Fra sottopassaggi e cunicoli, la ricerca del luogo dove fare la strage
A CURA DELL’ASSOCIAZIONE COSA VOSTRA
24 maggio 2021 • 06:30
Nei primi giorni di maggio Salvatore Biondino incarica Giovanbattista Ferrante di trovare il luogo esatto dove fare l’attentato. Ferrante aveva individuato tre sottopassaggi ed un cunicolo ma queste opzioni non furono prese in considerazione. Sarebbe stato poi, Nino Troia, a trovare il luogo adatto per l’agguato
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. In questa serie, tocca al racconto della strage di Capaci, in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta: Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Di Cillo.
Il contributo dell’imputato [Giovanbattista Ferrante, ndr.] alla realizzazione della strage si è sostanziato in diverse attività delle quali il travaso dell’esplosivo nella casa di Troia ha costituito un momento che è però preceduto da altro, di uguale rilevanza, relativo al contributo svolto dall’imputato nell’individuazione del luogo ove si doveva collocare la carica esplosiva, che per comodità espositiva, secondo quanto già fatto per Giovanni Brusca, si tratterà a seguire per passare poi alla fase del travaso.
Orbene, secondo Ferrante, fu Salvatore Biondino a commissionargli l’incarico di trovare dei posti dove fare l’attentato, e ciò avvenne nei primi giorni di maggio. La scelta ricadde su lui perché, a suo dire, era persona di fiducia del Biondino e perché, occupandosi di autotrasporti, anche in prima persona, era pratico delle strade, sia quelle principali che secondarie, che si incrociavano in quei luoghi, che fra l’altro lui ben conosceva anche perché lì aveva sempre vissuto: tanta esperienza gli aveva consentito di individuare tre sottopassaggi ed un cunicolo.
Al momento del conferimento dell’incarico, pur intuendo che l’attività richiestagli era preposta all’organizzazione di un attentato, non sapeva ancora chi fosse la vittima designata, ma aveva capito comunque che si doveva trattare di un bersaglio rilevante perché si inseriva sulla scia della strategia segnata dall’omicidio Lima, avvenuto pochi mesi prima (marzo 92).
[…] Le indicazioni fornite dall’imputato non vennero però accolte perché, come già traspare da tutto quanto sostenuto in precedenza, l’esigenza che gli operatori avevano chiaramente avvertito e dovevano soddisfare, era quella di trovare un posto più piccolo, tecnicamente si potrebbe dire confinato, ove riporre l’esplosivo.
[…] L’imputato è stato in grado di riferire anche chi era stato a trovare il posto dove fu poi effettuato l’attentato, attribuendo tale merito a Troia, che si era mosso in tal senso sempre su incarico di Salvatore Biondino: «…TROIA è il sottocapo della famiglia di CAPACI, ed è la persona di fiducia di SALVATORE BIONDINO per quanto riguardava la famiglia di CAPACI, ci si riferiva e si parlava sempre con lui per qualsiasi problema della famiglia di CAPACI…BIONDINO e TROIA sono andati a vedere quest’altro posto. Io non ero presente lì con loro. Io aspettavo nel casolare, per intenderci, quello, dove c’era la giumenta, ma non ero lì con loro».
IL RUOLO DI SALVATORE BIONDINO
Superato questo momento preliminare, può passarsi alla fase che qui interessa e cioè quella relativa alla composizione della carica esplosiva. […] Inoltre va sottolineato che le stesse dichiarazioni, per il ruolo rivestito dall’imputato, esponente di un mandamento “di città”, portano alla conoscenza di chi elabora i dati l’apporto del gruppo palermitano, che, come ormai è emerso, vede in Salvatore Biondino uno dei maggiori rappresentanti, gruppo che viene coinvolto in questo momento perché è da lì che giunge parte dell’esplosivo, cioè quello che, sulla base di quanto si è appreso finora, secondo Brusca e La Barbera, era nella casa di Troia a Capaci.
Ferrante infatti ha descritto con quali modalità e da parte di chi arrivò a Capaci questo secondo tipo di esplosivo. L’operazione ebbe inizio in un luogo nuovo, non ancora emerso dalle descrizioni degli altri imputati, cioè si trattava di un casolare, di cui disponeva sempre Troia, nel quale Salvatore Biondino ordinò al Ferrante e a Salvatore Biondo di portarsi perchè lì doveva arrivare il materiale: ciò avvenne grazie all’apporto Giuseppe Graviano ( «GIUSEPPE GRAVIANO lo avevo conosciuto da credo, da qualche, da un anno, un anno e mezzo prima almeno, praticamente dopo l’arresto di PEPPUCCIO LUCCHESE. Dopo l’arresto di PEPPUCCIO LUCCHESE cominciò a venire PEPPUCCIO GIULIANO per qualche appuntamento con RIINA SALVATORE, e dopo i veniva GIUSEPPE GRAVIANO agli appuntamenti. Quindi lo avevo conosciuto già da un anno e mezzo, da uno o due anni, sicuramente») che era giunto sul luogo a bordo di una Polo dalla quale Ferrante, Biondino, Biondo, Battaglia e Biondino scaricarono quattro sacchi di tela: «…Dopo avere effettuato le prove, SALVATORE BIONDINO mi diceva di farmi trovare assieme a SALVATORE BIONDO nel casolare di NINO TROIA dove teneva il cavallo e le galline, perché c’è un piccolo pollaio proprio, lì, perché doveva, dovevano portare dell’esplosivo. Io e SALVATORE BIONDO eravamo con la mia macchina e aspettavamo nel casolare, e nel primo pomeriggio è arrivato GIUSEPPE GRAVIANO con la sua macchina, aveva una POLO VOLKSWAGEN. E’ arrivato, si è fermato, ha fatto marcia indietro per avvicinarsi, diciamo, all’ingresso del casolare, ha aperto lo sportello posteriore e, abbiamo scaricato io e SALVATORE BIONDO, eravamo, noi e GIOVANNI BATTAGLIA, credo che c’era pure GIOVANNI BATTAGLIA a scaricare, diciamo, i sacchi di esplosivo…Erano dei sacchi tipo di tela, però era una tela di plastica, abbastanza grossi e molto pesanti, difatti eravamo in due e credo che si chiama tela iuta, questa usata per i sacchi…. i colori erano chiari: erano bianchi, credo proprio che erano bianchi. …era una chiusura non artigianale, cioè non era chiusa con lo spago, era chiuso, cucito credo proprio a macchina, quindi era una chiusura, diciamo, industriale, non era con il laccio come si chiude generalmente un sacco. ….i sacchi li abbiamo praticamente scaricati vicino alla prima stanza, perché lì ci sono, diciamo, questo casolare è formato da due stanze, una dove c’è un tavolo, delle sedi, mi pare che c’è pure un frigorifero, una branda, un frigorifero che però viene tenuto come ripostiglio, non funzionante. Poi c’è un’altra stanza dove avevano dei mobili e cianfrusaglie varie, accanto c’è un pollaio, nella parte posteriore c’è una piccola stalla dove tenevano, mi pare, due vitelli proprio all’epoca della strage mi pare che avevano due vitelli…. Li abbiamo scaricati in questa, nella prima stanza… i sacchi erano quattro, però sicuramente più di cinquanta chili, cioè dai cinquanta chili in su, sicuramente, meno di: cinquanta chili no… L’esplosivo prima è stato messo nella prima stanza, successivamente è stato, dopo che è andato via GRAVIANO, dopo è stato caricato nella macchina di NINO TROIA, aveva una FIAT UNO, è stato caricato, e lo abbiamo portato vicino al passaggio a livello, nella villetta che aveva vicino al passaggio a livello».
Arrivato il Graviano al casolare di Troia, si pose agli avventori il problema di trasportare l’esplosivo nella villa vicino al passaggio a livello: ciò era avvenuto, secondo Ferrante, nel primo pomeriggio grazie all’aiuto di Salvatore Biondo e Nino Troia, che aveva seguito primi due a bordo della sua Fiat Uno, sulla quale era stata caricato l’esplosivo, mentre Ferrante e Biondo lo precedevano a bordo della Mercedes del primo: «Il trasporto dell’esplosivo è stato fatto nel pomeriggio si, nel primo pomeriggio è stato fatto… Il problema mi pare che era se potevamo andare a mangiare oppure no, quindi è stato proprio fatto nel primo pomeriggio, ed è stato fatto con due macchine, io e SALVATORE BIONDO eravamo con la mia, con la MERCEDES e abbiamo battuto la strada alla FIAT UNO di TROIA, li abbiamo caricati nella FIAT UNO perché chiaramente veniva molto più comodo caricarli nella FIAT UNO che ha il portabagagli più basso rispetto alla MERCEDES… per quanto riguarda il percorso fatto… strade ce ne sono tre per arrivare al casolare, diciamo, alla casetta vicino al passaggio al livello. Però, credo, che abbiamo fatto la strada quella, diciamo, al centro del paese…. abbiamo scaricato subito i sacchi, li abbiamo scaricati vicino al cancelletto, e poi praticamente abbiamo spostato la mia autovettura, li abbiamo caricati con una carriola, diciamo, li abbiamo spostati da dove li avevamo messi davanti al cancelletto, e li abbiamo messi dietro la casa di NINO TROIA, vicino dei rovi, ci sono dei rovi che costeggiano, proprio dietro la casa, e li abbiamo messi lì questi sacchi…li abbiamo sistemati praticamente sotto, nascosti, diciamo, nella vegetazione e mi pare, che li abbiamo coperti con un telo di cellofan».
I BIDONI NASCOSTI SOTTOTERRA
Ecco dunque che si chiarisce, stando alle dichiarazioni di Ferrante, l’origine di quella parte di esplosivo con il quale, secondo Brusca e La Barbera, erano stati riempiti parte dei bidoncini costituenti la carica esplosiva. Secondo l’imputato, successivamente all’arrivo dell’esplosivo portato da Graviano nel casolare e al trasporto di questo alla villetta di Capaci, era arrivato proprio in quest’ultimo luogo, quello proveniente da Altofonte, ed era già sera rispetto al pomeriggio quando ci fu il trasbordo fatto da lui.
[…] Quanto all’indicazione materiale delle persone che avevano partecipato all’operazione, l’imputato ha indicato come persone che con certezza erano lì con lui, riferendo di SALVATORE BIONDINO, SALVATORE BIONDO, NINO TROIA, GIOVANNI BATTAGLIA, tale PIETRO, (che successivamente poi ha appreso essere RAMPULLA), GIOE’, GINO LABARBERA, e durante l’operazione di travaso erano arrivati GANCI RAFFAELE e CANGEMI SALVATORE, che però erano andati via dopo poco perché erano già in tanti e non c’era perciò bisogno del loro contributo.
[…] Quanto alle caratteristiche morfologiche dell’esplosivo utilizzato nel travaso, giova sottolineare che l’imputato ha riconosciuto di non essere esperto in materia e di non aver mai visto comunque un esplosivo di quel tipo: «L’esplosivo che io ho travasato, era praticamente palline, forse non tutte regolari, però erano delle palline, mi pare che erano proprio di colore giallo, di colore bianco, non ricordo se davano sul giallino, però, ripeto, era un esplosivo che io non avevo mai visto…mentre si caricava, si schiacciava l’esplosivo, notavo che era un esplosivo forte nel senso che dava fastidio agli occhi e alla gola, respirando vicino al bidoncino».
Quanto al ruolo di Pietro Rampulla, l’imputato ne ha sottolineato l’attitudine a dirigere i lavori per le esperienze maturate, ricordando ad esempio che spesso lo aveva sentito raccomandare ai partecipanti alle operazioni di travaso di non fumare vicino all’esplosivo, sottolineando che Salvatore Biondino era, fra coloro che fumavano, quello che si segnalava più frequentemente per i richiami all’ordine: «…PIETRO RAMPULLA era la persona… era il tecnico degli esplosivi, era lui che ci dava indicazioni di come maneggiarli».
Ultimate le operazioni di riempimento dei contenitori, Ferrante ha raccontato che furono riposti dietro la casa, riparati dalla vegetazione: ciò accadde in sua presenza, e, considerato che il giorno successivo aveva constatato che i bidoni erano stati nascosti sottoterra in una buca sotto del letame, è logico derivare che quest’ulteriore operazione di occultamento era stata effettuata dopo che lui andò via. […].
Testi tratti dalla sentenza della Corte d’Assise di Caltanissetta (Presidente Carmelo Zuccaro)