I retroscena dell’inchiesta che ha riportato ai domiciliari Mario Di Ferro. Le intercettazioni con il politico sono state captate per caso in un’indagine per mafia in cui il gestore di Villa Zito avrebbe concordato un incontro riservato con “un esponente di spicco di Cosa nostra”. Per l’ex senatore anche consegne a domicilio: “Non ti scordare i soldi…”
Sandra Figliuolo – Giornalista Palermo
29 giugno 2023 18:42
Le intercettazioni, il linguaggio utilizzato dagli indagati, le immagini riprese dagli investigatori per documentare le cessioni di droga sono quelli tipici di una qualsiasi inchiesta sullo spaccio, tuttavia in quella che coinvolge Mario Di Ferro a fare da sfondo non ci sono i palazzoni che cadono a pezzi dello Sperone o le piazze sporche dello Zen, ma Villa Zito, il suo giardino e le sue rose nel cuore benestante della città. Non ci sono persone che per sbarcare il lunario fanno i turni per spacciare per strada, nascondendo la droga negli slip o sotto qualche statua di Padre Pio, ma uno chef molto noto che ordina le dosi per telefono e smista poi nel suo rinomato ristorante cocaina a una “clientela selezionata”, compreso l’ex senatore Gianfranco Miccichè, che non è indagato.
Lo chef e l’inchiesta per mafia
Due facce di Palermo che alla fine sono la stessa, un punto dove il bianco e il nero sfumano e diventano un grigio inquietante, come le contiguità di cui si alimenta. E lo dimostra il fatto che questa indagine, coordinata dal procuratore aggiunto Paolo Guido, è nata per caso ed in maniera del tutto imprevista da un’altra, per mafia, dove il famoso chef è stato intercettato perché avrebbe avuto dei rapporti con “un esponente di spicco di Cosa nostra” e per “concordare un appuntamento riservato”.
Le conversazioni “surreali e illogiche” con l’ex senatore
Su questo primo filone, coperto dal segreto investigativo, non si sa nulla al momento, tranne che ci sta lavorando l’aggiunto Marzia Sabella e che è in questo contesto che sono state captate – in modo del tutto imprevedibile, come rimarca la Procura – le telefonate tra Di Ferro e Miccichè. Dal tenore “a tratti surreale” e dalla “illogicità”, per usare le parole degli investigatori, delle loro conversazioni si è compreso che dietro alle “partenze” del politico di Forza Italia e al numero di giorni di permanenza fuori Palermo, si sarebbero celate invece le richieste di cocaina, una quindicina quelle ricostruite dalla squadra mobile nell’arco di pochissimi mesi, da novembre al primo aprile, peraltro giorno del compleanno di Miccichè con un banchetto organizzato, neanche a dirlo, dallo chef di Villa Zito e la consegna, secondo l’accusa, di almeno 5 dosi di coca. Come emerge poi dalle intercettazioni, i dipendenti (ma anche i clienti) del ristorante sarebbero stati perfettamente a conoscenza della “attività parallela” di Di Ferro.
Le regole dello spaccio e le consegne a domicilio per Miccichè
Ciò che la Procura e anche il gip Antonella Consiglio, che ha emesso l’ordinanza di custodia cautelare, mettono in evidenza è la sistematicità di alcuni comportamenti da parte dello chef, che fornirebbe la prova della sua intensa attività di spaccio con base nel suo stesso ristorante. Ogni qualvolta c’è un contatto tra Di Ferro e Miccichè automaticamente infatti lo chef (finito ai domiciliari) chiama i fratelli Gioacchino e Salvatore Salamone (arrestati anche loro, sono in carcere), suoi presunti fornitori, per dire semplicemente: “Avvicina”, ovvero vieni a Villa Zito e consegnami la cocaina. Puntualmente uno dei due si presenta al ristorante, ci resta pochissimi minuti – a volte neanche entra e si limita a passare qualcosa dal cancello – e poi arrivano i “clienti” e assuntori. Per Miccichè, inoltre, attraverso il dipendente di Villa Zito Gaetano Vara (sottoposto all’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria), sarebbero state compiute anche consegne a domicilio.
“Gianfrà, te l’ho data poco fa…”
In una conversazione tra lo chef e il politico si fa esplicito riferimento al “materiale”, così come in un’altra (del 31 marzo) i due battibeccano e il politico afferma: “No vedi perché ce l’hai in tasca tu quella cosa” e Di Ferro ribatte: “No, no, te l’ho data, te l’ho data Gianfrà, te l’ho data poco fa”, ma Miccichè insiste: “Quello che c’avevo io era vuota”, ma l’indagato conclude: “Te l’ho data, ciao coglione, te l’ho data, assolutamente!”. Nell’ordinanza è riportata anche una telefonata ironica, ma secondo gli inquirenti molto eloquente: “Io arrivo domani – dice Di Ferro all’ex senatore – sono chiuso! Sono a Piano Battaglia sulla neve… Ora ti mando una bella foto di dove sono per ora, c’è… pieno di neve! C’è pieno zeppo di neve qua!” e Miccichè replica: “Ma dove pieno zeppo di neve? Anche a casa mia? Hai notizie, anche a casa mia? Mangio da te? Mangio da te? No?” e i due ridono. Per l’accusa il riferimento alla “neve”, anche alla luce della risposta del politico, rimanderebbe alla cocaina.
La replica del politico: “Non ho mai visto droga”
“Siete cinque, cinque giorni…”
Il 18 novembre scorso Miccichè chiama Di Ferro alle 22.23 e gli dice che sta partendo per Milano dove resterà per 5 giorni. Lo chef risponde: “Vabbè, siete cinque, cinque giorni, va bene”, dove il numero – per la Procura – sarebbe quello delle dosi. I due si davano appuntamento per l’indomani alle 13, ma esattamente un’ora dopo la telefonata, alle 23.28, lo chef contattava Salvatore Salamone: “Vedi che domani all’una da me, vedi che siamo 10 a tavola, seduti”, ma il presunto fornitore diceva di non esserci, da qui la chiamata al fratello di Salamone, Gioacchino: “All’una meno un quarto, puntuale da me al bar, va bene?” e l’altro rispondeva già informato: “Quello che gli hai detto a mio fratello?”. Alle 13.14, non vedendo arrivare Miccichè Di Ferro gli telefonava e lui spiegava: “Sì sono partito ora da Sant’Ambrogio per cui a che ora mangiate voi? A che ora mangiate, a che ora mangi? A che ora mangi? Appena arrivo mangio, va bene”. Alle 13.55 la squadra mobile ha immortalato l’arrivo del politico a Villa Zito, con i lampeggianti accesi, e anche la sua uscita dal locale alle 15.20.
“Non ti scordare i soldi”
Sono 411 i contatti tra l’ex senatore e il titolare di Villa Zito documentati dagli inquirenti: telefonate e visite al ristorante da parte di Miccichè si sono improvvisamente interrotte con il primo arresto di Di Ferro, avvenuto il 4 aprile scorso. Tra le telefonate intercettate c’è anche quella del 30 novembre, dove si parla di soldi. Era lo chef a chiamare, dopo aver già concordato di pranzare con l’ex senatore, e gli diceva: “Non ti scordare i soldi”. Un altro riferimento ai soldi è stato registrato il 31 gennaio. Alle 16.52 Miccichè chiamava Di Ferro: “Io sono in via Libertà, posso venire ora? No? Allora me ne torno a casa? Minchia che palle, ora sto due ore a casa e poi devo scendere? Sono a piedi” e poi: “Ci pensi tu poi però, lo mandi tu perché io poi a piedi alle 7 che scendo a fare” e Di Ferro: “Non ti dimenticare il passato” e Miccichè: “Senti, io penso molto di più al futuro”. In una successiva telefonata il politico chiariva: “Allora oggi è giorno 31 a me è finito il credito che posso riprendere da domani, io se vuoi ti mando la carta e domani mattina te li prendi tu stesso”. Vara usciva per la consegna a domicilio e Di Ferro chiamava Gioacchino Salamone, dicendogli: “No, domani sera ci vediamo, perché non ho fatto niente…”, nel senso – sostengono i pm – “non ho recuperato i soldi”.
“Se viene Iachino ti fai lasciare dieci…”
Il 27 dicembre Di Ferro informava Miccichè: “Senti, vedi che io sono oggi a Palermo, domani mattina e poi di pomeriggio parto e se ne parla poi giorno uno” e l’altro: “Fai le minacce”, lo chef proseguiva: “Quindi no, te lo dico perché poi… tu oggi sei a Catania, no?” e il politico: “Io? Allora…. Io sono a Catania? Se dobbiamo dire una minchiata diciamola, ma…” e Di Ferro: “Vabbè allora sei a Catania, no allora a pranzo sono aperto io” e l’altro: “Allora aspetta, stai calmo un minuto serenamente…”. Lo chef: “Tu non puoi passare all’una da me? Sono dieci giorni all’incirca giusto?” e Miccichè: “Quanti?”. E’ questa una delle conversazioni che gli investigatori ritengono quasi “surreale” e che nasconderebbe proprio le cessioni di cocaina. Subito dopo aver chiuso con il politico, Di Ferro chiamava Gioacchino Salamone: “Senti, dovresti avvicinare da me, al locale, ma siamo assai, qualche 10, siamo 12, una cosa di queste siamo a pranzo, va bene?”. Telefonava poi al suo dipendente Pietro Accetta (sottoposto all’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria), incaricandolo di recuperare lui droga: “Perdo tempo, se viene Iachino (Salamone, ndr) ti fai lasciare 10 e alle due se li viene a prendere”. Alle 13.05 Salamone arrivava a Villa Zito, due minuti dopo si presentava anche Miccichè, che andava via poco dopo, alle 13.41.
“Portami la carta argentata”
Il 30 dicembre, anche se il ristorante era chiuso, Di Ferro organizzava un incontro con un assiduo frequentatore del locale e Miccichè. In una seconda telefonata a quest’ultimo gli chiedeva se avesse dovuto chiamare “il rappresentante” (cioè il fornitore) e Miccichè replicava con tono ironico: “Eh sì, mi fai queste domande? Sono veramente imbarazzanti!”. Così lo chef chiamava immediatamente Gioacchino Salamone per la consegna. Il 6 gennaio, Miccichè chiamava Di Ferro: “Ci sono per un’ora a Palermo, ora tra una ventina di minuti, mezz’ora passo, perché devo andare da una persona” e Di Ferro: “E quanti giorni ti fermi fuori?” e Miccichè: “Dove? Un paio di giorni”. Di Ferro chiamava quindi Salvatore Salamone e rimarcava: “Portami pure la carta argentata”.
“Sto arrivando siamo circa in quattro”
Il 12 gennaio alle 12.38 Miccichè chiamava ancora lo chef: “Ma dove sei? Sto arrivando, ma siamo quattro circa, quattro!” e Di Ferro: “Siete quattro, va bene” e seguiva immediatanente la chiamata a Gioacchino Salamone. Il 28 gennaio Di Ferro telefonava all’ex senatore per ricordargli l’invito ad una serata: “E’ alle 8 e mezza là, non venire alle 9 perché sono tutti ottantacinquenni e con te 88… Ti devi vestire, ma una giacca te la devi mettere per forza Gianfrà… La principessa è, mica una cosa di ragazzi, quella ha 80 anni, è formale”. E poi, immancabile: “Tu vai a Sant’Ambrogio, quanti giorni? Sabato, domenica e lunedì, tre, va bene”. Ancora il 31 marzo Miccichè: “Sono a Sant’Ambrogio ma sto scendendo a Palermo, che faccio vengo e ci vediamo? Dove sei tu? Vengo a mangiare, allora ci vediamo all’una da te”. Alle 12.09 lo chef chiamava Gioacchino Salamone.
Il compleanno, la pasta al forno e 5 dosi
Il primo aprile per il suo compleanno Miccichè aveva incaricato lo chef di organizzare il banchetto a Sant’Ambrogio. Si sentivano al telefono e Di Ferro diceva: “Auguri! Senti, allora quanti giorni ti fermi?” e il politico: “Cinque, cinque, non di più” e lo chef: “Ho capito, allora io vengo verso le tre e mezza, qua c’è Maurizio (un dipendente dell’Ars, ndr) che si sta portando le due teglie di pasta al forno e il gatò”. Quindi ancora una volta Di Ferro chiamava Gioacchino Salamone: “Avvicina al lavoro, siamo in 5 e ti rompiamo il culo”.