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Fra Cosa Nostra non fu “trattativa”, ma “qualcosa” di simile. Lo conferma Pisanu. Ed ora come la mettiamo?

Negli anni delle stragi di mafia di quasi vent’anni fa, “ci fu una convergenza d’interessi con massoni, affari e politica”, tra governo italiano e Cosa nostra “qualcosa del genere” di una trattativa “ci fu e Cosa Nostra la accompagnò con inaudite ostentazioni di forza”. Cosa Nostra, anche oggi, non ha rinunciato ad influire sulla politica. E’ quanto afferma il presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia, Giuseppe Pisanu, nella relazione ‘I grandi delitti e le stragi di mafia 1992-1993’ presentata oggi

Nel dossier Pisanu ripercorre quel periodo, ricordando gli attentati, i morti e le ‘manovre’ organizzate dalla mafia per destabilizzare lo Stato. Secondo il senatore del Pdl “la spaventosa sequenza del 1992-93 ubbidì ad una strategia di stampo mafioso e terroristico, ma produsse effetti divergenti: perché se da un lato determinò un tale smarrimento politico-istituzionale da far temere al presidente del Consiglio in carica l’imminenza di un colpo di Stato; dall’altro lato determinò un tale innalzamento delle misure repressive da indurre Cosa Nostra a rivedere le proprie scelte e, alla fine, a prendere la via, finora senza ritorno, dell’inabissamento. Nello spazio di questa divergenza – aggiunge – si aggroviglia quell’intreccio tra mafia, politica, grandi affari, poteri occulti, gruppi eversivi e pezzi deviati dello Stato che più volte, e non solo in quegli anni, abbiamo visto riemergere dalle viscere del paese”.
Per Pisanu, che lascia aperte le diverse discussioni politico-giudiziarie su quegli anni, è in ogni caso “ragionevole ipotizzare che nella stagione dei grandi delitti e delle stragi si sia verificata una convergenza di interessi tra Cosa Nostra, altre organizzazioni criminali, logge massoniche segrete, pezzi deviati delle istituzioni, mondo degli affari e della politica. Questa attitudine a entrare in combinazioni diverse è nella storia della mafia e, soprattutto è nella natura stessa della Borghesia mafiosa”.

E ancora, “Cosa Nostra, anche oggi, non ha rinunciato ad influire sulla politica” dice il presidente della Commissione parlamentare antimafia.
Concludendo le sue comunicazioni alla Commissione parlamentare, Pisanu ha ricordato che dagli anni ’92-93 ad oggi “bloccato il suo braccio militare, Cosa Nostra ha certamente curato le sue relazioni, i suoi affari, il suo potere. Ma da allora ad oggi – ha proseguito Pisanu – ha perduto quasi tutti i suoi maggiori esponenti, mentre in Sicilia è cresciuta grandemente una opposizione sociale alla mafia – ha ricordato – che ha i suoi eroi e i suoi obiettivi civili e procede decisamente accanto alla magistratura e alle forze dell’ordine”.
Anche per questo, ha proseguito Pisanu, Cosa Nostra “ha forse rinunciato all’idea di confrontarsi da pari a pari con lo Stato, ma non ha certo rinunciato alla politica. Al contrario, con l’espandersi del suo potere economico – ha poi detto – ha sentito sempre più il bisogno di proteggere i suoi affari e i suoi uomini, specialmente con gli strumenti della politica comunale, regionale, nazionale ed europea”.

Intanto, oggi a parremo, nell’Aula del tribunale per il processo a carico del generale Mario Mori e del colonnello Mauro Obinu, accusati di favoreggiamento aggravato a Cosa nostra per la mancata cattura del boss mafioso Bernardo Provenzano nell’ottobre del ’95, l’ex difensore storico di Vito Ciancimino, l’avvocato Giorgio Ghiron conferma in pieno le dichiarazioni rese nei mesi scorsi da Massimo Ciancimino.
Nell’esame condotto dai pm Antonino Di Matteo e Antonio Ingroia, Giorgio Ghiron, oggi 80enne, coimputato di Massimo Ciancimino nel processo d’appello per il cosiddetto “tesoro” di Vito Ciancimino, in cui il legale è accusato di riciclaggio, nonostante sottolinei più volte nel corso del processo Mori che non ha più contatti con Massimo Ciancimino “perché il danno che mi ha provocato è stato oltre il pensabile”, conferma in toto le dichiarazioni del figlio di don Vito, anche quelle relative agli incontri dei carabinieri con Vito Ciancimino prima della strage di via D’Amelio. “Tra maggio e giugno del 1992 -ha detto l’avvocato Ghiron- vidi scendere dalle scale dell’abitazione romana di Vito Ciancimino il capitano Giuseppe De Donno. Li per lì non lo riconobbi, perché non lo conoscevo. Lo scoprii solo dopo, vedendo una foto sul giornale, che si trattava del capitano De Donno. E mi sembrò strano che un personaggio come lui entrasse in casa di Vito Ciancimino”.
“Ricordo bene di aver visto De Donno tra maggio e giugno perché è stato almeno uno o due mesi prima del mio viaggio a Singapore che feci intorno al 3 luglio”. “Quando riconobbi De Donno sulla foto credo di avere chiesto a Ciancimino come mai lo avesse incontrato -ha proseguito Ghiron- ma Vito Ciancimino su determinate cose, come queste, non rispondeva mai. Magari faceva qualche battuta sardonica ma senza rispondere”.

Anche Massimo Ciancimino, al processo Mori, ha sostenuto che il capitano De Donno prima della strage di via D’Amelio avrebbe incontrato il padre Vito, per avviare la cosiddetta ‘trattativa’ tra lo Stato e Cosa nostra.

Frida Roy

(Tratto da Aprile online)