il fascista Roberto Fiore fece incontrare il boss di camorra e il fratello

L’Espresso, 14 gennaio 2020

I buchi del 41 bis: il fascista Roberto Fiore fece incontrare il boss di camorra e il fratello

Il regime di carcere duro oggi è stato svuotato e ammorbidito rispetto a quello post-stragi. E lo dimostra questa lunga serie di casi, con tanto di figli concepiti

DI LIRIO ABBATE

Quando il fascista Roberto Fiore era un parlamentare europeo, riuscì a far violare il regime di carcere impermeabile del 41 bis a uno dei capi della camorra, Antonio Varriale. Si presentò alle dieci di sera all’ingresso del carcere di massima sicurezza di Viterbo accompagnato da due collaboratori e chiese e ottenne di parlare con un solo detenuto. Nonostante l’ora tarda per un carcere, a Fiore vennero aperti cancelli e porte blindate e fu accompagnato – in virtù del suo ruolo di deputato europeo – davanti alla cella del boss Varriale con il quale l’europarlamentare e i due suoi collaboratori iniziarono a conversare.

Il dialogo però venne interrotto quando uno degli agenti della polizia penitenziaria si rese conto, controllando i documenti dei visitatori, che una delle persone che accompagnava Fiore era il fratello del capomafia. La porta blindata della cella venne richiusa e il parlamentare con i suoi amici furono accompagnati all’uscita. Fiore non profferì parola. Il responsabile degli agenti di Viterbo ammise che vi era stato «qualche errore nell’esecuzione della visita: primo perché uno degli accompagnatori del politico era il fratello del detenuto sottoposto al regime speciale del 41 bis e secondo perché dando l’autorizzazione ad aprire il blindo è stato permesso in un certo qual modo un colloquio di famiglia, eludendo le regole che vigono per l’effettuazione dei colloqui dei detenuti sottoposti al 41 bis».

Chissà quali interessi aveva Fiore a far incontrare a tarda sera il capo di un clan camorristico detenuto con suo fratello. Questa storia non è mai emersa agli onori della cronaca, ma è documentata, e dimostra come Fiore, oggi membro di Forza Nuova e fondatore del movimento della Terza posizione europea, ha avuto contatti con persone legate alla camorra. Il 41 bis viene violato anche così. Un sistema temuto dai mafiosi, tanto che Riina ha trattato con uomini dello Stato per farlo ammorbidire, oggi è diventato permeabile. Perché questo sistema soffre di ipocrisia e tutte le cose che soffrono di ipocrisia tendono a morire.
Altra stranezza delle ultime settimane nel popolo dei 41 bis è il comportamento del boss della camorra Francesco Schiavone detto
Sandokan”. Con dodici ergastoli sulle spalle è rinchiuso nella sezione di massima sicurezza di Parma, ma da qualche settimana ha avanzato una strana richiesta alla direzione del carcere, quella di poter fare lo scopino. Una scelta che non si addice al rango di un capomafia come Sandokan, dal momento che questa attività di solito è ambita dai detenuti meno abbienti perché consente di guadagnare qualcosa. Ma Schiavone non ha certo bisogno di arrotondare con mestieri umili. E allora? Tutto ciò ricorda quello che è avvenuto in passato quando uno dei capi di Cosa nostra, Salvatore Biondino, chiese di poter fare lo scopino.

Anche Biondino non aveva bisogno di arrotondare. Voleva fare lo scopino perché quell’attività gli consentiva di muoversi più liberamente e soprattutto di contattare detenuti chiusi lontano dalla sua cella. In sostanza, lo scopino può aggirare i rigori del 41 bis. Questa strategia all’epoca in cui stava prendendo piede la dissociazione in alcuni capimafia venne intuita dall’allora capo dell’ispettorato del Dap, il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, il magistrato Alfonso Sabella, che bloccò la richiesta di Biondino. Lo stesso giorno Sabella venne destituito dal ministro Roberto Castelli.

Sulla gestione dei detenuti al 41 bis e delle strutture in cui si trovano, è stata dedicata prima di Natale una riunione alla Procura nazionale antimafia (Pna) alla quale hanno partecipato tutti i procuratori distrettuali e i vertici del Dap. Ne è venuto fuori un quadro devastante nella gestione delle carceri e l’assenza di qualunque linea guida su questo regime da parte dei vertici dell’amministrazione.

Il capo dei pm di Messina, Maurizio de Lucia, ha evidenziato la carenza di strutture adeguate e di risorse specializzate. Non c’è un numero sufficiente di celle per tutti i detenuti sottoposti al 41 bis, che non è una ulteriore pena afflittiva, ma uno strumento di tutela della collettività che evita ai boss di continuare a comandare. Oggi sono 753 i detenuti al carcere impermeabile, fra cui dieci donne, e di questi 598 sono condannati definitivamente. Vi sono una trentina di richieste di nuove applicazioni del regime, a cui non viene data esecuzione perché i reparti sono saturi.

Rispetto al 41 bis del dopo stragi, oggi questo regime si è svuotato e ammorbidito. Il 41 bis, come dimostrano i fatti degli ultimi dieci anni, non serve a far collaborare i boss con la giustizia, perché la decisione di “pentirsi” arriva subito dopo l’arresto. È accaduto ancora di recente a Palermo nella serie di inchieste coordinate dal procuratore Francesco Lo Voi che ha portato in cella per mafia decine di persone e svelando gli assetti di Cosa nostra. I nuovi mafiosi appena vedono il carcere iniziano a “cantare”. E come ha evidenziato il procuratore di Napoli, Gianni Melillo, durante la riunione alla Pna, se il Dap può realisticamente sopportare appena la metà degli attuali detenuti al 41 bis, è del tutto evidente che rinuncia all’effettività dei controlli e all’effettività di “impermeabilizzare” i detenuti sottoposti a questo regime carcerario. Per Melillo «i controlli sono assolutamente saltuari e non vi è alcuna seria aspettativa dei limiti del 41 bis».

In precedenza Melillo, sentito in Commissione antimafia presieduta da Nicola Morra, aveva tuonato sulla gestione degli istituti di pena, sostenendo che il carcere è un colabrodo, «governato non dallo Stato ma dalle organizzazioni mafiose». Basta pensare che nelle sezioni dell’alta sicurezza sono tantissimi i telefoni cellulari che si continuano a trovare a disposizione dei detenuti, che hanno pure il controllo delle sezioni. L’ultima inchiesta della procura di Catanzaro offre uno spaccato su questo punto, denunciando che era stata addirittura formata una “Locale” (gruppo organizzato) di ’ndrangheta all’interno del carcere di Vibo Valentia ad opera di un boss, Giuseppe Accorinti, che agiva in carcere come se governasse il clan sul territorio.

Ad occuparsi dei 41 bis sono gli agenti specializzati del Gom della polizia penitenziaria, i quali devono fronteggiare l’aumento dei detenuti sottoposti a questo regime con un sempre più ridotto numero di personale. Riescono ad ottenere grandi risultati grazie alla loro professionalità, riconosciuta dai magistrati. Ma sono pochi rispetto al lavoro che devono affrontare.

Gli ultimi festeggiamenti nelle sezioni dei 41 bis sono stati registrati nei mesi scorsi dopo la sentenza della Grande Chambre e della Consulta, che hanno dichiarato incostituzionale l’ergastolo ostativo. Le reazioni sono state di euforia e di vittoria. Chi diceva che finalmente avevano trovato ascolto le proprie preghiere, chi sospirava di sollievo all’idea di poter accedere ai benefici, comprese le misure alternative alla detenzione e chi, in un modo o nell’altro immagina di ritornare in libertà. In questo clima quasi da stadio, si respirava aria di vittoria, come se tutto ciò fosse da sempre dovuto. I boss Filippo e Giuseppe Graviano, condannati a più ergastoli in via definitiva, hanno concepito i loro figli in carcere nonostante il 41 bis, e hanno sempre detto ai propri familiari che prima o poi sarebbero tornati insieme, fuori. E non certo da collaboratori di giustizia. Chissà cosa gli è stato promesso.