Giuseppe Di Matteo: il rapimento e la morte del bambino che sconfisse Cosa Nostra
Luca Grossi 11 Gennaio 2022
Raccontare la storia del piccolo Di Matteo non è cosa facile poiché un “esterno”, per quanto impegno ci possa mettere, non potrà mai trasmettere l’orrore di quanto avvenuto. Solo dalle parole di chi era presente si può cogliere, anche solo alla lontana, quanto quel delitto sia stato brutale e privo di qualsivoglia forma di umanità.
La ricostruzione fatta nel processo da uno degli assassini, Vincenzo Chiodo, è un racconto agghiacciante: “Io ho detto al bambino di mettersi in un angolo, cioè vicino al letto, quasi ai piedi del letto, con le braccia alzate e con la faccia al muro. Allora il bambino, per come io ho detto, si è messo faccia al muro. Io ci sono andato da dietro e ci ho messo la corda al collo. Tirandolo con uno sbalzo forte, me lo sono tirato indietro e l’ho appoggiato a terra. Enzo Brusca si è messo sopra le braccia inchiodandolo in questa maniera (incrocia le braccia) e Monticciolo si è messo sulle gambe del bambino per evitare che si muovesse. Nel momento della aggressione che io ho buttato il bambino e Monticciolo si stava già avviando per tenere le gambe, gli dice ‘mi dispiace’ rivolto al bambino ‘tuo papà ha fatto il cornuto’ (…) il bambino non ha capito niente, perché non se l’aspettava, non si aspettava niente e poi il bambino ormai non era… come voglio dire, non aveva la reazione di un bambino, sembrava molle… anche se non ci mancava mangiare, non ci mancava niente, ma sicuramente la mancanza di libertà, il bambino diciamo era molto molle, era tenero, sembrava fatto di burro… cioè questo, il bambino penso non ha capito niente. Sto morendo, penso non l’abbia neanche capito. Il bambino ha fatto solo uno sbalzo di reazione, uno solo e lento, ha fatto solo questo e non si è mosso più, solo gli occhi, cioè girava gli occhi. (…) io ho spogliato il bambino e il bambino era urinato e si era fatto anche addosso dalla paura di quello che abbia potuto capire o è un fatto naturale perché è gonfiato il bambino. Dopo averlo spogliato, ci abbiamo tolto, aveva un orologio da polso e tutto, abbiamo versato l’acido nel fusto e abbiamo preso il bambino. Io ho preso il bambino. Io l’ho preso per i piedi e Monticciolo e Brusca l’hanno preso per un braccio l’uno così l’abbiamo messo nell’acido e ce ne siamo andati sopra. (…) io ci sono andato giù, sono andato a vedere lì e del bambino c’era solo un pezzo di gamba e una parte della schiena, perché io ho cercato di mescolare e ho visto che c’era solo un pezzo di gamba… e una parte… però era un attimo perché sono andato… uscito perché lì dentro la puzza dell’acido era… cioè si soffocava lì dentro. Poi siamo andati tutti a dormire“.
Anche il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza aveva fatto un quadro minuzioso della vicenda. Per quel delitto atroce sono stati condannati all’ergastolo Giovanni Brusca, Leoluca Bagarella, Matteo Messina Denaro, ancora latitante, Giuseppe Graviano, Salvatore Benigno, Francesco Giuliano e Luigi Giacalone. Mentre a Monticciolo sono stati inflitti 20 anni di carcere, a Enzo Brusca 30 anni, anche per altri omicidi di mafia, Chiodo 21 anni di reclusione e Gaspare Spatuzza, condannato a 12 anni di carcere. L’ordine era arrivato direttamente da Giovanni Brusca: gli uomini di Cosa Nostra si erano presentati al bambino come agenti della DIA e gli avevano detto che lo avrebbero condotto da suo padre ormai assente da tempo. Quel momento è stato raccontato dal pentito Gaspare Spatuzza: “Agli occhi del ragazzo siamo apparsi degli angeli, ma in realtà eravamo dei lupi. (…) Lui era felice, diceva ‘Papà mio, amore mio‘”. Ma quegli uomini non erano della DIA e il padre non lo avrebbe rivisto mai più. Ma perché è stato fatto tutto questo? Santino di Matteo detto “Mezzanasca” prima di pentirsi era un mafioso affiliato a Cosa Nostra, arrestato il 4 giugno del 1993 inizia a raccontare ai magistrati Giuseppe Pignatone e Francesco Lo Voi ciò che sapeva sugli attentati. Queste dichiarazioni avevano scatenato la reazione di Cosa Nostra che aveva incaricato Giovanni Brusca, capo mandamento di San Giuseppe Jato, il compito di rapire il figlio di Santino così da convincerlo a rimangiarsi ciò che aveva raccontato. Il padre era arrivato addirittura a scappare dalla località protetta in cui viveva insieme a Gioacchino La Barbera e Baldassare Di Maggio per andare a cercare suo figlio in Sicilia.
Ma gli uomini di Cosa Nostra spostavano da una località all’altra a più riprese il piccolo Giuseppe per poi arrivare a gettarlo in quell’inferno dove lo uccisero. A lungo fuori e dentro Cosa nostra si è raccontata una favola, quella per cui la mafia non uccideva i bambini in virtù di un codice d’onore. Ma quel codice non è mai esistito. I mafiosi non hanno onore, non hanno senso di famiglia, non proteggono gli innocenti, anzi li uccidono.
Giuseppe era innocente, senza colpa. Era solo figlio di un uomo che aveva deciso di cambiare vita. E con l’omicidio del piccolo Di Matteo la mafia si è mostrata in tutta la sua vigliaccheria e atrocità: questa è stata la grande vittoria di Giuseppe.
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