Graviano che rompe il silenzio inguaia il Cavaliere e promette di scrivere un’altra storia sulla mafia
Le rivelazioni di Giuseppe Graviano sono importanti, ma rimane da capire perché il boss abbia deciso di parlare proprio adesso
Onofrio Dispenza
7 febbraio 2020
Chi s’accompagna, va a cena o intavola affari con Cosa nostra prima o poi si ritrova a pagare una cambiale. Quando e come si dovrà pagare è sempre la mafia a stabilirlo, unilateralmente. Il conto più salato prevede la stessa vita. Cronaca e storia di mafia lo insegnano. Lo ricordo perchè le dichiarazioni di Giuseppe Graviano che racconta ora, solo ora, dopo silenzi più granitici delle mura del carcere che lo tengono recluso col bollo “fine pena mai”; che racconta – dicevo – di aver conosciuto, frequentato e fatto affari con Berlusconi, hanno una sola incertezza, il fine, la motivazione.
Per il resto, anche quando negava e negava ancora, i rapporti tra i Graviano e l’impero economico, e poi politico, di Berlusconi erano cosa certa. In queste ore lo ha ricordato il consigliere del CSM Nino Di Matteo, ex pm del processo sulla trattativa tra Stato e mafia. “Non entro nel merito delle nuove dichiarazioni di Giuseppe Graviano – ha detto Di Matteo – E’ certo, però, che anche nella sentenza definitiva di condanna del senatore Marcello Dell’Utri sono stati ricostruiti rapporti stabili e duraturi tra Berlusconi e Cosa nostra”. Ed ecco che Di Matteo non perde occasione per togliersi il classico sassolino dalla scarpa: “Sembra che in questo Paese certe cose non possano nemmeno essere ricordate e che chi si ostina a farlo sia destinatario, come è capitato a me ed ai miei colleghi, per queste indagini, ad essere additato come un fanatico visionario”.
Registrate le parole di Di Matteo, andiamo a Graviano. Dichiarazioni a sorpresa, dicevamo, quelle di Giuseppe Graviano che oggi ha sostenuto di aver incontrato, nel ’93, a Milano, l’ex premier Silvio Berlusconi, per l’esattezza a Milano 3. E Berlusconi quando gli strinse la mano (non ci è dato di sapere di abbracci e baci) sapeva di parlare e trattare con un latitante di mafia. E che mafia, visto che la famiglia Graviano ha storicamente dominato da Ciaculli a Brancaccio, in quella Brancaccio dove furono loro a dare l’ordine di zittire ed ammazzare Pino Puglisi, sacerdote che con il suo insegnamento alla parola di Cristo e alla legalità prometteva di insidiare il loro dominio assoluto sulle vecchie e sulle nuove generazioni.
Giuseppe Graviano, come il resto della famiglia, non si è mai pentito di quel delitto come delle stragi che lo hanno portato all’ergastolo. Dell’uccisione di don Puglisi si pentì, invece, come si sa, il killer, che parlò, chiamando in causa i Graviano e mandando sull’altare don Pino, il sacerdote che sorrise a chi gli sparava. Destino volle che Giuseppe Graviano venisse arrestato in quella Milano dove viveva da pascià, tra un incontro d’affari e serate all’insegna del divertimento: buoni ristoranti e teatro. Si, teatro, perchè Giuseppe Graviano è un boss per certi versi anomalo, con nelle pareti della cella riproduzioni di grandi opere d’autore e interessi che vanno oltre lo stereotipo del boss mafioso.
Silenzi, tesori rimasti misteriosamente in piedi e la famiglia, questi i tre “comandamenti” di Giuseppe Graviano. Tutto in nome della famiglia, che ha provato in ogni modo a tutelare, a farla uscire dalla spirale pericolosa dei destini delle famiglie mafiose. Intercettazioni fatte in carcere ( olo lì Graviano si è lasciato andare, un pò) raccontano di un Graviano che si misura alla pari con Berlusconi, non quello di oggi, plastificato, stanco e disperatamente aggrappato alle barzellette, ma quello in crescita vertiginosa di ieri. Anzi, secondo quanto si è potuto ricostruire, fu proprio Giuseppe Graviano, in quel suo dorato passaggio milanese a raccogliere, tra i primi, l’intenzione di Berlusconi di “scendere” in politica. E i Graviano dovevano essere uno dei punti di riferimento di quel processo di crescita del futuro leader di Forza Italia.
Del resto, la Sicilia era un punto di riferimento quasi “naturale” per le radici della nuova forza politica che nasceva sulle ceneri della prima Repubblica. Alla destra di Berlusconi non a caso c’era Marcello Dell’Utri e ai piedi di Silvio c’era tutto quello che Marcello portava in dote dall’Isola. Detto questo, resta da capire perchè Giuseppe Graviano parla oggi. Lui non è anziano, ha da vivere a lungo ancora, se Dio vorrà, ed è maledettamente assillato dalle sorti dei familiari. Familiari, non “famiglia” in termini mafiosi. Quella è un’altra storia, e su quel piano la partita sembra compromessa. Perchè ora e perchè nel momento in cui Berlusconi non è stato mai così fragile politicamente e con un futuro incerto; futuro che per tanti versi non dipende più da lui, ma da quello che vorranno alleati divenuti anche sei volte più forti di lui. Una situazione tutta da decifrare, strana, tanto da destare molto stupore e qualche sospetto.
Giuseppe e Filippo Graviano conquistarono un ruolo politico di primo piano proprio quando davanti ai giudici scelsero di non rispondere alle domande su Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri. Ora, l’inversione di rotta, improvvisa. In cella da un quarto di secolo, e al 41 bis, il marchio Graviano continua a controllare un impero imprenditoriale: distributori di carburante, società di servizi, imprese edili, immobili che hanno un gran ritorno in affitti. Tutto sull’asse Roma-Milano, con un piccolo esercito di prestanome. Investimenti che risalgono alla prima metà degli anni Novanta del secolo scorso, ormai. Impero descritto ai magistrati da Gaspare Spatuzza e dall’autista personale, Fabio Tranchina, uno che registrò molti episodi della latitanza del suo capo.
“I Graviano sono figure uniche nell’ultima generazione di Cosa nostra – ebbe a scrivere di loro Lirio Abbate sull’Espresso già nel 2011 – Anche in carcere indossano abiti griffati e hanno saputo costruire un’immagine vincente attraverso i “dico-non dico” e gli ammiccamenti registrati in alcuni importanti processi. I loro ricordo, o non ricordo, ruotano sempre attorno a imprenditori e politici, a partire dal premier e dal parlamentare che costruì Forza Italia. Ogni volta che qualcuno in aula pronuncia quei nomi, i fratelli si celano dietro il silenzio. Per i siciliani che sono abituati a “dialogare” a distanza con un gesto o un cenno, questo potrebbe essere inteso come un segnale, o un messaggio”. Da un messaggio, il silenzio, a un messaggio opposto, nomi, luoghi, date. Su tutti, il nome di Silvio Berlusconi. Graviano, marchio dell’impossibile, come quella volta che fecero arrivare la cicogna fin dentro al carcere di massima sicurezza. Era il’97, le loro mogli le mogli dei fratelli Graviano, partorirono due bimbi in una clinica di Nizza, a distanza di un mese l’una dall’altra, Una fecondazione realizzata grazie alle complicità che i Graviano riuscirono ad ottenere in carcere per fare arrivare il loro seme in cliniche compiacenti per ingravidare le donne dei boss.
Le indagini non portarono a identificare i complici. Le donne e i figli dei Graviano in un primo momento continuarono a vivere in Costa Azzurra, in una villa lussuosa di loro proprietà. Poi Roma, dove i piccoli Graviano poterono frequentare un istituto privato fra i più costosi della capitale. Dopo Roma, Palermo con un tenore di vita sempre all’altezza del nome. Il marchio continua a tirare a fare soldi, a Milano come a Roma e a Palermo. Ora il “Graviano parlante” promette un’altra storia.
fonte:https://globalist.it/