L’ULTIMO AVAMPOSTO DI CAMORRA
Dopo Fondi e Formia, Minturno e Terracina, ecco Sabaudia. Niente di sconvolgente, se si dà per scontato che la presenza di mafia, camorra e ‘ndrangheta non risparmia ormai nemmeno un angolo del territorio pontino, da sud a nord, con un occhio rivolto anche alle zone collinari.
Le organizzazioni arrivano con qualche concessionaria scalcinata, un pretesto per emettere fatture a far girare denaro; col monopolio sul mercato della cocaina; con l’acquisto di immobili e attività commerciali; con le imprese che costruiscono nuovi quartieri. Insomma, coi soldi.
La differenza, per chi è spettatore, sta tra il voler vedere certi segnali e lo sforzarsi di ignorarli.
La loro specialità, secondo i magistrati dell’Antimafia di Napoli, è quella di riciclare denaro e altre utilità provento di attività illecite, e a giudicare dai beni elencati nella richiesta di rinvio a giudizio del PM Francesco Soviero, l’attività, tuttora perdurante, va a gonfie vele.
Appartamenti, negozi, garage, società per la gestione di attività e imprese, conti correnti bancari: il piccolo impero che fa capo a Salvatore Di Maio, 62 anni, è concentrato a Sabaudia, ed ha una succursale ad Alseno, in provincia di Piacenza, dove alla famiglia Di Maio fa capo un intero complesso immobiliare. Ma stando a quello che scrivono gli investigatori della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, tutti quei beni sarebbero in realtà del «clan Cava» di Avellino. Una famiglia di camorristi che ha messo radici in Agro Pontino grazie alla fedele collaborazione di Salvatore Di Maio. Quest’ultimo, insieme a Cataldo Menichelli, trentottenne di Sabaudia, è accusato di associazione per delinquere di stampo mafioso nell’ambito di un procedimento penale a carico di 93 persone, la maggior parte delle quali dell’avellinese.
Dodici sono complessivamente gli imputati pontini, due residenti a Latina e gli altri dieci tra Sabaudia e dintorni. A parte Di Maio e Menichelli, accusati del reato associativo, gli altri rispondono invece di riciclaggio e impiego di denaro e beni provento di attività illecite.
Si tratta di alcuni familiari di Salvatore Di Maio, Rosa, Andrea e Francesco; di Maria Teresa Fogli; di Antonella Buffa, Daniele Veglianti e Vincenzo Serrapiglio, tutti residenti a Sabaudia; Claudio Fanti, di San Felice Circeo; Domenico Peluso e Pierpaolo Caracci, residenti a Latina.
Tutti quanti nullatenenti, non esercenti attività commerciali, dunque ben consapevoli di essersi fittiziamente intestati beni immobili allo scopo di favorire l’attività criminosa che fa capo al «clan Cava». Pedine di secondo piano rispetto ai due accusati di far parte a pieno titolo dell’associazione mafiosa, descritti dal Pubblico Ministero come impeccabili esecutori delle direttive imposte da Biagio e Salvatore Cava, ritenuti i leader dell’omonima famiglia.
Salvatore Di Maio è inoltre accusato di estorsione, per avere in più occasioni avvicinato partecipanti ad aste immobiliari disposte dal Tribunale di Latina intimando loro di non presentare offerte in rialzo e «convincendoli» con la forza intimidatrice che gli deriva dall’appartenere ad un sodalizio di stampo mafioso, a desistere dal partecipare alla vendita all’incanto.
Appartamenti, terreni, ville, garage e negozi finivano così nelle mani dei prestanome del Di Maio, a volte i familiari, altre volte gli amici-complici. L’inventario dei beni accumulati da Salvatore Di Maio negli ultimi anni contempla 8 appartamenti con relativi box in un complesso immobiliare in provincia di Piacenza; 2 appartamenti, un negozio e un box a Sabaudia; dieci conti correnti aperti in istituti delle province di Latina e Frosinone.
L’attività illecita contestata al Di Maio, al Menichelli e agli altri imputati, va avanti dall’anno 2001 ed è ritenuta tuttora in corso. L’udienza preliminare del 9 aprile scorso è saltata; si torna in aula il 30 aprile.
LA PIAGA SI ALLARGA, L’INFEZIONE CONTAGIA
La piaga si allarga a macchia d’olio, ma il clima è quello di sempre. Indifferenza.
A Sabaudia sanno tutti perfettamente di cosa stiamo parlando e chi siano i protagonisti di questa pagina giudiziaria. Lo sanno anche a Latina, visto che Salvatore Di Maio ha frequentato i luoghi dove si tengono le aste immobiliari: tribunale, studi notarili, uffici legali.
Certo, ci vuole poco ad abituarsi all’idea che una persona che accumula beni sia nient’altro che un imprenditore, uno che fa affari; ma un conto è l’opinione della gente, altro è il profilo che si forma attraverso l’attenzione di forze dell’ordine e istituzioni preposte alla sicurezza.
Su Salvatore Di Maio ha indagato anche la Procura della Repubblica di Latina e pare che anche da via Ezio sia partito qualche input alla volta della Procura Antimafia, competente quando i reati ipotizzati sfociano nell’associazione per delinquere di stampo mafioso. Tutto a posto dunque?
Fa specie leggere nelle carte del Tribunale di Napoli che l’attività illecita di Di Maio e soci risalga nel tempo almeno al 2001, e constatare che da allora ad oggi quel signore abbia potuto continuare ad operare e prosperare più o meno indisturbato. C’è qualcosa che non torna.
Alessandro Panigutti
(Tratto da Terracina Social Forum)