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Gratteri e il vittimismo storico: «Non è sempre colpa dei piemontesi»

Gratteri e il vittimismo storico: «Non è sempre colpa dei piemontesi»

ALTRO CHE….”PIEMONTESI”,PIEMONTESI DEL C@@@O,E’ CHE LA CRIMINALITA’ CE L’HAI DENTRO E BASTA.SE SEI UN CRIMINALE  CHE C’ENTRANO I PIEMONTESI  ? CRIMINALE SEI E DA CRIMINALE TI COMPORTI.UNA VERITA’ CHE NESSUNO HA IL CORAGGIO DI  AMMETTERE.

 

Gratteri e il vittimismo storico: «Non è sempre colpa dei piemontesi»

Il nuovo libro scritto con Nicaso, “Storia segreta della ‘ndrangheta”, decostruisce il mito dell’onorata società. Pollichieni: «Fin dall’inizio la mafia è stata il braccio armato del potere». Secondo il procuratore di Catanzaro «il calabrese non è omertoso, ha bisogno di avere qualcuno di cui fidarsi». Nicaso: «Ripartire dall’articolo 3 della Costituzione»

24 novembre 2018

CATANZARO «Le costruzioni abusive lungo le coste sono forse opera dei piemontesi che hanno governato il meridione dopo l’Unità d’Italia? E le truffe che hanno impoverito l’economia calabrese? E perché il 95% dei fondi europei destinati alla Calabria non viene speso? Sempre colpa dei piemontesi? Basta col cliché del vittimismo». Nel cinema teatro di Catanzaro parte un applauso – che ha la forza di uno sfogo liberatorio – quando il procuratore Nicola Gratteri comincia a smontare pezzo per pezzo certi assunti storici e di pensiero troppo comodi, facili alibi per declinare ogni responsabilità di fronte al degrado e al malaffare nel quale la Calabria ristagna da troppo tempo. Forte di una mole robusta, e in alcuni casi inedita, di documenti, figlia di un sudato lavoro d’archivio, il quindicesimo libro di Nicola Gratteri e dell’accademico Antonio Nicaso, “Storia segreta della ‘ndrangheta”, non solo «decostruisce il mito del mafioso dell’onorata società», come ha spiegato lo stesso Nicaso, ma toglie ogni alibi al buonismo storico che accompagna da sempre il concetto di ‘ndrangheta e di povero Sud martoriato. Con buona pace per i mal di pancia di certa intellighenzia intellettuale chiamata a raccolta per riscrivere la Storia della Calabria. Ma la Storia non si riscrive. La Storia è materia scientifica che va dimostrata con onestà e con documenti.
«Finisce la storiella della mafia antica e moderna – commenta il direttore del Corriere della Calabria, Paolo Pollichieni, che ha moderato l’incontro –, della mafia antica che stava coi poveri che seguiva un codice d’onore e della mafia contemporanea che sta coi potenti. Fin dall’inizio la mafia è stata il braccio armato del potere».
Un esempio? Basta andare a pagina 26 del libro per trovare l’allarme lanciato nel 1875 da Diego Tajani, originario di Cutro, entrato in politica dopo essersi dimesso dalla magistratura, che nel suo discorso appassionato dice che «il primo insegnamento è questo: che la mafia non è pericolosa, non è invincibile per sé, ma perché è strumento di governo locale». Parole forti dopo le quali in Parlamento si venne quasi alle mani.

A CU’ APPARTENI? «Accreditiamo a certa intellighenzia l’esistenza di una ‘ndrangheta antica fatta di codici d’onore e uso moderato della violenza. Non è così – afferma Nicaso –, la ‘ndrangheta, non meno della camorra e della mafia siciliana, è stata, anche anticamente, assoldata da poche famiglie – in alcuni casi legate alla massoneria – che si contendevano il potere. È stata ed è un comitato elettorale che vota e fa votare. Per questo ha ottenuto una certa legittimazione sul territorio: perché veniva riconosciuta dal potere politico, convinto di potersene liberare quando non ne avesse avuto più bisogno. E invece la ‘ndrangheta è riuscita a superare indenne tutte le stagioni del nostro Paese». La ‘ndrangheta diventa, a un certo punto, cultura. Il professore Nicaso non vive più in Calabria da 30 anni ma se li ricorda bene i suoi anni dell’infanzia, quando a quattro anni perse il padre, di origini siciliane, e ricorda il fastidio che provava quando gli chiedevano: «A cu’ apparteni?». Perché bisogna sempre appartenere a qualcuno o a qualcosa, e questo è il principio infetto di una società che non è libera. «Chiediamoci – dice Nicaso – perché la ‘ndrangheta ancora oggi è una forza politica che riesce a esprimere candidati di maggioranza e opposizione. Perché non c’è stata la volontà, in 150 anni, di debellarla, perché tutta la legislazione antimafia è frutto di una reazione emotiva difronte a stragi e fatti eclatanti. Bisogna ricominciare dall’articolo 3 della Costituzione: è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».

NDRANGHETA E MASSONERIA Non c’era solo Tajani che denunciava la collusione tra mafia e Stato. Gli esempi riportati nel libro sono tanti. Il Prefetto di Reggio Calabria Carlo Cadorna nel 1868 invia una nota al ministro dell’Interno nella quale denuncia la presenza di una loggia massonica «non perfettamente in armonia colle leggi massoniche – essa in realtà è più di ogni altra cosa un comitato elettorale e per lo stato assai poco progredito della cultura politica vi prevalgono spesso le candidature di opposizione».
«Ma guarda che uomini coraggiosi che c’erano nell’800 – commenta il procuratore Gratteri –. Oggi sono attorniato da questo target di investigatori, altrimenti non potremmo mandare avanti il lavoro che stiamo facendo». E il lavoro riguarda una ‘ndrangheta sempre più pervasiva, «gli ‘ndranghetisti discutono sempre più di massoneria, come qualcosa della quale possono disporre e avere benefici».
Tra le province d’Italia a più alta densità massonica c’è Vibo Valentia, con 12 logge.

I CALABRESI PARLANO Il lavoro per gli investigatori non manca anche perché i calabresi, da due anni a questa parte, hanno preso a parlare. «Il calabrese non è omertoso», dice il procuratore sfatando un altro mito. «Il calabrese ha voglia di parlare ma ha bisogno di avere qualcuno di cui fidarsi». In Procura a Catanzaro ho aperto uno sportello: ricevo la gente uno o due volte alla settimana. La mia segretaria ha almeno 250 richieste di colloquio di persone che vogliono parlare che vogliono denunciare. Non avete idea di quante indagini stiamo aprendo grazie alle denunce. E noi dobbiamo dimostrarci credibili, questo è quello che chiedo a chi lavora con me. A volte vengono anche da altre regioni d’Italia, allora è dura spiegare che io non posso fare niente».

«LA CLASSE POLITICA SCENDA DAL PIEDISTALLO» E la classe politica attuale? E il dibattito sulla prescrizione? «La classe politica scenda dal piedistallo e torni a dialogare con la gente e con le periferie», dice Gratteri secondo il quale, spiega, è un alibi quello di strombazzare ad ogni assemblea pubblica il bisogno di ritrovare il dialogo con la gente. Buoni propositi che non si realizzano mai. Così come non si ha una idea programmatica per una rivoluzione normativa che risolva davvero i problemi senza dover ogni volta ricorrere a “pezze” che sono peggio del buco. E le pezze sono l’indulto, la prescrizione, le sanatorie, le amnistie. «Nel 2018 se ne continua a parlare, è un cliché che si ripete a ogni legislatura ma un legislatore serio deve porsi il problema del perché un fascicolo può giacere nell’armadio di un pm anche 5 anni».
Gratteri non molla la battaglia dell’informatizzazione del processo penale. La situazione attuale che vuole il detenuto in aula costringe ogni giorno 4000 carabinieri a trasportare detenuti invece di partecipare alle indagini. Operazione di accompagnamento che comporta un costo 70 milioni di euro all’anno. «Quanta gente utile agli uffici potremmo assumere con questa cifra?», chiede il procuratore.
La rivoluzione sarebbe possibile anche dotando i detenuti di un tablet, che può solo ricevere, nel quale vengono loro inviate tutte le notifiche. Tablet che verrebbe svuotato (consegnando ai detenuti i documenti su una usb) una volta che il detenuto esce dal carcere, e che verrebbe passato a un altro detenuto. Sono idee, proposte, con conti già fatti. Idee che stanno già sul tavolo di tanti politici. Ma siamo troppo abituati a crogiolarci dietro il vittimismo di un Sud martoriato, da altri, anche solo per guardare al futuro.

Alessia Truzzolillo
a.truzzolillo@corrierecal.it

fonte:https://www.corrieredellacalabria.it