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I bambini della droga sotto il sole di Napoli

La Repubblica, Mercoledì 18 Gennaio 2017

I bambini della droga sotto il sole di Napoli

Guardare la condizione dei più piccoli significa guardare il futuro del Paese. Nei quartieri a rischio un minore su tre abbandona la scuola. Ma il tema è ignorato

di ROBERTO SAVIANO

ECCO, questa è una storia che vi farà girare lo sguardo perché è una storia che non avreste mai voluto leggere. Ma questa non è solo una storia che fa male raccontare e ascoltare, questa è una storia che non sarebbe dovuta esistere. Quarantacinque arresti sono scattati ieri a Napoli nei confronti del clan Elia, nella prima ordinanza che si occupa interamente del clan il cui capostipite è Michele, detenuto dal 2011. Il clan Elia è attivo in pieno centro, nel quartiere cosiddetto del Pallonetto a Santa Lucia e nella zona a ridosso di Piazza del Plebiscito.

Attraverso intercettazioni telefoniche, telecamere di videosorveglianza e testimonianze di collaboratori di giustizia è emerso come il clan fosse una organizzazione familiare con a capo Antonio e Ciro (figli di Michele) alle cui dipendenze “lavoravano” gli altri fratelli e sorelle: Renato, Luciano, Anna e Giulia. E poi parenti e soprattutto nipoti, figli, anche minorenni.

Sia chiaro, questa è una storia che non dovrebbe accadere in nessun luogo, ma se il teatro è l’estrema periferia, quella abbandonata, trascurata, dove a stento arrivano i mezzi pubblici, possiamo in fondo dirci innocenti. Innocenti per non aver visto. Quando invece la tragedia si consuma sotto gli occhi di tutti, quando il disagio è evidente, palese, manifesto, quando è uno schiaffo che si finge di non ricevere nonostante la guancia arrossata bruci, allora io credo che qualche domanda dovremmo iniziare a porcela e a porla a chi preferisce vivere nella menzogna o fuori dal mondo.CCO, questa è una storia che vi farà girare lo sguardo perché è una storia che non avreste mai voluto leggere. Ma questa non è solo una storia che fa male raccontare e ascoltare, questa è una storia che non sarebbe dovuta esistere. Quarantacinque arresti sono scattati ieri a Napoli nei confronti del clan Elia, nella prima ordinanza che si occupa interamente del clan il cui capostipite è Michele, detenuto dal 2011. Il clan Elia è attivo in pieno centro, nel quartiere cosiddetto del Pallonetto a Santa Lucia e nella zona a ridosso di Piazza del Plebiscito.

Attraverso intercettazioni telefoniche, telecamere di videosorveglianza e testimonianze di collaboratori di giustizia è emerso come il clan fosse una organizzazione familiare con a capo Antonio e Ciro (figli di Michele) alle cui dipendenze “lavoravano” gli altri fratelli e sorelle: Renato, Luciano, Anna e Giulia. E poi parenti e soprattutto nipoti, figli, anche minorenni.

Sia chiaro, questa è una storia che non dovrebbe accadere in nessun luogo, ma se il teatro è l’estrema periferia, quella abbandonata, trascurata, dove a stento arrivano i mezzi pubblici, possiamo in fondo dirci innocenti. Innocenti per non aver visto. Quando invece la tragedia si consuma sotto gli occhi di tutti, quando il disagio è evidente, palese, manifesto, quando è uno schiaffo che si finge di non ricevere nonostante la guancia arrossata bruci, allora io credo che qualche domanda dovremmo iniziare a porcela e a porla a chi preferisce vivere nella menzogna o fuori dal mondo.

Questa è la storia vera di bambini che imbustano droga e la vendono. Bambini napoletani identici a quelli di Rio de Janeiro, Ciudad Juárez, Johannesburg, ai bambini afgani. Questa è la storia vera di bambini napoletani che non vivono in squallide periferie, in sordidi casermoni, ma nella parte più bella della città. Quella del teatro lirico più prestigioso d’Italia all’occorrenza succursale del San Paolo.

Napoli ora è cambiata, Napoli e un’altra storia, Napoli è ‘na carta sporca dove lo sporco è coperto dal fiume di turisti. Napoli ne è uscita, come i tossici che fingono di non farsi più e che invece si fanno di nascosto. Ma le occhiaie si vedono, il sorriso a denti stretti, cariati, sorriso finto, sofferente.

E Napoli è sempre stata i suoi bambini, ma osservarli, analizzare i loro percorsi e le opportunità che gli vengono date, anzi negate, dice altro. Dice che la città è cambiata in peggio. Dice che la camorra ha un’età media drammaticamente più bassa. Dice che quelli che dieci anni fa erano i manovali di camorra, inconsapevoli facchini per poche decine di euro, sono diventati capi o peggio, se bambini, sono stati inseriti nella catena di montaggio del business della droga, consapevoli fare carriera. Saviano parla del sole. Sì, del sole che illumina queste miserie.

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Guardiamo i bambini più da vicino, per immaginare Giovanni Elia, 13 anni, figlio di Adriana Blanchi e Renato Elia che riceve, da solo in casa, gli acquirenti alle tre di notte; che da solo, di notte, gestisce la piazza di spaccio. Che esce di casa e consegna dosi di coca. Il 17 agosto 2015 Adriana Blanchi è al telefono con un acquirente (tale Luca) che è a casa della donna per comprare coca. Blanchi si fa passare il figlio Gianni: lei al bambino dice di non dare nulla senza prendere denaro, il figlio le risponde “lo so”. Giovanni Elia, 13 anni, sa che deve dare coca in cambio di denaro. Ma la roba è finita e Giovanni lo dice alla madre: le dice che Luca vuole acquistare delle dosi, che lui sa che non può consegnarle senza ricevere denaro e aggiunge però che le dosi per quella sera sono finite. “È che deve avere come ieri, però non ce ne sta”, dice il bambino. Come ieri, perché Giovanni il giorno prima era lì a occupare la sua postazione. Era al lavoro. E il suo lavoro era, a 13 anni, gestire una piazza di spaccio.

E quindi guardiamoli bene questi bambini, non come uomini in miniatura, ma come esseri umani, con dignità, diritti. Guardare la condizione dei bambini in un Paese, significa guardare il futuro di quel Paese, guardarlo nel presente, nell’immediato.

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I carabinieri di Napoli hanno realizzato un’inchiesta difficilissima punto di vista investigativo, sociale e politico, perché quando si tocca l’infanzia, e soprattutto quando si tocca l’infanzia al Sud, il rischio è sempre quello di essere azzannati come speculatori, come manipolatori. I bambini erano utilizzati per confezionare dosi di coca, impacchettarle, trasportarle e venderle. Bambini che a Napoli sono vittime di dispersione scolastica che non trova soluzione. Nei quartieri a rischio un minore su tre abbandona la scuola, eppure questo è un tema ignorato, marginalizzato.

Questa storia racconta di quartieri bellissimi come il Pallonetto a Santa Lucia, un tempo considerato la Fiat dell’illegalità, perché aveva una quantità di persone impiegate nel contrabbando di sigarette paragonabile a quella che poteva avere una fabbrica come la Fiat nella produzione di automobili. Finito il contrabbando di sigarette è arrivata la coca e il quartiere si è come spezzato: una parte ha cercato di rientrare nel mondo della legalità, un’altra è passata completamente alla droga.

Qui oggi comanda il clan Elia, che controlla gli affari illeciti nella zona del Pallonetto, piazza del Plebiscito e Borgo Marinari, pieno centro di Napoli. Il clan si serve dei bambini per la loro manualità – grazie alle dita piccole riescono a confezionare molto velocemente le bustine di coca – perché destano meno sospetto quando si muovono per consegnare le dosi, ma soprattutto per il vantaggio più grande che ha un bambino: la possibilità, se minore dei 14 anni, di non essere imputabile. I bambini a quanto emerge dall’ordinanza di custodia cautelare, dalle intercettazioni telefoniche, sembravano consapevoli di ciò che stavano facendo, consapevoli del loro ruolo, e se a un occhio lontano tutto potrebbe sembrare in fondo una declinazione della miseria, c’è invece differenza, e tanta, tra il servire caffè in un bar, portare la spesa per il salumiere sotto casa, spaccarsi la schiena a trasportare mobili o intossicarsi in qualche autofficina. Perché gestire a 13 anni una piazza di spaccio ti dà accesso a un mondo diverso, un mondo nel quale chi ci vive riesce a non sentirsi ai margini. Di tutto questo nessuno parla, eppure non è una storia che riguarda solo il sud Italia. In Afghanistan i talebani, i più grandi produttori di eroina al mondo, utilizzano da sempre i bambini per la coltivazione e il traffico di oppio, loro principale fonte di autofinanziamento. Secondo i dati della polizia afgana, nel mese di novembre, nella zona dell’Herat 30 bambini sono stati arrestati per traffico di droga. Dall’altra parte del mondo, il feroce cartello messicano de Los Zetas da anni addestra bambini (spesso di nazionalità americana, perché insospettabili) per diventare sicari e narcotrafficanti: li chiamano “los niños Zetas”, sono ragazzini di 12, 14 anni pronti a tutto pur di fare soldi, pur di avere una vita diversa, ma spesso vengono uccisi o finiscono in carcere ancor prima di raggiungere la maggiore età.

Ora, immaginate se in Germania, Francia o Spagna fosse uscita una notizia del genere: un bambino di 13 anni che da solo in casa gestisce una piazza di spaccio, sarebbe esploso un dibattito accesissimo. E invece qui per parlarne dobbiamo andare oltre le solite, deprimenti dinamiche locali che ignorano, sottovalutano, marginalizzano, che parlano di emozione.

Tra poco arriveremo a dire che di fronte a un’indagine o a un dato, prima le persone non aprivano il loro cuore, adesso lo aprono. Sono tutte declinazioni poetiche, manipolatorie e propagandistiche che celano rassegnazione, quella rassegnazione che impedisce di tenere gli occhi aperti, che fa preferire le partite di calcio, le feste e le inaugurazioni.

Oramai non c’è altra soluzione, il racconto sul territorio è bloccato: che intervenga quindi il Capo dello Stato, immediatamente, che ci provi Gentiloni a portare cambiamento dove Renzi, anche lui per paura di lordarsi nell’abisso, ha fallito. Le scuole aperte fino a tardi in aree come Napoli sono scelte ancora fragili: i maestri di strada e le molte associazioni, insieme ad alcuni preti coraggiosi, sono l’unica possibilità di alternativa in città, ma da soli non ce la fanno. È fondamentale che la scuola formi i ragazzi, che li prepari al lavoro. È fondamentale che la scuola invada, letteralmente, le vite dei bambini e delle famiglie napoletane. Bisogna tornare a discutere del fallimento continuo e totale di qualsiasi tipo di politica sociale in questi quartieri e non stiamo parlando di Scampia, non stiamo neanche parlando di Forcella questa volta: si sta parlando di Santa Lucia, della zona del Pallonetto, un nome che a chi non è napoletano potrebbe far sorridere, chiamato così perché sembra proprio disegnato come se qualcuno avesse dato un calcio a un pallone e avesse disegnato quel territorio (mi si perdonerà questa interpretazione romantica del termine). Santa Lucia è uno dei posti più belli e raccontati della nostra terra, del Mediterraneo.

C’è un verso bellissimo di E. A. Mario in “Santa Lucia lontana” che dice: ” Santa Lucia, tu tiene sulo nu poco ‘ e mare ma, cchiù luntana staje, cchiù bella pare”. Perché quello era l’ultimo pezzo di Napoli che gli emigranti vedevano partendo a bordo delle navi per le Americhe. Ora Santa Lucia è quel posto in cui nemmeno più i bambini possono essere bambini e a 13 anni gestiscono una piazza di spaccio. Da soli. Di notte.