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Gian Carlo Caselli: “Segnali pericolosi, c’è stata una falla nella lotta alla mafia”

La Stampa, 10 maggio 2020

Gian Carlo Caselli: “Segnali pericolosi, c’è stata una falla nella lotta alla mafia”

L’ex procuratore di Palermo: «Il rientro di tanti criminali nelle loro sedi di provenienza consente alle cosche di rialzare la testa»

GIUSEPPE SALVAGGIULO

«Il nuovo decreto risponde a un’idea apprezzabile, ma la realizzazione non sarà facile. Ci sono complessi e delicati problemi di rispetto dell’autonomia della magistratura», dice Gian Carlo Caselli, 81 anni ieri, già procuratore di Palermo e Torino oltre che capo del Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) oggi nella bufera.

Che idea si è fatto delle scarcerazioni dei mafiosi?
«Lo Stato deve tutelare la salute di tutti i detenuti (mafiosi compresi) oltre che del personale penitenziario, anche in situazioni di emergenza pandemica. Il paradosso è che i detenuti al 41 bis e quelli in alta sicurezza vivono in carcere in condizioni che comportano ben pochi rischi di contagio».

Dunque non bisogna occuparsene, anche se hanno patologie croniche?
«Bisogna farlo utilizzando, prima di tutto, le strutture sanitarie che già funzionano nelle carceri o adattando nuovi locali. La scarcerazione deve essere una extrema ratio».

Invece è diventata la regola?

«Sono d’accordo nel definirle scarcerazioni di massa. Non solo per il numero (quasi 400), ma anche per un certo “approccio” burocratico».

Che cosa intende?
«Non pare sia stata presa in considerazione la pericolosità del detenuto con particolare riferimento all’ambiente d’origine cui viene restituito».

Qual è la conseguenza?
«Quando si tratta di mafiosi, le implicazioni sulla sicurezza pubblica sono purtroppo di assoluta evidenza. Il loro rientro sul territorio comporta il concreto pericolo che molti possano approfittarne per rientrare in un modo o nell’altro – rafforzandolo – nel giro delle attività criminali tipiche della mafia».

Gli arresti domiciliari non sono sufficienti?
«Si
 sa che sono un diaframma molto debole».

Cosa rappresenta questa vicenda per lo Stato?
«Una falla nell’antimafia. Un lusso che lo Stato non si può assolutamente permettere. In ogni caso, un segnale di arretramento e debolezza che la mafia potrebbe cogliere per avviare nuove, come dire, “baldanzose” strategie criminali».

In che senso?
«Le mafie vivono anche di segnali e il rientro di tanti criminali nelle loro sedi di provenienza viene “venduto” come un fatto che consente all’organizzazione di rialzare la testa. L’Italia non ci guadagna».

Bonafede dice: hanno fatto tutto i giudici. È così?
«È vero. Ma al di là delle intenzioni, un ruolo importante sembra aver avuto anche la circolare Dap del 21 marzo che richiedeva a tutte le carceri un elenco dei detenuti sofferenti di certe patologie».

Per quale motivo?
«Per difetti di comunicazione sulle sue precise finalità, è stata interpretata come predisposizione di una specie di “lista d’attesa” di scarcerandi. Di qui una corsa alle domande e alle scarcerazioni che sono diventate una slavina».

Sta saltando il sistema repressivo nato negli anni 90?
«Il 41 bis, letteralmente intriso del sangue delle stragi del 1992, è per cosa nostra una ferita aperta. Pentitismo e 41 bis sono da eliminare (Riina si sarebbe “giocato anche i denti”) e la riprova sta nella sentenza di primo grado sulla “trattativa Stato-mafia”.

Quella stagione sta finendo?
«Per vari fattori, il regime di giusto rigore del 41 bis si è allentato nel tempo, ma potrebbe ancora funzionare bene. E’ però in atto una campagna per dissolverlo che invoca ragioni umanitarie. Su questo versante non si può scherzare: quando si tratta di mafia occorre bilanciarle con la storia e pericolosità dell’organizzazione, altrimenti si rischia di dimettersi dalla realtà».

Della campagna fanno parte anche le recenti sentenze di Corte di Strasburgo e Consulta?
«Escludo che si possa parlare di campagna. Semplicemente impensabile. Le sentenze della Cedu e della Consulta hanno cancellato l’ostatività dell’ergastolo per i mafiosi: la prima rispetto a qualunque beneficio, la seconda ai permessi premio. Con pieno rispetto, sembrano ispirate a una sorta di distacco dalla realtà. Per esempio sembrano dimenticare che ci sono anche le vittime dei delitti di mafia (familiari compresi), i cui diritti non sono da meno di quelli dei mafiosi detenuti».