Gasparino e i traditori di Stato
5 AGOSTO 2018
di Giuseppe D’Avanzo
Il “pentito” Gaspare Mutolo è stato ascoltato dall’ Antimafia. Quello che segue è il resoconto di quattro delle dieci ore di audizioni.
Andreottiani. “Io uccidevo non mi occupavo di ministri. Ma sapevo che ai problemi che si dovevano decidere a Roma ci pensava Salvo Lima e che, a Roma, Lima si rivolgeva ad uomini della sua corrente. Io non posso dire chi fossero…”.
Carboni. “Flavio Carboni era, insieme ad altri, l’ intermediario degli investimenti immobiliari in Sardegna di Cosa Nostra”.
Carnevale. “Una marca, una garanzia. Per noi mafiosi, Corrado Carnevale era scaltro, furbo, una persona intelligentissima. Intorno a lui c’ era un movimento di avvocati e di politici. Gli avvocati assorbivano i suoi consigli. I politici a Carnevale arrivavano. Io non so chi, ma per noi era pacifico che lo avvicinassero…”. Contrada. “Non aveva rapporti soltanto con Saro Riccobono, ma anche con Stefano Bontade. Conosceva anche Riina. Prendeva anche soldi. Nel Natale del 1981 stavo facendo i conti di Saro Riccobono, il capo della famiglia di Partanna-Mondello. C’ era un’ uscita di 15 milioni che non riuscivo a spiegarmi. Un amico di Contrada – era un medico, era un massone – mi disse che erano serviti per pagare l’ auto ad un’ amica di Contrada”.
Delitto Grassi. Dell’ uccisione di Libero Grassi parlai con Galatolo a Pisa. Chiesi a Galatolo perché non avevano aspettato per uccidere Grassi. Mi rispose che non si aspettavano tutto quel putiferio di manifestazioni e trasmissioni tv. Galatolo diceva: ‘ Accidenti, quando abbiamo fatto secco un imprenditore, la notizia è stata sul giornale non più di due giorni…’ “.
Delitto Lima. “Lima è morto perché non ha mantenuto, o non gli hanno fatto mantenere, gli impegni che aveva assunto a Palermo. I capi ci dicevamo: ‘ Pazienza, per il maxiprocesso bisogna aspettare la Cassazione’ . Poi la sentenza della Cassazione è stata un disastro. Qualcosa doveva succedere. Io mi stranizzai quando cominciò a costituirsi anche chi aveva otto anni da scontare. Poi uccisero Lima e allora capii. E dissi subito: ‘ Qui si fumano anche Ignazio Salvo’ perché anche Salvo doveva premere sui politici e non lo aveva fatto o non lo aveva potuto fare”.
Dopo Riina. “Io non so chi può prendere il posto di U curtu. Leoluca Bagarella è il cognato e potrebbe avere questa aspirazione, ma non è intelligente come Riina, è troppo impulsivo. Forse, nella successione, sono più favoriti i moderati: Raffaele Ganci, Mariano Troia”. Gunnella. “Quando lo vedevamo in tv parlare di lotta alla mafia, ridevamo. Sapevamo tutti che era vicino all’ organizzazione”.
Magistrati. “Se io sono un mafioso o un killer e so che ogni processo può essere aggiustato, divento più spavaldo, no? Ecco perché mafia e mafiosi sono spavaldi perché sanno che i processi possono essere aggiustati. Ecco perché mi sono deciso a fare i nomi dei magistrati, e non solo quello di Domenico Signorino, perché so che i processi si aggiustano. Prendete il processo dei 114. Era il 1977, mi sembra. Tano Badalamenti ci convoca per una riunione. Il problema era se farlo o non farlo con quel presidente. Riina aveva fatto sapere che il presidente della Corte era tranquillo, pacifico, che meglio di quello non potevamo trovarlo. Badalamenti non si fidava e ci chiese se noi ci fidavamo. Voleva il consenso di tutti gli imputati per dire che quel presidente non andava bene e che il processo doveva saltare. Come si fa a farlo saltare? E’ facile. Si avvicina il presidente, gli si spiega il problema. Si chiede una perizia e quello aggiorna a nuovo ruolo e si tira da parte. Questo è il metodo democratico per aggiustare il processo. Voglio raccontare un altro episodio. Quando cominciò il maxiprocesso, io dissi: ‘ Badate, che io posso avvicinare il pm Signorino’ . Mi risposero: ‘ Stai tranquillo, fatti la tua galera con calma ché ad aggiustare il processo ci pensiamo noi’.
Massoneria. “Io non so se Riina è massone. All’ inizio noi guardavamo alla massoneria con un certo sospetto, quasi con rivalità come a un’ organizzazione importante che occupava posti-chiave in quasi tutte le città. Questo momento fu superato presto. Capimmo che, con i massoni, si poteva avere un dialogo socievole. Per regola, il mafioso non può affiliarsi ad altre organizzazioni, ma non mi stranizza che un mafioso sia massone… Ho conosciuto mafiosi vicinissimi a massoni. Il fratello di Michele Greco era un massone, un zio di Stefano Bontade era un massone. E d’ altronde se un giudice è massone, da chi lo fai avvicinare? E’ pacifico che debba essere un massone”.
Legge. “Certo, un politico vicino a noi può fare leggi contro la mafia. Il problema non è la legge, è la sua applicazione. Che ci importa di una buona legge, se poi non viene mai applicata? I guai per noi sono cominciati quando il 416bis è stato applicato anche se in maniera lenta”.
Notai. “Molti notai curavano gli affari dell’ organizzazione e si occupavano del riciclaggio con società fantasma o grazie a prestanomi. Non sapevano di avere a che fare con la mafia? Ma se avevano rapporti diretti con Riina!”.
Pentito. “Io ho vissuto 50 anni da delinquente e merito tremila anni di carcere. Io non chiedo nulla per me. Certo, mi piacerebbe solo mangiare un gelato a Mondello o a Pallavicino senza che nessuno mi spari in testa, ma il vero problema sono i miei figli. Un collaboratore chiede soltanto che ai suoi figli sia garantito un futuro di lavoro e di dignità”.
Poliziotti. “E’ pacifico che qualcuno lavorava per noi. La maggior parte dei poliziotti viveva a Palermo e voleva vivere tranquillo. C’ era anche chi ci informava dei mandati di cattura prima che venissero firmati. No, non stavano a stipendio. Uno stipendio fisso lo aveva soltanto uno della ‘ catturandi’ . Gli altri si accontentavano di un regalo. Ho già detto di Contrada, ma io – con i giudici di Palermo – non ho parlato soltanto di Contrada, ma anche di altri funzionari di polizia”.
Stragi. “Dopo la sentenza della Cassazione ci siamo sentiti persi. Il mafioso non è abituato a sentirsi sulle spalle una sentenza definitiva. Quella sentenza avvelenava i mafiosi che si sentivano come animali feriti. Ecco perché hanno fatto le stragi. Sento dire di tecnici arabi, di tenici tedeschi, di esplosivo venuto da lontano… Schiocchezze! Noi in Sicilia abbiamo sempre avuto a disposizione tutto l’ esplosivo di cui avevamo bisogno. Basta pensare alle cave che ci sono nell’ isola! Eppoi, quando imbottivano di tritolo le Giuliette – eravamo agli inizi degli Anni Sessanta -, in Italia non si sapeva nemmeno che cosa era l’ autobomba… Attenzione, il pericolo delle stragi non è ancora finito: con l’ esercito in Sicilia staranno buoni e tranquilli, ma appena la tensione si allenterà potrebbero tornare a colpire.
Repubblica, 11 febbraio 1993