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Giuseppe Costanza e quello ”Stato di abbandono” dell’uomo di fiducia di Falcone

Luca Grossi 06 Febbraio 2023

“E che i giovani non dimentichino!”

Per Giuseppe Costanza il fatto di essere uscito vivo dalla Strage di Capaci del 23 maggio 1992 è stata una vera e propria condanna: “Se muori sei un eroe, se sopravvivi non sei nessuno” anzi “qualche funzionario del ministero ebbe pure il coraggio di dirmi che sarei stato io il vero responsabile della morte del giudice, perché lo avevo lasciato guidare”. “Essere rimasto vivo è stata una disgrazia perché me l’hanno sempre fatto pesare. Per me, e per chi mi è stato accanto, è stata una sorta di condanna. I miei figli, allora ragazzini, sono dovuti diventare grandi da un giorno all’altro, perché il loro padre si era trasformato nell’ombra di sé stesso. E mentre a Roma non ricevevo segnali concreti d’interessamento, a Palermo i dirigenti del Tribunale non sapevano cosa farsene di me”.
È durissima la realtà che emerge dal libro ‘
Stato di Abbandono. Il racconto di Giuseppe Costanza: uomo di fiducia di Giovanni Falcone‘ (Minerva Edizioni) scritto da Riccardo Tessarini.
L’opera è narrata in prima persona ed è il frutto di molte interviste a 
Giuseppe Costanza che si racconta dall’infanzia ai giorni nostri.
Ma il libro, innanzitutto, è il racconto della vita di un uomo, oltre che di un cittadino eccezionale, che dal 1984 ha avuto una svolta dovuta all’ingresso nella ristretta cerchia degli uomini di fiducia di Giovanni Falcone. Numerosi sono i riferimenti al Giudice, ma anche gli aneddoti e le esperienze personali condivise con lui.
I primi due mesi furono duri come racconta Costanza, “quando mi mettevo alla guida il sudore mi scendeva dalla fronte per la tensione”. “Entrai in servizio mediante chiamata diretta nel ministero di Grazia e Giustizia nel novembre del 1984 perché possedevo requisiti tra cui la patente di categoria D. Furono anni violenti e tremendi per l’Italia ma soprattutto per la Sicilia”.
Dalle “circostanze” che hanno caratterizzato il fallito attentato all’Addaura avvenuto il 29 giugno del 1989, passando per la mancata nomina di Falcone a capo dell’Ufficio Istruzione al Tribunale di Palermo da parte del Csm, fino alla minaccia che avrebbe rappresentato lo stesso Falcone alla Procura nazionale antimafia.
Tuttavia fu da quel terribile 23 maggio che l’uomo di fiducia di Falcone è stato vessato da quelle stesse Istituzioni che aveva servito, isolato da personaggi popolari al di sopra di ogni sospetto, e strumentalizzato dai mezzi d’informazione.
Divenne un soggetto da ‘eliminare’, da ‘parcheggiare’ in pochi metri quadrati a stampare fotocopie. Un uomo lasciato in disparte anche il 23 maggio 2004, quando venne inaugurato il monumento commemorativo alla strage di Capaci, le due stele posizionate ai lati dell’A29 nel punto della detonazione.

Costanza, per far sentire la propria voce, dovette incatenarsi la mattina del 23 maggio 1994 davanti alla cancellata del tribunale di Palermo con un cartello appeso al collo con la scritta: “Vittima della mafia e dello Stato”.
Ma non bastò. A sbarrargli la strada furono anche una macchina burocratica lenta, inefficiente e l’indifferenza di molti esponenti delle istituzioni.
“Falcone diceva sempre che la mafia non è tanto la gente che ti spara, ma soprattutto quella che ti emargina, quelle che ti lascia da solo” gli scrisse 
Laura Brancato – direttrice della Scuola di formazione del Corpo di polizia penitenziaria di Roma – in una lettera di ringraziamento nel 2014.
“Mi telefonò – si legge nel libro – e mi chiese di partecipare alla commemorazione che si sarebbe celebrata la mattina del 23 maggio 2014. L’incontro si sarebbe svolto nella scuola, dove peraltro dal 2012 si trova, all’esterno, una grande teca contente la Cromo banca, la macchina che guidavo. Nell’occasione, sarebbero stati invitati rappresentati delle Istituzioni e numerose scolaresche per promuovere il tema della legalità e della lotta alla mafia. Risposi alla direttrice che mi sarei reso disponibile e ci salutammo. Passarono settimane, ma nessuno si fece vino, per cui cominciai a pensare che la commemorazione non si sarebbe svolta o che, tutto sommato, non fossi così importate. Due giorni prima dell’anniversario mi richiamò, si scusò per lo scarso preavviso e mi chiese se fossi ancora disponibile. Accettai volentieri. Sinceramente, non sapevo con esattezza come mi aspettasse, perché credevo che si trattasse di una commemorazione simile quelle che avevo visto a Palermo…invece mi sbagliavo. Ero l’ospite d’onore e non me l’avevano detto”. Il libro, a parte questi momenti, purtroppo, è ricco di racconti amari e la strage di Capaci ne è il capofila. A trent’anni di distanza dall’assassinio di 
Giovanni FalconeFrancesca MorvilloVito SchifaniRocco Dicillo e Antonio Montinaro, la retorica ufficiale che si ripete a ogni piè sospinto nelle varie occasioni istituzionali, durante le cosiddette ‘passerelle’, racconta sempre di uno Stato che è riuscito a distruggere per sempre Cosa Nostra, lasciando nell’ombra tutte quelle componenti che spingono al ritrovamento di certe verità nascoste. Una di queste componenti è proprio Giuseppe Costanza.
Anche per lui quella strage “puzza”. “Perché c’erano tante altre cose irrisolte, una fra tante quella relativa a 
Totò Riina latitante. Il capo della mafia se ne stava a casa da vent’anni, e fu catturato solo dopo la strage”. “Tutto questo sa di sceneggiata”. “La certezza non ce l’ho, ma il dubbio che ci sia un coinvolgimento di parte della politica c’è”.
L’ultima parte del libro è rivolta ai giovani, a loro Costanza rivolge le sue maggiori speranze come fece a suo tempo lo stesso
 Paolo Borsellino: “Se la gioventù le negherà il consenso, anche l’onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo“.

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fonte:https://www.antimafiaduemila.com/home/mafie-news/228-cosa-nostra/93761-giuseppe-costanza-e-quello-stato-di-abbandono-dell-uomo-di-fiducia-di-falcone.html