Cerca

Gli «sbirri» incubo dei portuali di Gioia che muovevano la coca: «Cani, vedrai che ci arrestano»

Gli «sbirri» incubo dei portuali di Gioia che muovevano la coca: «Cani, vedrai che ci arrestano»

Il gruppo addetto a fare uscire la droga dal terminal viveva nell’incubo della finanza e dei controlli. Ecco le conversazioni intercettate dagli investigatori dai telefoni criptati

di Francesco Altomonte 7 ottobre 2022 13:01

Il gruppo di portuali infedeli aveva una vera e propria ossessione per le forze di polizia, apostrofate come «sbirri» o «cani». Ogni piano per fare uscire i carichi di cocaina dal porto di Gioia Tauro era organizzato nei minimi particolari e l’attenzione sulla presenza di troppe divise sui piazzali metteva subito in agitazione la squadra. La banda che agiva nel terminal sarebbe stata composta, secondo quanto emerso dall’inchiesta della Gdf conclusasi ieri mattina, da Domenico Bartuccio, Rosario Bonifazio, Girolamo Fazari, Salvatore Bagnoli, Salvatore Dell’Acqua, Domenico Longo, Nazareno Valente Antonio Zambara.

L’ansia di portare a termine il lavoro viaggiava di pari passo con la paura di poter essere beccati dalla guardia di finanza. Le intercettazioni ai cui erano sottoposti gli indagati sono lì a dimostrarlo: «Si apprendeva da alcuni commenti che il Fazari aveva dovuto fare il giro lungo per la temuta presenza di forze dell’ordine (Fazari: dove sono? Albanese: gli sbirri … Fazari: aspetta che stiamo arrivando … (impreca) … abbiamo dovuto fare il giro lungo, Manolo!)… A questo punto, Dell’Acqua nel commentare l’azione appena conclusa e cioè quanto fosse stata “pesante” la merce appena trasbordata veniva prontamente interrotto dal Fazari che, per timore dì possibili intercettazioni e dunque ben consapevole dell’attività illecita, imponeva il silenzio sull’argomento («oh, non parlate che … »)

«La scaltrezza degli indagati – scrivono a questo riguardo gli inquirenti – non si esplicitava solo nelle modalità operative prescelte per la messa in opera delle attività ma anche, e soprattutto, nelle accortezze usate per le comunicazioni, che solitamente avvenivano tramite incontri de visu, abilmente tenuti fuori delle autovetture o di ambienti chiusi, o attraverso l’utilizzo di radio ricetrasmittenti nonché di apparati telefonici “sicuri”», vale a dire i cosiddetti “criptofonini”, che grazie a un particolare sistema di cifratura finalizzato ad eludere eventuali indagini tecniche erano difficilmente penetrabili.

«Invero – si legge nell’ordinanza – a seguito dell’azione condotta da una squadra investigativa comune costituita dalle competenti autorità francesi, belghe ed olandesi, è stata realizzata un’attività investigativa che ha permesso di accedere al sistema criptato Sky Ecc…L’analisi ex post delle suddette chat, dal contenuto assolutamente esplicito, ha ulteriormente arricchito le già straordinarie emergenze investigative, risultandone perfettamente collimanti».